Recensione Splatterhouse

Nel remoto 1988, Namco ebbe il coraggio di produrre un videogame che andava in totale controtendenza con i videogiochi dell’epoca. Stiamo parlando di Splatterhouse. Il gioco era un normalissimo picchiaduro a scorrimento con la sola peculiarità di essere un’esplosione totale di violenza e sangue, un titolo dai contenuti talmente forti che fu il primo videogioco ad essere censurato!

Splatterhouse, a vent’anni di distanza dai suoi primi successi, è ritornato finalmente sulle console di questa nuova generazione e promette anche questa volta fiumi di sangue, sbudellamenti e atmosfere da film horror di serie Z. La trama sembra poco più che un pretesto per gettarvi nella mischia e per strappare gli arti ai vostri poveri nemici (la storia è la stessa del primo Splatterhouse): impersonerete Rick Taylor, uno studente di parapsicologia, che si ritrova a dover affrontare un’odissea alla ricerca della fidanzata Jennifer rapita dal professor Henry West. Contro di voi si scatenerà un’orda di mostri e creature dall’aspetto inquietante.
L’unico aiuto che avrete sarà “la Maschera del Terrore”, un particolarissimo oggetto senziente che vi guiderà durante tutto l’arco dell’avventura (un vero co-protagonista), donandovi anche poteri strepitosi, una forza mostruosa e disumana e la capacità di rigenerare le ferite ricevute.
Il prologo di Splatterhouse non sembra essere dei più innovativi ed originali, e nonostante il resto della trama sia stato curato niente meno che da Gordon Rennie (Judge Dredd e Necronauts) non si riscontrano colpi di scena con risvolti interessanti e particolarmente coinvolgenti.

Dal punto di vista del gameplay, Splatterhouse non si discosta dalle meccaniche caratteristiche degli action di questa generazione e segue dei canoni piuttosto classici: dicotomia attacco veloce-attacco potente, salto, presa, scatto, parata/schivata ampliabili grazie al sistema di potenziamento, che naturalmente richiederà un pegno in sangue accumulato in campo di battaglia. Sono presenti varie combo di attacco da scoprire, tecniche evasive e Quick Time Events, tutto molto godibile, ma nulla di più: nessuna novità rispetto a titoli come God of War o Dante’s Inferno o Castlevania.

Le combo saranno devastanti e copriranno i vostri schermi spesso e volentieri con copioso sangue, budella e pezzi di mostri. Particolarmente cruente saranno le esecuzioni dei nemici non appena questi perderanno una considerevole quantità di vita. Le esecuzioni, o tecniche Splatter, possono essere eseguite dopo una presa, con le levette analogiche del joypad e hanno il compito principale di appagare la vostra sete di sangue nei confronti dei malaugurati nemici che tenteranno di fermarvi.
Come nei precedenti capitoli di Splatterhouse, sono disponibili vari tipi di armi, dalle motoseghe ai fucili a canne mozze,dalla mannaia fino alla vecchia e mai dimenticata 2×4 (la classica trave di legno chiodata).

Come se la carneficina non fosse sufficiente, sappiate che anche il sangue che farete scorrere dal nemico è un elemento fondamentale: esso viene raccolto e misurato in litri da un apposito counter, che riempie una barra dalla quale ricavare potere per attivare la maschera, con cui rigenerare i danni subiti o scatenare devastanti attacchi, o risvegliare uno status di berkserk demoniaco con il quale devastare ogni cosa presente con taglienti escrescenze osse.
Oltre la barra vitale del protagonista, gli sviluppatori hanno scelto di mostrare i danni subiti direttamente sul corpo muscoloso di Rick. Se all’inizio, infatti, si tratterà di ferite lievi e qualche escoriazione, man mano che verrete colpiti, il suo corpo si squarcerà, portando in superficie il bianco delle ossa rotte o peggio. A colpi eccessivamente violenti vi sarà persino la perdita di arti, il che limita notevolmente il vostro potere offensivo!

Durante l’avventura oltre alla componente da action 3D, si dovranno affrontare sezioni in 2D in puro stile anni ’90, una componente dal forte sapore di revival per la gioia dei “vecchi” videogiocatori”.
Dal punto di vista tecnico, l’ultima fatica della Namco-Bandai non esalta. I personaggi principali sono composti da una buona quantità di poligoni e sono abbastanza particolareggiati.Il design si rivela per lo più monotono sia per quanto riguarda le ambientazioni sia per i nemici.
Il motore grafico, in generale, sopporta una discreta quantità di poligoni in movimento su schermo, rimanendo quasi sempre fluido nell’azione di gioco.

Il sonoro è molto ben curato: ogni mostro ha il suo lamento distintivo e registriamo la presenza di un gran numero di brani Heavy/Trash Metal perfettamente in linea con la natura Splatter del titolo: Five Finger Death Punch, Mastodon, Lamb of God e molte altre band hanno prestato la loro opera a questa riesumazione di un classico di un ventennio fa. Molto buoni anche tutti i doppiaggi, sebbene alla fine le voci ”umane” presenti siano quelle di soli quattro personaggi: Rick, Jenny, West e la Maschera. Queste sono tutte in lingua Inglese, ma sono sempre disponibili sottotitoli in Italiano, con una traduzione discreta.

SplatterHouse ha anche qualche piacevole sorpresa. Quest aggiuntive relative alla ricerca dei pezzi delle foto di Jenny (alcune decisamente V.M.14) o ai diari del Dott. West,i tre SpletterHouse originali presenti sottoforma di contenuti speciali da sbloccare e interamente giocabili dal menù principale e arene di sopravvivenza arricchiscono l’esperienza di gioco.
Questi elementi, uniti alla difficoltà intrinseca (anche troppo frustrante in alcuni punti) e alla presenza di tre livelli di difficoltà rendono l’esperienza di gioco abbastanza soddisfacentemente, nonostante il tempo di completamento di un play-ground sia di 6-7 ore.

SplatterHouse sicuramente non è nato con grandi pretese se non quella di portare sui nostri schermi un massacro gratuito con ettolitri di sangue in tributo ed onore di un grande classico degli anni ’80-’90, puntando tutto su una cruenza che oggi come oggi non fa più scalpore, incapace di essere supportata da un gameplay divertente senza trovate originali. E’ un peccato che alcune scelte di gameplay, unite a dei caricamenti TROPPO lunghi ed estenuanti, rendano l’esperienza più frustrante del necessario. Con uno studio più approfondito si sarebbe sicuramente potuto fare di meglio. Per il resto è un gioco senza particolare profondità ma, specialmente per gli amanti dello splatter e per i nostalgici, rimane un titolo godibile e divertente.

Verdetto
6.5 / 10
Sangue come se piovesse
Commento
Il remake sviluppato da Namco Bandai rende bene omaggio all'arcade originale, aggiungendo dettagli e sfaccettature "spazio-temporali". Il gameplay estremamente crudo che sa farsi odiare per via di alcune scelte francamente discutibili (nelle sezioni 2D, soprattutto), alla fine dei conti riesce a tenere noi videogiocatori incollati allo schermo per tutti i dodici livelli della storia, nonostante le mille imprecazioni e gli assurdi tempi di caricamento. Imperdibile per i nostalgici di Splatterhouse e per chiunque abbia desiderio di mettersi alla prova con un action game dall'inaudita violenza e libero da intricate trame ed enigmi rompicapo. A tutti gli altri appassionati di action-game è consigliata una prova prima dell'acquisto, considerata la quantità di difetti tanto copiosa quanto il sangue virtuale versato. Posate il cervello e iniziate a sbudellare, squartare, massacrare e dilaniare tutti i necro-nemici con tutta la vostra ira accompagnati da una colonna sonora adrenalinica.
Pro e Contro
Contiene i tre capitoli originali
Sequenze in 2D ben realizzate
Ottima colonna sonora

x Combattimento banale e ripetitivo
x Eccessivi tempi di caricamento
x Longevità e rigiocabilità ridotte all'osso
x Privo di vera profondità

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