Estate 2017. Non c’è dubbio che il titolo più discusso, chiacchierato e giocato sia Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy, la collezione dei tre primi e storici capitoli della serie di Crash Bandicoot, riproposta con grafica aggiornata agli standard attuali e massima fedeltà nei comparti di gameplay e level design. Al netto di alcune isolate voci che hanno lamentato una eccessiva e frustrante difficoltà (accolte dal coro dei “git gud” della community online) possiamo ritenere questa ennesima operazione nostalgia un successo. Eppure c’è un altro lato della medaglia, quello di chi non prova alcuna nostalgia verso il prodotto originale.
Back in the 90’s
Non ho difficoltà ad ammettere di essere cresciuto con riferimenti ludici e culturali in parte diversi da quelli di molti miei coetanei. Crash Bandicoot non mi è mai piaciuto. E per mettere in chiaro le cose, prima che il senso della mia affermazione venga inevitabilmente stravolto: sì, sono sempre stato un appassionato Nintendo, e no, non intendo impostare il mio discorso su di uno sterile “Mario è meglio di Crash”. Durante la metà degli anni ’90 ero un ragazzino che adorava il suo Nintendo 64 e che sentiva inevitabilmente minacciato il suo modo di intendere il videogioco dal mondo PlayStation e da tutto quello che vi ruotava attorno, compreso il marketing di Sony e lo stile delle sue esclusive.
Questa partigianeria di fondo non mi ha mai impedito, però, di apprezzare tanti capolavori nati sulla prima PlayStation, che spesso mi ritrovavo a giocare a casa di amici: Spyro, Ape Escape, Metal Gear Solid, Final Fantasy VII, i vari Tekken, e tanti altri. Tanti titoli, ma non Crash Bandicoot. All’epoca trovavo difficile comprendere l’appeal che il marsupiale aveva sui miei compagni di classe, ed a pelle i suoi titoli mi sono sempre sembrati poco interessanti ed attrattivi. Soltanto oggi, col senno di poi, riesco finalmente a spiegarmi il perché.
Il 1996 era un anno di grandi cambiamenti nel mondo dei videogiochi. La grafica poligonale si stava facendo rapidamente largo ed uno dopo l’altro tutti i principali generi di videogiochi stavano compiendo il balzo dalle due alle tre dimensioni. Ci si muoveva in acque inesplorate e per forza di cose moltissimi titoli di quell’epoca erano tentativi, sperimentazioni, anche idee a volte non troppo riuscite. Nel 1996 nessuno aveva ancora idea di come traslare le meccaniche dei platform nel mondo a tre dimensioni e gli sviluppatori si scontravano con una serie di problemi inediti come i controlli e la gestione della telecamera. È emblematico che nel giro di pochi mesi uscissero Super Mario 64 ed il primo Crash Bandicoot, due platform che affrontavano questa sfida in maniere completamente diverse. Il primo immergeva il giocatore in livelli liberamente esplorabili nelle tre dimensioni, per certi versi anticipando i moderni sandbox. Il secondo riproponeva la collaudata formula dei platform 2D mutando nella direzione della profondità il classico scorrimento orizzontale.
Derivato di un derivato
Non c’è dubbio che all’epoca platform come Mario 64 ed i titoli che seguirono la sua formula (Banjo-Kazooie ma anche Spyro the Dragon) avessero su di me un appeal maggiore per via della novità che rappresentavano, ma oggi capisco anche che con questi titoli gli sviluppatori abbiano corso molti più rischi che non quelli di Naughty Dog con Crash Bandicoot. Per quanto tutt’oggi resti uno dei migliori giochi di tutti i tempi, Super Mario 64 porta con se traccia di questi rischi: ad esempio la gestione della telecamera, tutt’altro che perfetta, oppure la ridondanza delle mosse di Mario, che se da un lato permetteva quella che oggi definiremmo player expression, dall’altro testimonia un game design non così limato come si potrebbe pensare (tutt’oggi credo di aver preso alcune delle stelle in Mario 64 in modi che gli sviluppatori non avevano assolutamente previsto). La serie di Crash Bandicoot, invece, gioca con la familiarità. Semplicemente cambiando la direzione dello scorrimento e attingendo a piene mani dalla formula di Donkey Kong Country (a sua volta un platform estremamente derivativo, almeno fino ai due episodi moderni col loro approccio orientato al flow ed al level design) con una spruzzata della frenesia e dell’attitudine di Sonic, Naughty Dog è andata sul sicuro, realizzando un intelligente compitino.
Oltre Crash Bandicoot e Mario
È questa mancanza di coraggio, che da bambino intuivo soltanto, a rendermi Crash Bandicoot così poco interessante. Il passaggio al 3D portava con se tutta una serie di sfide e criticità, che Naughty Dog decise abilmente di evitar di affrontare. Ed è un peccato, perché avrebbe potuto affrontarle in maniere completamente inedite e diverse da quanto fatto da Nintendo con Super Mario 64. D’altronde il mondo dei platform 3D ha goduto di una certa dose di diversificazione al di là di Mario e Crash: i lavori Rare su N64 hanno introdotto il concetto di collect-a-thon; Ape Escape ha introdotto e sfruttato i due analogici; Ratchet & Clank ha ibridato il genere con gli sparatutto; Sonic si reinventa quasi ad ogni nuovo capitolo nella costante esigenza di conciliare velocità e platforming. Non sempre sono storie felici: il design Rare portato alle estreme conseguenze ha prodotto titoli mediocri come Donkey Kong 64, e la serie di Sonic vive di luci ed ombre, ad esempio. Ma si tratta di titoli che in un modo o nell’altro hanno rischiato ed il risultato, buono o cattivo che sia, è molto interessante da analizzare. Sicuramente più interessante della riproposizione di schemi e strutture che già a metà degli anni ’90 sapevano di già visto.
C’era quindi davvero il bisogno di questo Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy? La risposta in realtà è sì. Al di là del suo valore nel contesto della storia e dell’evoluzione del medium videoludico, che può essere discusso come ne stiamo facendo ora, il suo valore affettivo per milioni di giocatori è incontestabile. Ed anche questo è in qualche modo parte della storia dei videogiochi. Nel bene e nel male Crash è stato la mascotte della prima generazione PlayStation, e la fine che aveva fatto nel corso delle generazioni successive era indegna. Crash meritava di tornare: c’è chi è cresciuto con Crash e lo ha amato, chi invece come me lo ha odiato ed oggi ha bisogno di capire perché. C’era anche una certa esigenza di conservazione del medium ludico: in questo senso l’operazione di Activision di realizzare una versione fedele nei minimi dettagli aggiornando esclusivamente la grafica è sicuramente da plaudere.
Ad essere sinceri, forse, c’era più bisogno oggi di questa remastered che non dei giochi originali all’epoca della loro uscita.
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