Lo scorso anno è approdato sul suolo nipponico un sequel di El Shaddai: Ascension of the Metatron. Stiamo parlando di The Lost Child che, grazie a NIS America, è stato distribuito anche in occidente su PlayStation 4 e Nintendo Switch da ormai qualche mese. Dopo aver giocato a fondo il titolo su entrambe le piattaforme, siamo finalmente pronti a dirvi la nostra.
Versione testata: PlayStation 4 & Nintendo Switch
The Lost Child è a tutti gli effetti un sequel di El Shaddai, action RPG rilasciato nel 2011 su PlayStation3 e Xbox 360. Ci troviamo a distanza di ere dagli eventi allora narrati ma è possibile rendersi conto del collegamento sin dalle prime ore di gioco, tanto dal punto di vista di contenuti quanto da quello della narrazione. Il giovane Hayato, giornalista presso LOST, una rivista dell’occulto, sta indagando su una serie di suicidi che stavano avvenendo in massa nella stazione della sua città. Lui stesso rischia di finire vittima degli strani eventi di quelle settimane, quando viene salvato da una misteriosa ragazza che gli fornirà una valigetta prima di sparire. Farà poi la sua comparsa Lua, una ragazza angelo che accompagnerà il nostro protagonista e che gli racconterà di come al suo interno ci fosse il Gangour, un’arma divina concessa da Dio allo “Choosen One” per compiere una missione di vitale importanza. Per tutta la durata del gioco ci ritroveremo a che fare con personaggi criptici di cui sarà possibile scoprire di più solamente con il proseguire della storia. L’intera narrazione ricorda così quella di El Shaddai, con elementi poco chiari e che cerca continuamente di sorprendere il giocatore con dei colpi di scena a catena. La verità è però ben diversa e seppure il tutto sia godibile e acquisisca senso verso la fine, ci troviamo davanti ad una produzione con molte lacune e, a nostro parere, anche con qualche svista.
The Lost Child è un dungeon crawler con classici combattimenti a turni. La fase esplorativa avviene all’interno di dungeon chiamati Layer suddivisi in più piani alla cui fine ci sarà il boss di turno da sconfiggere. Per proseguire sarà richiesta la risoluzione di uno o più enigmi, a volte interessanti, a volte frustranti a causa di un adattamento in lingua inglese non proprio riuscito (discorso che approfondiremo meglio in seguito). I combattimenti, invece, vedranno in campo i nostri due protagonisti affiancati da 3 Astrals (più un gruppo di riserve) con cui contrastare i nemici. Si tratta di creature demoniache, angeli caduti e/o puri che potremo catturare con il Gangour. Da questo punto di vista ci è sembrato forte il richiamo all’universo di Shin Megami Tensei, nonostante il modo differente di procedere all’acquisizione di questi nostri alleati. Anche il team building è di vitale importanza vista la necessità di variare gli elementi per sfruttare appieno le debolezze degli avversari.
Mentre i nostri protagonisti saliranno di livello acquisendo punti esperienza, per potenziare i “servitori” si dovranno spendere punti karma (acquisiti a fine battaglia). Ognuno di essi avrà però un level cap che sarà possibile sbloccare tramite la EVILve, operazione che però resetterà il nostro alleato. Tra le varie opzioni che avremo a disposizione c’è quella di analizzare degli oggetti misteriosi al fine di ottenere equipaggiamenti sempre più forti o anche quella di spostare delle abilità da un demone all’altro (al giusto prezzo).
Nel corso della nostra esperienza, durata circa una trentina di ore tra storia principale e sub quest, abbiamo spesso notato alcune scelte di game design che ci hanno fatto storcere il naso. Ad esempio, verrà registrato all’interno di un apposito menù di gioco ogni informazione utile relativa al proseguire della trama, per permettere al giocatore di recuperare sempre i precedenti avvenimenti. Tuttavia, lo stesso non accadrà per le missioni secondarie per le quali occorrerà avere letteralmente una memoria di ferro per ricordarsi di ogni dettaglio (o munirsi di carta e penna). Un’altra scelta che, secondo noi, è stata poco lungimirante, riguarda gli effetti secondari delle armi e le statistiche. Ce ne sono veramente tante ma manca ogni descrizione che potrebbe essere effettivamente di aiuto e, anche a gioco finito, i nostri dubbi sono rimasti. Il peggio del peggio, probabilmente, l’abbiamo trovato però nel sistema di apprendimento delle abilità. Durante il combattimento, in modo completamente casuale, si attiverà il Fruit of Wisdom che, anziché far compiere l’azione selezionata al personaggio coinvolto, lo obbligherà ad utilizzarne un’altra gratuitamente, sconosciuta e randomica, e che sarà da quel momento in poi sempre disponibile nel suo moveset.
La lista di difetti continua poi con il già citato adattamento in lingua inglese che non è dei migliori. In diverse situazioni ci è stato difficile capire come risolvere i puzzle proposti nei Layer proprio perché la descrizione dell’indizio ivi presente era priva di alcun senso. Anche le varie sezioni di backtracking richieste, vuoi per completare una quest secondaria, vuoi per ottenere specifici achievement, sono state spesso tediose.
Da un punto di vista di stile, invece, The Lost Child probabilmente dà il meglio di sé. Continuano i richiami all’universo di Shin Megami Tensei grazie all’aspetto dei vari Astrals che incontreremo nel corso della nostra avventura. La varietà è piuttosto alta in quanto ognuno ha un design unicamente suo (che sarà ripreso e modificato solamente a seguito di un EVILve). Col suo aspetto interamente in due dimensioni, dal punto di vista visivo The Lost Child riesce quindi ad essere particolarmente godibile, con una veste grafica senza pretese ma piena di evidenti punti di forza. Nella versione Switch, invece, abbiamo notato come il framerate cali particolarmente durante alcuni attacchi pieni di effetti speciali e, purtroppo, siamo stati anche vittima di alcuni rallentamenti durante l’esplorazione dei dungeon.
Lo stesso discorso non si applica, però, alla colonna sonora. Fa sì il suo dovere di accompagnare con i suoi arrangiamenti, ma lascia davvero il tempo che trova. Abbiamo quindi musiche facilmente dimenticabili e che non sono riuscite a coinvolgerci minimamente in nessuna occasione. Giocare con o senza audio, probabilmente, avrebbe dato un effetto fin troppo simile.
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