Anno nuovo, vita nuova? No. I vecchi problemi e le vecchie questioni ci aspettano sempre alla porta, inutile far finta di nulla. Quest’anno infatti si apre con la vecchia questione chiamata “intelligenza artificiale”, in una lettera del producer Square Enix che esplicita la volontà di usare estensivamente l’IA generativa. Ma che dico estensivamente, di più: aggressivamente.
In campo videoludico non è nemmeno un discorso nuovissimo. C’è ad esempio Niantic – sì, i geniacci di Pokémon GO – che sull’IA generativa ha fatto un intero videogioco. È qualcosa di interessantissimo vedere come si applica questo nuovo mostrone ai cari amati videogiochi, ci ho passato le ore e ci torno ogni tanto.
Sarebbe però piuttosto sciocco ignorare il proverbiale elefante nella stanza, una scure che sembra incombere sulle nostre teste da ormai un tot di tempo. Tutto molto bello, ma quali altre implicazioni ci sono dietro le quinte?
Il lato positivo della riflessione inizia a maggio 2023. Niantic rilascia Peridot, il loro ultimo sforzo in materia di realtà aumentata per cellulari. Di che si tratta è semplice da spiegare in poche parole: un Tamagotchi per cellulare. C’è questo animaletto a schermo che bisogna nutrire e far giocare, crescere e poi far riprodurre con altri per dar vita a una fiorente progenie. Il tutto con il mondo reale sullo sfondo del cellulare, a fotocamera costantemente attiva per rilevare lo spazio circostante.
Una feature fondamentale del gioco che mi ha mandato in visibilio. Ho lanciato una pallina e l’ho vista rimbalzare a schermo sulle superfici che vedevo nel mondo reale, e l’animaletto inseguirla finendo nascosto alla vista dietro un muro per poi sbucare di nuovo fuori. E poi ancora, tra le missioni del giorno figura “inquadra un albero”. Poi “inquadra un mobile”. Poi “accoppia il tuo Dot” – e qua il gioco prende i tratti distintivi di due creaturine e li combina generandone una unica nel suo genere (parrebbe).
Siamo arrivati a questo punto. La fotocamera di un telefono ha smesso di fare una copia carbone di ciò che ha davanti, senza nemmeno capire cosa fa (un po’ come lavoro io il 90% del tempo). Ora sa cosa sta inquadrando, lo capisce e avvisa un Tamagotchi – una roba che vent’anni fa era disegnata a quadratini in un dispositivo a forma di uovo delle dimensioni di un ovetto Kinder. E a giudicare la miriade di notifiche al giorno si è anche riusciti a riprodurre fedelmente l’insistenza di un vecchio Tamagotchi.
Ma in che modo questo influisce sui videogiochi?
È interessante riflettere non solo su ciò che in quanto persone che videogiocano possiamo aspettarci noi, ma anche sul supporto e sulle complicazioni che sviluppi in questa direzione possono apportare al settore.
Come suggeriva anche CNN un po’ di tempo fa, ad esempio, una delle potenzialità dell’IA generativa sarebbe quella di rendere meno “stringa di codice” e più realistici i personaggi non giocabili di un videogioco. Prevedibili, maltrattabili al punto da fare uno studio psicologico su chi li maltratta, “sei peggio di un villager di Minecraft” è uno dei coloriti modi per insultare una persona che videogioca. In modo anche più divertente, questo va conceduto.
Pensate se il maggiordomo di Tomb Raider più di venti anni fa avesse potuto sfondare la porta del frigo a calci e pestare di botte Lara. Pensate se gli NPC di Pokémon invece di muoversi su un binario e sparire alla fine per riapparire all’inizio potessero seriamente sembrare persone normali (impossibile, lo so).
Pensate a un gioco più semplice perché l’IA di sfondo ha deciso che chi ha in mano il joystick cazzeggia, o più difficile perché ha capito che deve davvero starsi annoiando.
Pensate però anche a chi ha sotto mano una tastiera.
L’intelligenza artificiale è molto figa e intrigante, non lo posso negare. Tra l’altro io lavoro proprio nel settore IT, quello che al momento è in fermento per questa “novità” che brilluccica di opportunità future.
Tuttavia io lavoro anche in un altro settore che ha a che fare con l’IA – quello delle traduzioni di videogiochi. Non se ne parla spesso, ma molti colleghi e molte colleghe della traduzione stanno cercando di portare all’attenzione come l’evoluzione tecnologica venga inevitabilmente usata nel modo peggiore. Ad esempio lasciandole tradurre più di quanto sia umanamente sensato fare, così da sottopagare (o non pagare proprio) specialisti/e umani/e con la vecchia scusa del “tanto devi solo ricontrollare, è già tutto tradotto”.
Questo è solo uno dei motivi di preoccupazione quando si parla di IA. Tra le altre ragioni vengono inclusi ad esempio i cosiddetti deepfake, quei software che usano particolari “filtri” per dare a una persona il volto di un’altra; la generazione degli script per film, videogiochi e molto altro; la registrazione e il riutilizzo delle voci dei doppiatori legittimato solo dalla mancanza di legislazione appropriata. Tutte situazioni che possono eventualmente sfociare non solo in quanto di più simile alla violazione dell’identità di una persona, ma anche ad altri casi come il già citato “lol non ti pago, ha fatto tutto l’IA“.
Indubbiamente l’IA aiuterebbe non poco nel settore dei videogiochi. Tra le altre cose è un bel risparmio di tempo per chi i giochi li sviluppa, che magari alcune cose più tediose e ripetitive potrebbe sbrigarle premendo giusto un pulsante “riutilizza”. Con l’IA generativa basterebbe letteralmente un paio di frasi chiare per generare la base di una sezione intera di videogioco (“foresta piena di zombi”), e piazzare in punti strategici le ricompense giuste (“grotta piena di mostri di alto livello che finisce in una stanza con una ricompensa rarissima, tolta con nemmeno troppa forza da Pokémon Scarlatto”).
Quindi posso essere d’accordo, cara Square Enix, che “lo sviluppo tecnologico porta opportunità di business” – e nessuno vuole negarvele. Ciò che si chiede è che pur non negando alle corporate quelle opportunità non si neghi alle persone una vita tranquilla. Verosimilmente nessuno sta cercando di arrestare il progresso, quanto piuttosto di adeguarsi per tempo regolamentandolo come si deve. Tradurre, doppiare, sviluppare, scrivere scenografie sono tutti lavori che risentirebbero sì positivamente di un aiuto così grande, ma a un costo veramente grande – che si può peraltro ancora evitare o ridurre.
Onestamente mi preoccupa da morire che nella scelta della miglior espressione di proattività nell’impiego delle nuove tecnologie si sia optato per “utilizzeremo l’IA in maniera aggressiva” (o aggressive in inglese, o sekkyokuteki in giapponese che di base significa appunto “proattivo” ma anche “aggressivo” in quel senso). Come si suol dire, “ai posteri l’ardua sentenza” – e speriamo sia solo una pessima scelta di parole.
Ma il popolo medio sbuffa: deve aspettare mesi per la prossima stagione perché questi stanno in sciopero.
Noi siamo i consumatori, e lo status quo vede le persone più attente al lato umano in netta inferiorità numerica rispetto ai consumatori “vecchio stampo” che vogliono solo il gioco nuovo. Al lato umano non riesce a farci attenzione ogni persona. Alcune bisogna spronarle, altre se ne fregheranno per sempre indipendentemente da quanto io possa star qua a dirgli “pensa se fossi tu al loro posto”. Ma bisogna provare comunque, non perché bisogni costringere a pensarla diversamente ma perché male non fa.
Ci abbiamo già pensato almeno una volta a un futuro buio in cui un robot farà il lavoro manuale, in cui l’umanità cadrà in schiavitù delle macchine. Abbiamo rabbrividito e avuto di che lamentarci all’idea, ma la mentalità dilagante è che finché non ti tocca direttamente puoi girarti e farti gli affari tuoi.
No, non deve finire per forza così e probabilmente non lo farà – se non altro perché quei film inquietanti siamo proprio noi esseri umani ad averli concepiti, sapendo cosa vogliamo evitare che accada. Dobbiamo solo prestare ascolto alle persone prima che ai film, ai problemi che portano a galla e all’aiuto che chiedono.
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