Quanto i limiti prestabiliti della realtà videoludica possono tenerci sotto scacco? Come imbrigliare la totalità dell’esperienza tramite il proprio Avatar all’interno del videogioco?

Con l’avvento di Internet, negli ultimi 30 anni svariati nuovi termini hanno cominciato a far parte del linguaggio comune, mentre altri preesistenti hanno talvolta assunto nuovi significati. Esempio paradigmatico è l’espressione avatar – che, per i più curiosi, è derivante dal sanscrito avatāra, il corpo materiale, la forma fisica assunta dalla divinità nell’atto di perseguire la sua missione di restauro dell’ordine cosmico, definito dharma nelle religioni di origine indiana. Nel mondo odierno, l’avatar indica principalmente l’immagine con la quale noi utenti scegliamo di “presentarci” su Internet, in particolar modo nei social; un’immagine che ci rappresenti e che ci renda riconoscibili, nell’atto di creare e configurare il nostro corrispettivo informatico, il nostro io digitale. Mentre nella navigazione all’interno del web l’avatar è un “corpo” statico e quasi sempre bidimensionale, all’interno dei videogiochi esso prende vita, andando a costituire un’autentica espansione di noi stessi nell’atto di interagire con una realtà differente, con le sue leggi e i suoi limiti, che starà a noi sondare.

avatar
No, non si parla dell’omonimo film di James Cameron, ma il principio è lo stesso. Noi siamo il Jake Sully della situazione, che attraverso un avatar si muove all’interno di una realtà altrimenti inaccessibile.
Tassonomia dell’avatar

Avatar relazionali contro avatar agentivi

In “Psicologia dei Videogiochi”(Apogeo Education, 2013) S. Triberti e L. Argenton elaborano una classificazione degli avatar, in base al loro contesto di riferimento e alla loro specifica, virtuale funzione. Immagini del profilo su Facebook, Whatsapp, un qualunque forum: essi, definiti avatar relazionali, vengono distinti dagli avatar agentivi, che viceversa riguardano prettamente il mondo videoludico e che agiscono e comunicano per conto del giocatore all’interno del mondo di gioco. Gli avatar agentivi vengono a loro volta suddivisi in avatar alter-ego, dove il giocatore prende il controllo di un personaggio con caratteristiche pre-impostate fisse (Nathan Drake), e in avatar estensione, dove invece vi è un’assenza di caratteristiche peculiari, le quali vanno stabilite a tavolino, stabilendo fattezze e tratti del personaggio in termini identitari (il personaggio creato in Skyrim, Fallout, Dark Souls, ecc.).

Nell’atto di creare il proprio avatar, possiamo trovare sia giocatori che cercano di proiettare se stessi tanto nell’aspetto del personaggio quanto nelle decisioni che esso prenderà in loro vece, sia altri che viceversa scelgono di distanziarsi dalla “realtà”, andando ad assumere caratteristiche fisiche e comportamentali profondamente diverse da sé, all’interno di un autentico laboratorio etico.

Va da sé che, in quest’ultimo caso, si tratta prevalentemente (ma non solo) di videogiochi RPG, che per definizione si prestano all’interpretazione di un ruolo, dove il tipo di approccio e il livello di coerenza con il proprio aspetto e la propria moralità possono determinare, in molti casi, la qualità stessa dell’esperienza.

skyrim editor
Chi siamo? Da dove veniamo? Ma soprattutto, come ci si potrebbe immedesimare in un orco, a meno di assomigliare a Maurice Tillet?

Per approfondire:
The Witcher 3: Wild Hunt
Il wrestler francese (1903-1954) sarebbe stato probabilmente l’unico in grado di riconoscersi in un personaggio orchesco: affetto da acromegalia, si presume inoltre che abbia ispirato le fattezze dell’orco più famoso del mondo, Shrek.

Certo, vi sono casi di avatar alter-ego che possono essere comunque oggetto di personalizzazione, come Geralt in The Witcher 3, al quale è possibile cambiare barba e capigliatura oltre al classico equipaggiamento. O casi come quello di Rust, dove l’aspetto e il genere dell’avatar, creato da zero, vengono tuttavia attribuiti in maniera casuale e legati indissolubilmente all’account, senza più poterli cambiare: una scelta inusuale a livello di game design, ma che resta interessante dal momento che nella vita reale accade la stessa cosa. Parlando tuttavia di identità proiettiva, è necessario prendere in considerazione i soli avatar estensione, dove l’utente è chiamato, prima di cominciare a giocare, a stabilire (a volte) la razza, il sesso, le caratteristiche fisiche generali del suo corrispettivo digitale.

Un buon videogioco è un'esperienza in grado di lasciare il segno, con il fine di uscirne più ricchi. Di consapevolezze, valori, emozioni, sensazioni

Ed egli vide che ciò era buono

I videogiochi permettono di creare delle versioni ideali di noi stessi

Nella visione maggiormente “purista”, l’approccio al videogioco, specie se RPG, è serio: mettendo da parte, in qualche misura, la consapevolezza del fatto che si tratta di un gioco (e dunque di finzione), l’utente si immedesima il più possibile nella nuova realtà, prende decisioni in linea con la propria moralità e il proprio carattere, ma soprattutto crea un avatar il quanto più possibile a propria immagine e somiglianza.

All’interno delle “devianze” da quest’ottica, basata, conseguentemente, sul rifiuto del videogioco quale semplice passatempo, la più comune è senz’altro quella incentrata sul sé ideale. L’utente adotta come estensione digitale del sé un avatar idealizzato, nel quale proietta l’immagine di come si auspica di diventare un giorno, o più semplicemente di come si vede/vorrebbe vedersi: più bello, più alto, più magro, più robusto, più virile/femminile, più alla moda e via discorrendo. Secondariamente, come alcuni sondaggi hanno messo in evidenza come negli ultimi anni, vi siano state svariate scelte diverse a seguito di motivazioni fortemente dipendenti dal gusto personale, oltre che dall’approccio stesso al videogioco. Ad esempio avatar con caratteristiche influenzate dalla volontà di seguire un trend, oppure aventi il tratto anti-immedesimante per eccellenza: giocare con un personaggio creato deliberatamente con il sesso opposto al proprio.

lara croft & nathan drake
Immedesimarsi in una Lara Croft se si è femmine e in un Nathan Drake se si è maschi costituisce indubbiamente la “via” più facile per immergersi nel contesto e identificarsi nel protagonista. Ma talvolta occorre sforzarsi in senso opposto tramite la dote più potente a disposizione del videogiocatore: la capacità di adattamento.

I due sentieri
Two roads diverged in a wood and I took the one less traveled by, and that has made all the difference.

Robert Lee Frost
Parafrasando il famoso poeta americano, si potrebbe constatare l’esistenza di due vie d’approccio videoludico: il sentiero dell’immedesimazione e il sentiero della sperimentazione. Impossibile stabilire quale possa essere il meno battuto così come il più meritevole da percorrere; approcci diversi possono regalare lasciti ed esperienze diverse, all’interno di un mondo videoludico caratterizzato, in misura maggiore rispetto a quello reale, dal principio di autodeterminazione. In altre parole, la possibilità di scegliersi un nome, al pari dell’aspetto, quale simbolo della volontà di reincarnarsi in un involucro (digitale) in grado di poterci rappresentare completamente, senza alcuna intercessione esterna. Dopotutto, almeno nel mondo videoludico, diviene possibile non solo scegliere quando morire, ma persino quando nascere.

#LiveTheRebellion