Era inevitabile: dopo aver toccato saghe come Star Wars, Pirati dei Caraibi e ben due incursioni nel mondo fumettistico DC Comics, una migliore dell’altra, Traveller’s Tales ha finalmente deciso di varcare i confini della Terra di Mezzo, catapultandoci direttamente nel finire della terza era sulle tracce di Frodo & company. E lo fa, ancora una volta, regalandoci un’atmosfera immersiva con un intero doppiaggio e sequenze che seguono i momenti salienti della trilogia rappresentata sul grande schermo da Peter Jackson.
La formula è la solita, consolidata e piacevole dei titoli LEGO di questa generazione: molti puzzle, diverse spinte al gioco libero, e un’enorme possibilità esplorativa garantita da svariate location tratte direttamente dall’universo di Arda (perlomeno la parte visitata dalla compagnia). Tanto basta per rendere LEGO Il Signore degli Anelli un classico al pari dei suoi predecessori? Purtroppo la risposta non è completamente positiva…
Dal punto di vista della fedeltà alle ambientazioni, è innegabile che il feeling dato dal gioco è molto, molto simile a quello che si potrebbe provare leggendo i libri originali o guardando una scena dei film: Mordor è una terra inospitale, e la piana davanti a monte Fato che si spalanca davanti ai giocatori nell’introduzione di Isildur ne è l’esempio perfetto, con i suoi fiumi di lava che scendono alle pendici del vulcano e la cenere che cade dall’alto a ricoprire il terreno. Stesso dicasi per le rilassanti atmosfere della Contea (effettivamente, dopo aver passato qualche tempo a pescare e aggirarsi senza una reale meta, abbiamo capito perfettamente il perchè della profonda malinconia di Frodo durante il suo viaggio), o per le gloriose traversate fatte dalla compagnia durante il viaggio.
Il motore grafico, da questo punto di vista, fa veramente del suo meglio nonostante le limitazioni dovute alla natura multipiattaforma del gioco, e risulta immersivo quanto basta senza strafare. Ovviamente, però, dubitiamo che Tolkien avesse in mente elementi scenici fatti di mattoncini danesi quando ha realizzato la sua massima opera, e in Lego: LotR questo è più evidente che mai. Certo, edifici e costruzioni maggiori sono realizzate in maniera realistica, ma quando si tratta di dover fare i conti con altri elementi interagibili (rocce che bloccano la strada, porte, percorsi obbligati e passaggi), anche il meno acuto degli osservatori è immediatamente attratto con lo sguardo da questo distacco così grande e palese dallo stile grafico normale. Non ci sentiamo però di definirle note completamente stonate, d’altronde abbiamo per le mani un prodotto che non fa alcun mistero della sua natura Lego, e il fascino di poter costruire il portale d’ingresso a Moria, prima di vederlo spalancare davanti ai nostri occhi è innegabile. E questo è soltanto uno degli esempi che il gioco offre, di due mondi grafici nettamente distinti ma che non cozzano l’uno con l’altro, semplicemente coesistono a ricordarci la duplice natura del gioco.
Purtroppo, se da una parte questo incrementa l’attrattiva, dall’altra è anche una forte limitazione, sia a livello di difficoltà che di resa espressiva.
Per quanto riguarda il primo punto, l’impossibile fusione grafica dei due mondi (LEGO e Arda) crea un modo sin troppo plateale del gioco di puntare il dito verso gli enigmi. Ogni volta che il giocatore si trova in “difficoltà” con un enigma, il modo più rapido per risolverlo è ricordarsi che gli unici elementi interagibili sono costruiti in mattoncini Lego. Qualsiasi altro passaggio privo di questi ultimi o è inutile o puramente scenografico. Se poi a questo combiniamo i memorandum sin troppo frequenti che il gioco riporta (come ad esempio quale personaggio può fare certe azioni, interagire con certe categorie di oggetti, obiettivi e missioni), ce n’è abbastanza per contraddire persino il celebre pensiero di Boromir.
Previo, ovviamente, che i giocatori abbiano un po’ di creatività: un conto è avere sottomano tutti gli strumenti senza doverli cercare, tutt’altro è saperli usare, ed è su questo che Lego: LotR si salva.
Sempre parlando di semplicità, stavolta in maniera decisamente più positiva, una nota di merito va all’interfaccia di gestione personaggi, decisamente migliorata rispetto ai precedenti titoli nel brand, al punto da rendere molto più fluido anche il combattimento: la prima sfida contro Sauron, sebbene non richieda niente di più che l’uso rapido e preciso della lama di Elendil, può facilmente essere trasformata in un efficace triplice assalto coordinato contro il signore di Mordor degno del miglior film di cappa e spada, semplicemente utilizzando la nuova ruota dei personaggi. Non che gli scontri siano particolarmente difficili, intendiamoci, ma è una piacevole coreografia che aiuta a nascondere meglio la sensazione di finzione delle battaglie di massa. Sebbene difatti i nemici arrivino alla spicciolata e in percorsi prestabiliti anche nei grandi scontri, c’è sempre qualche personaggio secondario impegnato in combattimento, ognuno con il proprio stile, e bene o male si ha l’impressione di una vitalità dello scenario di battaglia. Niente di maestoso, intendiamoci, ma nemmeno delle zone morte.
L’altra nota, veramente dolente, tuttavia, arriva quando gli scontri terminano e iniziano le sequenze filmate… In quel momento, Lego: Lord of the Rings mostra il suo lato oscuro, mascherandolo con una ironia al limitare dell’offensivo. Se il giocatore è disposto a scendere a compromessi per quanto riguarda la resa grafica, la difficoltà e persino per le atmosfere generali degli scontri, non è ammissibile un cambio di tono così estemporaneo e forzato come nella maggior parte delle sequenze del gioco.
Ora, è perfettamente comprensibile che utilizzare dei personaggi Lego comporti delle evidenti limitazioni, ma questo non giustifica l’apparente necessità degli sviluppatori di inserire sequenze comiche, come un orchetto che emerge stordito da sotto l’elmo di Sauron dopo che questo gli è caduto addosso a seguito della sconfitta. Quello che manca al gioco, purtroppo, è spesso la capacità di tracciare una linea fra la serietà e la necessità di stemperarla con siparietti divertenti, che risultano tali solo quando non sono forzati e non causano un violento cambio d’atmosfera nel mezzo di una sequenza più ampia. Mentre spezzoni come l’incapacità di Gandalf di orientarsi senza incappare in qualche elemento architettonico di casa Baggins (che peraltro è presente anche nella trilogia Jacksoniana) sono quasi piacevoli e appropriate al tono generale, altre sono decisamente fuori luogo, specie in un gioco in cui l’atmosfera è sottolineata anche da un doppiaggio integrale e una colonna sonora estremamente tematica come quella prodotta da Howard Shore. Riprendendo l’esempio di cui sopra, questo si ha nel bel mezzo della battaglia, immediatamente dopo la morte di Elendil e subito prima della scalata al monte Fato con annesso tradimento di Isildur. E purtroppo, una stecca del genere, non è un caso isolato…
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