Era il 2001, la Playstation 2 stava vivendo il suo primo anno di vita e gli sviluppatori stavano ancora esplorando le capacità della console Sony. Poi un bel giorno uscì un titolo che spesso viene ricordato per il fatto di aver portato con se la demo di uno dei giochi più controversi e criticati della storia dei videogiochi. Stiamo parlando di Zone of the Enders, capostipite di una delle più interessanti saghe fantascientifiche mai approdate su console e che a fine 2012 è tornato a fare capolino sulla scena ludica cavalcando l’onda dei numerosi remake HD che da qualche anno a questa parte ripropongono vecchie glorie del passato.
Versione Testata: Xbox 360
Prodotto dal maestro Hideo Kojima con la collaborazione di un team di tutto rispetto tra i quali trova spazio Yoji Shinkawa (che firma il mecha design del gioco dopo aver incantato con i suoi lavori per Metal Gear), Zone of the Enders segna il debutto di questa serie action in terza persona su Playstation 2. All’uscita del primo capitolo, l’attenzione si focalizzò principalmente per la presenza della demo di Metal Gear Solid 2 all’interno della confezione del gioco, che come potete immaginare spinse notevolmente le vendite del gioco. Entrambi i capitoli di Zone of the Enders ruotano intorno alla figura di un Orbital Frame chiamato Jehuty, un mech dalle fattezze umanoidi e dalle grandi prestazioni capace di sbaragliare l’attacco di BAHRAM, un organizzazione terroristica pronta a distruggere una colonia orbitale situata nei pressi di Giove.
In ZOE vestiremo i panni di Leo Stenbuck, un indifeso abitante della colonia che farà di tutto per proteggere la sua amica d’infanzia e gli abitanti, tanto da arrivare a pilotare il Jehuty soffocando i propri sentimenti per il bene degli altri. Sulla falsariga di serie anime che hanno segnato l’animazione giapponese come Neon Genesis Evangelion o Mobile Suit Gundam, la trama di ZOE mostra diversi punti di contatto con le serie in questione, puntando molto sulla spettacolarità delle sequenze d’azione e sulla drammaticità degli eventi.
Maggiormente fa il sequel, uscito qualche anno dopo, nel quale cut-scene in computer grafica presenti nel primo capitolo vengono sostituite da filmati animati di ottima fattura in grado di immergere maggiormente il giocatore nella storia. In The Second Runner troviamo invece un cambio nel ruolo del protagonista che con il passaggio delle consegne dal fragile Leo al tenebroso Dingo Egret anche le tematiche si fanno maggiormente più tese ed articolate. E se in ZOE, anche a causa della sua brevità, la psicologia dei protagonisti viene appena accennata, Second Runner sviscera questo aspetto, creando personaggi profondi ed interessanti, supportati da una storia avvincente e ricca di colpi di scena.
I due capitoli di ZOE si presentano come action dalle dinamiche frenetiche. Durante il periodo d’uscita del primo episodio il sistema di gioco incuriosì per l’immediatezza dei suoi scontri decisamente scenografici, un gameplay di rottura rispetto alla macchinosità di altri titoli analoghi con mech e robottoni, tanto da riuscire a ricreare spettacolari battaglie degne della miglior serie animata. Il Jehuty è capace di muoversi nello spazio con libertà d’azione a 360°. Grazie alla sua tecnologia avanzata è in grado di fare affidamento su un arsenale di tutto rispetto, oltre a potenti raggi laser traccianti e una letale spada integrata nel suo braccio destro.
ZOE 2 riesce addirittura a migliorare le meccaniche di gioco, ripulendo gli elementi di troppo ed andando a snellire le azioni eseguibili dal Jehuty rendendo il tutto ancora più immediato e godibile, intervenendo sia sul sistema di lock dei nemici e della telecamera virtuale posta alle spalle del mech, punti deboli della prima uscita, qua ottimizzati per una resa più soddisfacente.
Ritroviamo un cambio anche nella struttura dei due giochi, dove la confusionaria mappa simil free-roaming lascia spazio ad una più classica a livelli sequenziali, che a scapito di una maggior linearità garantisce un miglior svolgimento della storia. Memorabili le boss fight di entrambi i titoli, che toccano l’apice nel secondo capitolo regalando alla storia alcuni dei momenti più alti della produzione Konami, facendoci ricordare come una doccia fredda improvvisa, il perché di tanto amore nei confronti di questa serie.
L’aspetto positivo di queste collection è quello di recuperare in un colpo solo due o più titoli che hanno fatto la storia del videogioco. Questa ritorno di Zone of the Enders e relativo seguito, nonostante il prezzo contenuto dell’intera opera vede meno la presenza di extra aggiuntivi, elemento che avrebbe di sicuro impreziosito questa operazione di recupero e restyling.
Gli unici contenuti aggiuntivi sono quelli presenti nell’edizione speciale europea che accompagnarono l’uscita di The Second Runner, ovvero una modalità training e una Versus a due giocatori.
La modalità Versus permette a due giocatori di sfidarsi, purtroppo solo localmente, pilotando uno dei mech disponibili, che si renderanno accessibili solo con la progressione del gioco. Questa modalità soffre dei problemi dell’originale: la mancata presenza di uno split screen e la struttura in terza persona rendono impossibile fruire a pieno di questa opzione.
Poteva essere questa invece l’occasione, vista l’attenzione di Kojima per la serie, di arricchire il tutto magari con art work o making-of o altri contenuti capaci di attirare l’attenzione anche dei vecchi fans e dare maggior spessore a questa collection.
Ma vediamo insieme come sono invecchiati questi due titoli e quanto questo remake HD abbia apportato migliorie all’estetica del gioco. Indubbiamente a guadagnare maggiormente da questo restyling è il secondo capitolo, che già a suo tempo aveva regalato grandi gioie visive. La struttura poligonale è rimasta pressoché invariata, ma la pulizia grafica dovuta all’alta risoluzione e l’utilizzo di texture più definite aiutano i due titoli ad avere una resa grafica accettabile nonostante il peso degli anni sulle spalle. I giochi della collection vengono anche adattati al formato 16/9 dei televisori attuali mentre viene aggiunta una nuova intro per i due titoli con l’inserimento di nuove sequenze animate. Però non è tutt’oro quello che luccica e nonostante il makeover abbia reso il tutto più appariscente, il rovescio della medaglia è un frame rate ballerino capace di infastidire le nostre partite con frequenti rallentamenti dovuti dall’uso massiccio del motion blur e dei filtri applicati in game. Nulla di irrimediabile o che renda impossibile fruizione del gioco, anche se questa è la dimostrazione della poca ottimizzazione di cui ha goduto il gioco, che come sempre ci fa pensare malignamente alla classica operazione di recupero per monetizzare da parte della software house di turno piuttosto che all’omaggio per i giocatori e i fans di vecchia data.
Anche il comparto sonoro ha subito il suo bel restyling, presentando brani rimasterizzati e un remix per Beyond the Bounds, opening del secondo capitolo che qua trova nuova vita come tema dell’intera collection. Occasione mancata per introdurre il doppiaggio giapponese. Come nelle due uscite precedenti viene riproposto lo stesso voice acting inglese, presentando al tempo stesso i medesimi problemi di sincronia già apparsi nell’originale.
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