Quanto è diffuso davvero il disturbo da dipendenza da videogiochi? Cerchiamo di fare chiarezza, analizzando due pareri contrastanti.
La dipendenza e l’astinenza da videogiochi
Da maggio la dipendenza da videogiochi è ufficialmente un disturbo del comportamento, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). A rimarcarlo, ecco un’indagine svolta da Clusit, l’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica. Oltre ai dati sulla scarsa competenza digitale e sull’utilizzo dei dispositivi tecnologici, Clusit ha indagato sul rapporto dei giovani coi videogiochi. Risulta che nella fascia tra i 9 e i 14 anni siano presenti sintomi di astinenza da gioco digitale, tra cui la rabbia per l’impossibilità di giocare.
Di diverso parere è però una neuroscienziata, la Dottoressa Natasia Griffioen, ricercatrice presso GEMH Lab. Durante l’evento Keys to learn organizzato da Ubisoft, infatti, la Griffioen ha messo un freno alle accuse nei confronti dei videogiochi. La ricercatrice ritiene che l’Internet Gaming Disorder esista, ma affligga soltanto l’1-2% dei videogiocatori, e che non ci siano prove sufficienti per dimostrare che i videogiochi creino dipendenza in modo diverso da altri tipi di hobby.
In altre parole, la dipendenza esiste, come esiste per qualsiasi altro passatempo amato dalle persone, ma da lì a colpevolizzare il videogioco in sé ce ne passa.
Videogiocare come cura contro la depressione
Videogiocare può invece essere addirittura una cura, lo sostiene la Dottoressa Griffioen. Alcuni ragazzi utilizzano il gioco per superare problemi come la depressione o l’ansia, e stigmatizzarli come afflitti da dipendenza sarebbe oltremodo dannoso.
I problemi ci sono, come il “ragazzo zombie” di cui hanno parlato Le Iene, ma esistono anche i casi opposti. Qui, ad esempio, un nostro articolo su un ragazzo che grazie ai videogiochi è guarito dalla depressione.
Il dibattito sembra vertere sul potere disturbante dei videogiochi, come se fosse una loro caratteristica intrinseca. La realtà è che, come per ogni medium, la differenza la fa il modo in cui viene utilizzato. Importante in questo senso è la conclusione del rapporto Clusit: il processo di accrescimento delle abilità digitali dei ragazzi non è supportato né dall’ambiente familiare né dal sistema educativo scolastico.
Meno allarmismo e più educazione, quindi, per non sottovalutare né sopravvalutare il problema della dipendenza da videogiochi.
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