Cos’è il videogioco? Domanda devastante. Spesso discutendo titoli come Stardew Valley si usa il termine “life sim”, probabilmente per mandare ancora più in palla chi non ha ancora trovato risposte esaustive al quesito sopracitato. Eppure diciamocelo, se la mia vita fosse alzarmi alle 6 e zappare la terra fino all’esaurimento, non penso che durerei gli anni che ho in-game.

C’è della sottile ironia nelle 300 e rotte ore che ho passato a far amicizia con gli abitanti di Pelican Town, quando dall’ultima volta che ho voluto socializzare irl sono passati eoni. A dirla tutta, la sola idea di pescare mi tocca i nervi, in modo negativo. Ironia, come dicevo. Perché in Stardew Valley ho trovato la mia fuga dal mondo quando questo iniziava a pesare troppo.

Il videogioco è arte

Il parallelismo con la fuga dalla società capitalistica e schiacciante è in realtà giustificato. La vera e propria premessa di Stardew è “trovare un posto nel mondo dove poter disfare per ricostruire con calma”. Quel posto, in questo caso specifico, è il tranquillo paesino di Pelican Town, nella Stardew Valley appunto. Lì giace in rovina una piccola fattoria, che sarai tu ad ereditare da tuo nonno. Giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, anno dopo anno il tuo compito è trasformare tutta quella rovina in qualcosa di lucrativo.

Tolta la premessa in soldoni, l’opera si presenta con una pixel art istantaneamente riconoscibile. Eric Barone, solo sviluppatore, scrittore, compositore del gioco nonché uno dei personaggi più amati nell’industria, ha dato un taglio davvero speciale al tutto.

Forse uno dei tratti più funzionali del gioco, di cui però si parla con poca frequenza, è l’assenza di dead-lines. Certo, esistono obiettivi da seguire e quest da completare, ma nessuno ti impone come e quando agire. Questo senso di libertà totale mi ha colpito in uno dei periodi della mia vita in cui più le scadenze mi pesavano sulle giornate. Forse è questo uno dei suoi punti di forza maggiori, Stardew è nello stesso momento il gioco più stressante, e quello più rilassante che puoi trovarti in mano.

Dissezionando il prodotto ancora più a fondo, c’è un enorme senso di ricompensa nello svolgere i compiti che ti trovi ad affrontare. Una ricompensa che va ben oltre alla mercede di vendere n. zucche di qualità iridio. Anche questo, in se, è dicotomico rispetto alla realtà in cui il lavoro, per molti, è solo fonte di guadagno e non di soddisfazione. Chissà se un giorno, visto come volgono i tempi, quella soddisfazione potrà sfondare il limite dello schermo.

Il videogioco è sfogo

Ovvio che tutto questo discorso va a spaccare la linea ovvia tra finzione e realtà. Eppure, un compito importantissimo dei media è aiutare a comprendere la realtà in modo più esauriente. In un qual senso, la finzione è parte integrante della realtà. È un contenitore dove poter lasciare lo sfogo in modo sicuro. È una lente con la quale scrutinare le sfide della vita.

Ed è qui che un life-sim entra in gioco. Il punto non è insegnarti a tenere in mano una zappa, ma insegnarti che oltre al compenso monetario dovresti puntare alla soddisfazione. Non è il gioco che ti lascia impugnare un M16 a volerti insegnare come si spara. Non è il libro sul nazismo che mette le persone sul lato sbagliato della storia. I media ci formano se li sappiamo leggere, ci informano soltanto in caso contrario.

Ovviamente, non è da sottostimare la componente sociale di Stardew. Non parlo solo del sistema fantastico che ti permette di farti amici, e persino sposare, gli NPC. Io, personalmente, mi sono innamorato del gioco giocandolo in coop. E menomale che qualche sviluppatore crede ancora nei multiplayer da divano, quelli in cui ti siedi con un pacchetto di patatine, qualche bibita e perdi le nottate. Tutto mentre socializzavo sempre di più con una persona che è diventata importantissima nella mia vita. Il discorso non è limitato a Stardew, ma fa il giro per tornare ai parallelismi con la realtà.

La società non esiste, esistono solo gli individui.

Margaret Thatcher
Siamo animali il cui tratto distintivo è una capacità sopraffina di empatizzare, socializzare e fare gruppo. E forse, couch-coop a parte, un’altra lezione del buon Eric è proprio nel dover far rete di contatti per ottenere il massimo dal gioco. Ogni NPC ha una storia da raccontare, se si è disposti ad ascoltarl*. Margaret Thatcher diceva che “la società non esiste, esistono solo gli individui”. Quest’opera, come molte altre, è una risposta culturale a questa scuola di pensiero fallata.

Il videogioco è entrambi

Arte e sfogo. Due medaglie con la stessa faccia. La mia personale risposta alla domanda iniziale. E non ne esiste videogioco più rappresentativo di Stardew Valley, nella mia esperienza personale. Perché no, non saprei maneggiare decentemente una falce senza il rischio di piantarmela su un piede, ma ho bisogno della libertà di poterlo non fare.

Per citare in modo approssimativo un* NPC, Penny nello specifico: “Prima facciamo i conti con la nostra mortalità, più tempo abbiamo da spendere nell’adesso”. Perché la vita è solo 4 stagioni da 28 giorni che si ripetono, e sono le lezioni che decidiamo di imparare a modellarla. E c’è bisogno di titoli come questo per capirci, in fondo in fondo, qualcosa.

C’è bisogno di far gruppo, di opporre resistenza, di prestare formazione. C’è bisogno di arte e di sfogo.

Ho sognato di essere completamente libera, senza dover niente a nessuno se non me stessa.

Jodi, Stardew Valley

#LiveTheRebellion