L’insopportabile leggerezza dell’essere.

Voleva essere il titolo di quest’articolo, ma ho preferito fosse una frase introduttiva e riassuntiva dell’agglomerato di pensieri scritti che seguiranno.

Spesso sento la gente, i miei stessi colleghi (sono una psicologa) e soprattutto quei benedetti genitori demonizzare i videogiochi, con Grand Theft Auto in testa, che sia mai ne conoscano altri. L’accusa è di essere incubatori di violenza. Eppure questa crociata moralista contro i videogiochi omette un dettaglio fondamentale: la violenza è parte integrante della natura umana, non è un’invenzione digitale. Gli impulsi aggressivi non si “insegnano” tramite un gioco, sono eredità della nostra evoluzione, e sostenere che i videogiochi con trame ed obiettivi violenti e/o aggressivi siano la causa di gesti scellerati, di comportamenti psicologicamente aggressivi e via dicendo, è una semplificazione superficiale.

Sono davvero i videogiochi la causa dell'aggressività?

Buongiorno a tutti! Qui è la scienza che parla e cercherà (inutilmente) di togliervi quel sorriso beffardo da sottotuttoio.

Sapete che esiste addirittura un modello che ci spiega com’è che va a generarsi l’aggressività di cui vi piace tanto parlare? Si chiama General Aggression Model, buttato giù da professori di Psicologia dell’Iowa, che evidentemente ne avevano avute di beghe e ne hanno fatto il senso della loro vita, in cui tentano anche loro di far comprendere come l’aggressività sia il risultato di un intreccio complesso di fattori personali e situazionali. Cosa significano queste due paroline?

Analizziamole insieme, cari amichi e amiche.

Per cui GTA, Call of Duty, pure Fortnite (che a mio parere è assolutamente un gioco per adolescenti, per nulla aggressivo), da soli non hanno il magico potere di trasformare le personcine in violenti assassini psicopatici; piuttosto, come qualsiasi altra esperienza, sono in grado di influenzare stati mentali temporanei, ma senza scavalcare la personalità e il contesto di vita di ognuno di noi.

Riprendendo il famoso titolo GTA, nella sua quinta versione, è stato utilizzato in uno studio che intendeva avvalorare una teoria particolare: la teoria della frustrazione dell’aggressione. Il prof Ferguson aveva in mente che il comportamento aggressivo non derivasse dalla violenza in sé, ma dalla frustrazione che può nascere quando una persona è ostacolata in qualcosa di importante. Per cui, dato che GTA V è un videogioco molto impegnativo, potenzialmente può generare frustrazione, senza automaticamente innescare l’aumento dell’aggressività.

A conferma di ciò, quest’anno il mitico doc Ferguson ha monitorato le reazioni empatiche di un gruppo di giovani adulti (18-30 anni) mentre giocavano proprio al titolo citato, sia in versione “violenta”, sia in una versione modificata in cui sono stati rimossi obiettivi, oggetti tipicamente connessi alla violenza (coltelli, sangue, sparatorie. Penserete voi: ma allora non hanno giocato a GTA. Siate comprensivi, lo studio deve essere attendibile ed è necessario creare una versione in cui mancano le suddette caratteristiche per poter fare un paragone). Ritornando al nostro studio, usando la risonanza magnetica funzionale, si è visto che tutte le aree cerebrali che ci consentono di essere delle personcine per bene si attivavano in modo pressochè simile, non c’erano differenze significative. Per i nerdoni: amigdala, insula e corteccia temporale, aree legate all’empatia, non avevano un’attivazione minore rispetto a quanto non sia stato registrato nei soggetti che giocavano alla versione peaceandlove.

Ripetiamo tutti insieme: i contenuti violenti non sono predittori di aggressività.

La difficoltà può aumentare la frustrazione, ma questa non si traduce in aggressività, e il contenuto violento in sé non influenza né la frustrazione né l’aggressività. Insomma, puntare il dito contro il videogioco non solo è poco accurato, ma serve solo a distogliere l’attenzione dai veri fattori che stanno alla base di questi comportamenti.

Cosa ci stai volendo dire Eleonora?

Il videogioco che generalmente viene considerato causa di ogni male, perché posso sparare, investire le persone, rubare automobili, e via discorrendo, in realtà consente al giocatore di esplorare in totale libertà comportamenti “divertenti”, ludici, irrealistici, che nella realtà non farebbe mai, all’interno di un ambiente sicuro, incanalando impulsi in un’esperienza positiva e strutturata.

Riflettiamo, quindi, sulle potenzialità di questi spazi virtuali per la gestione e comprensione di noi stessi per aiutarci a migliorarci e anche ad evitare di somatizzare stress, ansia e chipiùnehapiùnemetta, magari semplicemente giocando alla Play.

#LiveTheRebellion