Stefano Calzati

Speciale Justice League – Il sonno dei giusti

Mettersi a letto dopo aver salvato il mondo per l’ennesima volta ha tutto un altro gusto, quello della Giustizia.

Justice League è tante cose, un po’ come il sestetto di supereroi a metà tra il divino e il fantastico che la compongono. Sono 120’ di puro intrattenimento cinematografico firmato da Zack Snyder  e ereditato in corsa da Joss Whedon, un blockbuster che porta sullo schermo volti noti e astri nascenti, uniti per dare vita alle pagine dei fumetti DC con uno schiocco di dita. L’ennesima bobina di un genere che tra alti e bassi sta tenendo in piedi il grosso del cinema mondiale con incassi clamorosi, tra fan nerd di vecchia data e chi ad un fumetto non si è mai avvicinato. È il pesticida del “cinema d’essai” (che poi chi vi scrive ci sguazza in quel genere di pellicole), è cultura popolarissima, ma soprattutto è un buon motivo per uscire di casa e divertirsi assaporando il gusto pieno dei pop corn. Superman è morto, il cinema pure (così dicono), facciamocene una ragione e andiamo avanti. O forse no?

Jesus Christ Super…Man
Sacro e profano, mito e umanità, Justice League mette tutta la storia DC dentro un calderone in ebollizione
Una parabola quasi evangelica quella del supereroe per eccellenza, morto per salvare l’umanità, risorgendo a nuova vita per tenderle ancora la mano in un loop di eroismo e giustizia indistruttibile. Eppure il picco di questa provvidenziale curva narrativa arriva solo dopo aver creduto quasi certa la sua dipartita, tra l’epica suggestione dei funerali e un gruppo disunito, nervoso, nettamente inferiore al nemico, il Nuovo Dio Steppenwolf, alieno dai poteri straordinari in cerca delle Scatole Madre e dell’apocalittico potere derivato dalla loro unione. Un secondo tentativo quello del nostro villain, pronto a riscattare l’onta infertagli da amazzoni, atlantidei e umani millenni prima. La storia si ripete sempre, ma questa volta nessun esercito in campo, solo i più alti rappresentati di queste culture, assemblati in un unico team da Bruce Wayne/Affleck senza tante spiegazioni, evidentemente ritenute momento superfluo, vero furto di momenti puramente action, triste risparmio di effetti speciali su larga scala. Ben presto la pellicola alza i giri del motore, gli eroi si unisono uno a uno all’ingranaggio, la benzina comincia ad affluire e l’esplosione è dietro l’angolo. Ecco riunita l’intellighenzia del pantheon DC Comics, con i loro sottintesi background e un destino che non li vuole mai vedere a riposo. L’imperturbabile e abbiente giustiziere di Gotham City, Il Batman di Ben Affleck dotato del superpotere della ricchezza (parole sue). L’ambasciatrice di Themyscira Gal “Wonder Woman” Gadot, bellissima, fortissima e fortunatamente già vista in azione nel film a lei dedicato, dato che in questo marasma il suo spessore ellenico tende a perdersi un po’; laddove l’atlantideo Arthur “Aquaman” Curry fa le veci della civiltà sommersa, interpretato da un Jason Momoa vero “Khal” davanti alla macchina da presa, tamarro, ignorante, rozzo, appassionato di superalcolici e genuino, talmente irresistibile da volerlo già vedere nelle vesti di ras degli oceani nel suo film in solitaria, datato 2018.

Che elemento!

Ma c’è chi è velocissimo a rubare la scena; una scheggia di ironia, sgraziato e scoordinato nelle movenze quanto a proprio agio nel suo ruolo di spalla comica della produzione, Ezra Miller nella tuta di Flash corre letteralmente più veloce di tutti, protagonista delle scene più esaltanti e spettacolari a livello effettistico. Post produzione che dona letteralmente un corpo alla new entry Cyborg (in costante ed esilarante parallelo con la sua versione animata in Teen Titans nella mia testa), interpretato da un Ray Fisher bionico intrappolato in un conflitto uomo-macchina tanto interiore quanto estetico, ponendo le basi per un personaggio affascinante e promettente. Poi il super uomo risorge, alieno adottato da Metropolis col cuore nelle campagne del Kansas, per riprendersi la scena da vivo dopo aver riempito i ricordi di tutti, grazie ad una delle scene più intense della pellicola, confuso, arrabbiato, devastante. Henry Cavill come Clark Kent, pronti entrambi a scoprire la “S” sotto la camicia e spiccare il volo. Il volto perfetto per un eroe d’altri tempi, mascella volitiva, sguardo fiero e parole intrise nell’essenza stessa della giustizia. Un cast che fa squadra, fregandosene di una minaccia incredibilmente priva di personalità e con un complesso d’inferiorità tanto grande quanto vasto è il suo esercito di parademoni. Tutto è una scusa per portare alla sublimazione dei superpoteri e a una collaborazione laminata di rivalità e amicizie. In tutto questo fa sorridere la vicenda della famigliola russa, costretta in casa dall’armata demoniaca che ha preso possesso della loro cittadina (teatro della resa dei conti finale) appena ripopolata dopo un incidente nucleare, protagonista di alcune scene talmente superflue da non meritarsi neanche un Director’s Cut, eppure anche questa parentesi funziona nell’imperfezione generale. Amy Adams (Lois Lane), Jeremy Irons (Alfred) e Diane Lane (Martha Kent) riescono ad essere sempre fondamentali nonostante il minutaggio limitato, protagonisti di scene ad alto tasso emotivo e perfetti punti d’incastro del copione.

Effetto “WOW”
L’eccellenza di un cinecomic passa soprattutto per la fase di post produzione e per le scelte registiche capaci di esaltare o mortificare il piatto principale di ogni produzione del genere: I super poteri. Qui si è davanti a un lavoro davvero splendido, tanto nella tecnica e nel budget quanto nell’innata abilità di Snyder di rendere reale l’impossibile. Nonostante l’abbandono del buon Zack il suo tocco si vede e si sente. Lo slow motion che accompagna i fulminei movimenti di Flash, le evoluzioni acquatiche di Arthur Curry, l’intero corpo mutaforma di Cyborg, finendo con l’interpretazione in motion capture di Ciarán Hinds per Steppenwolf. Sequenze splendide dove la cinepresa danza per schivare i pericoli della battaglia, seguendo Flash che corre sulle pareti di un tunnel verticale per toccare con un dito la punta della spada di Wonder Woman in caduta libera facendole ritrovare l’elsa tra le mani per continuare la giusta mattanza demoniaca.

Zack Snyder si erge a supereroe della macchina da presa per esaltare il suo cast, uscendo vincitore dal suo progetto più importante.

Tocco magico.

Tutto il resto è un tripudio di tecnologia firmata Wayne Enterprise, coreografiche battaglie amazzoniche su larga scala e scenografie virtuali di rara bellezza (una piccola fetta di Atlantide che apre lo stomaco), pronte a scontrarsi con alcune scelte più insipide appena si torna alla realtà. E quando i tasselli vanno tutti al loro posto nelle scene più concitate e opulente, ecco che l’onomatopeico effetto “WOW” viene naturale, pronto a diffondersi in silenziosi baloon sopra la testa degli spettatori. Il successo di queste produzioni è cristallino e ovvio nei loro meriti, pronte ad attingere da un catalogo decennale, quasi secolare, per rendere quanto mai reale il sogno dentro le pagine di ogni fumetto. Il pubblico risponde presente e la critica non può che analizzare quello che è in vero caso cinematografico di questo secolo, di cui Justice League diventa ennesimo tassello di un mosaico ancora lontano dal completamento. Questa notte il DC Extended Universe può dormire il sonno dei giusti.

#LiveTheRebellion