Pietro Iacullo

ILoveRetro Retrocensione: Diddy Kong Racing

Quando si parla di giochi di corsa su kart, la tendenza comune è quella di ritenere la serie Mario Kart l’unico vero Dio. Ma qui su I Love Videogames non c’è religione, e infatti nella settimana che ci porterà al lancio di Mario Kart 8 Deluxe andiamo a rispolverare il vangelo apocrifo secondo Rare: Diddy Kong Racing.

 
Retrocensioni è una rubrica a cadenza settimanale, che porta indietro l’orologio e affronta in modo pseudo-critico titoli che hanno fatto la storia. O anche no, ma che per un motivo o per l’altro abbiamo ritenuto degni di menzione e capaci di suscitare reazioni alla “Luci a San Siro”.
 
 

Rubare, quando si tratta di sviluppo software, è bene
Chi vi scrive ha avuto modo di ripeterlo in diverse occasioni, diventando ormai un disco rotto (a differenza di Nintendo, l’autore del pezzo ha abbandonato le cartucce quando era il momento di farlo) su cui sono rimasti leggibili solo pochi concetti chiave. Uno di quelli impressi a fuoco è sicuramente questo: i bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano. Poco importa se un prodotto è derivativo, riprende elementi già visti o imita formule già sperimentate con successo in altri lidi. Se le cose funzionano pad alla mano, chissenefrega del fatto che il materiale originale sia preso da casa d’altri. E se le idee “copiate” vengono metabolizzate, raffinate e rielaborate – in altre parole: rubate, nell’accezione più pura del termine – il problema non dovrebbe nemmeno porsi. Quindi, in definitiva, chi gioca dovrebbe (come al solito) ringraziare Nintendo per aver smosso il tappo, ma non per questo lanciarsi in sterili j’accuse quando la formula di Mario Kart (che, è bene ricordarlo, è il system seller per eccellenza delle piattaforme Nintendo) viene replicata altrove. Quando le cose vanno male (e potremmo citare esempi a garganella, ma non vorremmo diventare volgari nei confronti delle mamme di qualche sviluppatore) basta semplicemente far finta che certa roba non esista. Quando le cose vanno bene… Beh, escono fuori piccole perle come Diddy Kong Racing.

Un po’ di contesto
Nel 1997 Rare era una delle case più in gamba sulla piazza: Se c’era scritto Rare, faceva rima con “Must Have”
È il novembre 1997, le Spice Girl stanno infestando jukebox e musicassette con Wannabe e Mario Kart 64 è uscito a giugno (anche se quello che i giocatori davvero davvero vogliono è la prima PlayStation, ma è una storia per un altro speciale). Ma soprattutto, quello che ci interessa sapere è che Rare è ancora Rare, quella di hit come Donkey Kong Country, Killer Instinct e 007 Goldeneye e non quella di Kinect Sports e Kinect Sports Rivals. Dei Re Mida del software, capaci di non sbagliare un colpo anche rilasciando software a getto continuo (solo nel ’97 usciranno ben quattro titoli firmati dalla casa britannica) e cambiando genere senza soluzione di continuità. Platform, picchiaduro, sparatutto (su console. Nel ’97. Andate ad aggiornare la vostra definizione di “visionario”). Mancava praticamente solo un gioco di corse su kart per completare la cartella del Bingo dei generi più popolari, e non a caso sulla ruota di Twycross esce il numero di Diddy Kong Racing. Ed è subito derby in seno a Nintendo, vista l’uscita così ravvicinata alla serie di riferimento per il genere ed il numero di copie che poi le due cartucce porteranno a casa, riuscendo ad entrare entrambe nella top 10 dei titoli più venduti per il 64 bit targato Kyoto. Già, perché non abbiamo sciorinato parole a caso nel cappello introduttivo di questa retrocensione: Diddy Kong Racing, pad alla mano, è senza dubbio uno di quei titoli da inserire nel novero di quelli che hanno rubato, prendendo spunto e condividendo da una filosofia già vista, ma consegnando allo scaffale un prodotto che inequivocabilmente propone una sua visione del genere, anche a costo di prendersi qualche rischio (e sbagliare, a seconda poi di come il giocatore legge queste differenze dal canovaccio tradizionale) pur di far emergere il carattere della produzione. Ed il carattere, se avrete pazienza di ascoltarci ancora per un paragrafo, emerge. Emerge di prepotenza.

Fare un kart game lasciando a casa il kart
Diddy Kong Racing fa una cosa che Mario Kart spesso dimentica: far pesare l’abilità del pilota
La struttura ossea, chiaramente, è molto simile a quella di un capitolo a caso di Mario Kart: scelta del personaggio, scelta della modalità (Adventure per giocare la “campagna”, Tracks per giocare in multiplayer locale i circuiti sbloccati) e via in pista, con la sola differenza che prima di gareggiare nella modalità Adventure, che funge da story mode – pur lasciando quasi tutte le impellenze narrative al libretto – bisogna muoversi nell’isola che fa da sfondo alle vicende e recarsi davanti al cancello prestabilito, che può essere aperto solo se si è in possesso di un certo numero di palloncini d’oro (elargiti quando si vince una gara, e qualcuno nascosto nell’isola stessa). Le differenze però emergono già da subito, ad iniziare da come Rare ha deciso di gestire i classici power up che si possono raccogliere su pista. In Mario Kart l’abitudine, da otto capitoli a questa parte, è quella di dover passare sopra una Item Box che poi sorteggia pseudo-casualmente il perk elargito. Diddy Kong Racing non si affida alla sorte e predispone cinque tipi di palloncini, uno per ogni tipo di potenziamento, e mette quindi subito in chiaro cosa si ottiene colpendo uno di questi. C’è bisogno di un’arma da fuoco? Il palloncino rosso regala un razzo. Più velocità? Cercate i palloncini blu. Vi piace dar fastidio agli altri corridori predisponendo trappole?  Passate sopra ad un palloncino verde. E così via, potendo contare anche sulle classiche barriere per difendersi dagli attacchi degli altri (o speronarli meglio) e un magnete utile per aggiungere ulteriore frustrazione al pilota che precede il giocatore. Ma il bello deve ancora venire, visto che poi passando una seconda volta sopra un palloncino dello stesso tipo di quello raccolto, il bonus viene potenziato di un livello, manovra ripetibile anche una terza volta. Un bel modo per mischiare le carte in tavola, senza andare ad introdurre troppi elementi che ridimensionano il peso delle abilità del pilota e introducono il “fattore B” (si, stiamo parlando di culo). Chiaro, è un aspetto che può essere apprezzato da qualcuno e recepito diversamente da quelli che per vincere han bisogno di quel maledetto guscio blu prediligono l’ignoranza in pista, ma indipendentemente dalla scuola di pensiero sposata non si può non riconoscere una cosa: questo espediente rende Diddy Kong Racing un prodotto abbastanza diverso da Mario Kart 64.

E se ancora non vi basta, adesso vinciamo facile: Diddy Kong Racing introduceva veicoli diversi dal classico Kart 14 anni prima di Mario Kart 7

Chiaramente, anche visti i limiti tecnologici dell’epoca, si tratta di transizioni più statiche e non a gara in corso, che però all’epoca hanno permesso a Rare di sbizzarrirsi nel design dei percorsi e di ritagliarsi un posto nel cuore dei fan degli appassionati. In diverse gare si lascia il kart nel garage per salire a bordo di un hovercraft – dalla manovrabilità completamente diversa, ma non soggetto al malus del fuoripista – o di un fichissimo aereo, in circuiti dove l’andare a sbattere contro qualcosa vuol dire perdere sensibilmente più tempo rispetto agli equivalenti a terra (non cala solo la velocità, ma si perde anche quota) e diventa più difficile piazzare trappole e mandare a segno i razzi, se non provvisti di auto-agganciamento. Un vero e proprio gamechanger, che triplica l’anima ludica del prodotto e va ad esaltare ulteriormente la bravura del pilota – ancora meglio, diversi tipi di bravura del pilota, a seconda del mezzo su cui si corre. E non abbiamo ancora tirato in ballo il PvP.

Tieniti pure le tue arene
A volte basta davvero poco per creare qualcosa di inedito
Negli anni abbiamo imparato ad amare le arene di Mario Kart, un modo alternativo di godersi gli sforzi della casa di Kyoto e di causare faide intestine all’interno del proprio gruppo di amici. Diddy Kong Racing gioca al rialzo anche in questo caso, andando a confezionare una serie di mini-giochi player versus player che (e ci ricolleghiamo all’intro sacrilega di questo articolo) vi faranno rinnegare tre volte la serie Nintendo, senza nemmeno aspettare il canto del gallo. Se è vero che due di questi livelli (su un totale di quattro) vanno a riprendere l’idea delle Arene – ovvero colpisci l’avversario un dato numero di volte, finché non resta solo un giocatore in campo – Rare per gli altri due extra se la gioca diversamente. Una delle sfide, all’interno di un vulcano e a bordo di un aereo, richiede di raccogliere tre uova (se ne può trasportare uno solo alla volta), depositarle nel proprio “nido” e attendere che si schiudano. Nel mentre però gli altri avversari possono decidere di prendere le uova depositate prima che si schiudano, portarle nella loro zona e fare punto in questo modo (sempre che qualche altro pilota non rubi di nuovo l’uovo prima che si schiuda). Il tutto, come detto, si gioca a bordo dell’aereo, quindi con tutte le conseguenze sul piano ludico viste sopra. E chiaramente, se si viene colpiti durante il trasporto l’uovo cade. Un’altra sfida invece richiede di collezionare dieci banane – in questo caso, se ne possono portare due alla volta – da portare nella propria postazione, stando attenti a non essere colpiti dagli altri (perdendo quanto si sta trasportando a bordo del proprio kart). Varianti sul tema, ma che marcano ancora una volta quanto dicevamo in apertura: Rare ha rubato, non si è limitata a copiare.

Cosa abbiamo imparato?
Mario Kart non è imbattibile. Basta sapere cosa si sta facendo
Diddy Kong Racing dimostra, anche se qualche nintendrone incallito si ostina a negare il concetto, che Mario Kart può essere battuto giocando al suo stesso gioco. Basta “semplicemente” cambiare le regole, mischiare le carte in tavola e dimostrare una linea di codice dopo l’altra che il proprio prodotto ha quel coraggio che – quando le idee funzionano anche fuori dalla carta – segna una linea di confine netta tra i buoni prodotti e gli autentici capolavori. Non è una cosa facile, e non è un caso se anno dopo anno la concorrenza ha progressivamente lasciato perdere; però, quando alle spalle di una produzione c’è un team come la Rare dei tempi d’oro (o Naughty Dog, ma anche questa è una storia per un altro approfondimento) non si parte sconfitti in partenza. Spiace da questo punto di vista che la software house britannica abbia deciso di accasarsi a Redmond, perdendo la possibilità di dare un seguito (messo in cantiere per ben due volte) a questa piccola gemma nel catalogo di Nintendo 64: di un prodotto così, simile nella filosofia ma non poi così simile negli intenti alla serie di punta degli hardware di Kyoto, farebbe bene in prima battuta ai giocatori, ed in secondo luogo andrebbe a reinserire un po’ di sana competizione in un genere che ormai è monopolizzato dal colosso dell’intrattenimento giapponese. Non a caso dopo Mario Kart 64 (che ha dovuto vedersela con Diddy Kong Racing e Crash Team Racing) su GameCube è uscito Mario Kart Double Dash, senza dubbio il capitolo più diverso all’interno del suo franchise.

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