È curioso come il tempo possa incidere anche sui videogiochi, rendendo titoli che all’epoca erano pietre miliari dei giochi nella media ad anni di distanza. Fortunatamente non è il caso di cui andremo a parlare oggi. Il 2016 segna il trentennale di due delle serie più importanti di casa Nintendo: la prima è Metroid, di cui avremo modo di parlare nelle prossime retrocensioni, e la seconda è The Legend of Zelda, il cui prossimo capitolo è previsto per Marzo 2017 (ma ne potete già leggere un’anteprima qui). La terza Retrocensione vedrà protagonista il terzo episodio (in uscita cronologica) della saga, l’unico ed esclusivo capitolo per Super NES: A Link to the Past (nel 2002 venne riproposto su GBA  in A Link to the Past & Four Swords ). Perché partire da questo titolo e non dai primi due per NES? Probabilmente per tutta una serie di introduzioni nella serie e per l’appeal che il gioco ha ancora a più di vent’anni di distanza. O per tutti quei pregi che lo hanno definito (nel 2006) al primo posto tra i cento videogiochi più grandi della storia, secondo Entertainment Weekly. Ma stiamo correndo troppo, ed è meglio andare per ordine.

Wake up!
L’inizio di A Link to the Past segnerà la storia e il destino dei capitoli successivi del brand, con  il nostro eroe addormentato che sognerà una voce femminile in cerca di aiuto. Seguendo uno zio fin troppo incauto (che verrà sconfitto per dar via alla nostra avventura), Link affronterà i terribili sgherri di Aghanim, per impedirgli di risvegliare il signore oscuro e salvare così Hyrule e la Principessa Zelda. Non ci soffermeremo su quanto la trama di A Link to the Past incida sulla serie a tutti gli effetti (anche perché è un fattore relativamente “nuovo”, dato che risale al venticinquesimo anniversario del brand), bensì su come, da questo capitolo per SNES in poi, la trama sia diventato uno degli aspetti più in rilievo, andando ad affiancarsi al gameplay adventure fantasy che fa da scheletro ad ogni avventura di Link. Questa è la prima vera differenza con i due predecessori che lasciavano l’intera parte narrativa sulle spalle del giocatore dando o solamente degli indizi (Adventure of Link) o nemmeno quelli (The Legend of Zelda). Sotto questo punto di vista, A Link to the Past era un ottimo entry-level nella serie, e non è strano trovare giocatori che hanno iniziato ad avvicinarsi al brand proprio con questo capitolo.

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Non solo la trama, ma la vera e propria presenza di altri personaggi oltre il giocatore con le proprie vite e le proprie intenzioni: oltre la main quest, che si dipanava in circa 30 ore, A Link to the Past introdusse nel brand le missioni secondarie che, anno dopo anno, avrebbero reso ogni Hyrule sempre più viva e ricca di azioni da compiere fuori dalla storyline principale. L’utilizzo degli strumenti anche fuori dai dungeon era necessario non solo per trovare grotte e location segrete (da sempre presenti nella serie) ma anche per completare le suddette side quest ed ottenere ulteriori strumenti per poter proseguire, in un circolo vizioso che non poteva far altro che causare assuefazione. Ad ulteriore rinforzo, per l’appunto, i personaggi secondari: un

il punto della svolta  della serie
boss nemico veramente tale (Aganhim), con un piano da realizzare e non semplicemente messo lì ad occupare l’ultima stanza dell’ultimo dungeon, una Principessa preoccupata per il destino del suo popolo e intenzionata a tutto pur di salvarlo (concetto ulteriormente ampliato in A Link Between Worlds), due mondi paralleli e opposti non solo nelle tonalità usate ma anche nella flora e nella fauna presente, capaci di stregare il giocatore e farlo perdere nella magia di Hyrule. A Link to the Past offriva un’esperienza a 360° che sarebbe stata solo l’assaggio di quanto sarebbe successo nel 1998 (con la breve ed emotiva tappa di Link’s Awakening nel 1993). E non si può non parlare dell’inventario, con un occhio particolare alla spada da rafforzare man mano che  si proseguiva nella storia fino ad arrivare alla radura nel Bosco Perduto, con nessun suono di sottofondo ed estrarre quella che, da lì agli anni a seguire, sarebbe diventata uno dei simboli del brand: la Spada Suprema (o Master Sword). A Link to the Past segnò il punto di svolta della serie ideata da Miyamoto, il maestro da eguagliare negli anni successivi, il punto di paragone per ogni titolo 2D con visuale a volo d’uccello che si fosse gettato nel genere adventure.

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All in one
Abbiamo appena finito di analizzare quanto l’aspetto narrativo di A Link to the Past sia importante non solo nel titolo in sé ma anche ai fini di quello che sarebbe divenuta la serie da lì in poi, senza concentrarci su tutto l’altro elenco di motivi che rendono il capitolo per Super NES probabilmente il miglior Zelda 2D in assoluto. L’open world? C’è, ne abbiamo ben due ed ognuno di essi risulta autentico e in grado di suscitare emozioni diverse, grazie a location ispirate e a dungeon sparsi per l’intera mappa. Enigmi allettanti? Ci sono, capaci di intrattenere e non sfociano mai nel ripetitivo, riuscendo a far usare al giocatore tutto il proprio ingegno ed inventario. Boss battle ispirate? Ogni nemico di A Link to the Past riesce a presidiare il proprio labirinto e a regalare momenti unici; inoltre vi è la libertà di utilizzare qualsiasi strumento per danneggiare l’avversario, così come accade in tutti i migliori capitoli del brand. Colonna sonora memorabile? In A Link to the Past esordiscono dei brani che sono entrati non solo nella storia della serie, ma anche delle colonne sonore dei videogiochi in generale (Dark World), sempre a opera dell’instancabile Koji Kondo.

Se vogliamo essere obiettivi, A Link to the Past non eccelle in nessuno degli aspetti elencati: non ce ne è uno dove, dopo trent’anni, sia il migliore (forse), ma allo stesso tempo riesce a dare il giusto spazio, l’equilibrio perfetto ad ognuno di essi. Ed è questo giusto miscuglio che rende il capitolo per Super NES il miglior episodio 2D della saga di Zelda. Questo e ovviamente l’essere tranquillamente considerabile come scheletro per tutti i capitoli successivi. Affermazione forse ovvia ma che si appoggia su una base solidissima, l’assoluta giocabilità di A Link to the Past nello stesso identico modo di più di vent’anni fa.

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L’eredità
Ed è proprio col concetto di invecchiamento che vogliamo chiudere questo nostro viaggio nel passato: A Link to the Past è, come abbiamo già detto, ancora oggi giocabilissimo e, soprattutto, disponibile anche per i giocatori che se lo sono perso nel corso degli anni. La versione Super NES è reperibile su entrambe le console attuali di Nintendo a 7,99 €,  ed è un acquisto consigliato a chiunque si voglia avvicinare al brand. Ma anche a coloro che sono rimasti piacevolmente sorpresi da A Link Between Worlds, seguito ufficiale del titolo uscito per 3DS nel 2014; ed è proprio grazie a questo sequel, che sfrutta molte delle meccaniche di A Link to the Past, che riusciamo a confermare ulteriormente quanto detto nelle scorse righe. In qualsiasi versione o su qualsiasi console si possa riaffrontare la terza avventura di Link, il feeling è sempre lo stesso: capace di catapultarci istantaneamente nell’Hyrule del 1991.

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A Link to the Past ha dimostrato come, con un’idea alle spalle e un obiettivo da perseguire, un gioco possa diventare immortale nel corso del tempo, fondendo tutti gli aspetti che lo rendono una delle avventure a due dimensioni più amate di sempre. Un titolo che, oggi come allora, non può mancare nella libreria (e nel curriculum) di ogni appassionato di videogiochi che si rispetti.

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