Redazione ILVG

Speciale Mio nonno e Half-Life

Una premessa

La mia infanzia si è sviluppata nella prima parte dei gloriosi anni ’00, su pilastri come Metal Slug, Spyro e Ratchet & Clank. Come avrete notato,  tutti giochi che si potevano comodamente giocare su console. Questo prediligere le console (rigorosamente Sony) viene da un fatto: casa mia per quanto riguarda l’uso di computer è sempre stata dalla parte dei cattivi: Apple. Giocare su Mac all’epoca era praticamente impossibile, figurarsi per un bambino di cinque anni: il mouse non aveva il tasto destro e di giochi compatibili nemmeno l’ombra. La vita di quel bambino di cinque anni, che SPOILER sono io, però era divisa settimanalmente in due momenti ben distinti: scuola a Milano fino al venerdì, e poi il weekend nella ridente cittadina di Legnano, dai nonni. Questo dualismo deriva da un tacito accordo tra i miei genitori e i miei caritatevoli nonni, che accettavano di prendermi in carico per fare vivere due giorni di tranquillità a mamma e papà, dato che, stando alle cronache dell’epoca, ero una specie di bestia iperattiva. Legnano, città nell’alto milanese rinomata per il suggestivo castello del Barbarossa, era diventata il regno delle libertà e del sollazzo, dove i nonni mi riempivano di cibo, attenzioni e mi portavano in edicola a sperperare la mia paghetta in lamincards che puzzavano di plastica.

Il Vecchio cassone

Nella mansarda, illuminato da una luce fioca, giaceva inerte un enorme computer con Windows ’98, che mio nonno chiamava “vecchio cassone. Proprio lui l’aveva comprato, per un fatto di nostalgia mista a fascinazione: quando lui lavorava i computer erano grossi come autobus e per fare qualche semplice operazione ci mettevano un’ora e vomitavano il risultato su un foglio bucherellato. Il passaggio a Dos e poi a Windows lo avevano attirato come una falena sul lampadario. Incominciai ad usare il computer affascinato dalle icone colorate e da Paint. Poi scoprì Campo MinatoFlipper, il cui uso compulsivo mi concederà di diventare campione e di battere tutti durante le ore di informatica al liceo. Ma non divaghiamo. Un giorno mio nonno mi comprò, nella più totale ignoranza, ma immagino, segretamente guidato dalla mano del Fato, una copia di Giochi Per il mio Computer. Era il numero di Aprile 2003. Il gioco allegato aveva una copertina arancione rugginosa con sopra quella che, a un bambino di 6 anni, appariva come una buffa lettera dell’alfabeto.

Ecco il protagonista del nostro articolo il tutta la sua magnificenza!

Mister Freeman siete un pò in ritardo..

Mio nonno non lo sapeva, ma aveva irrimediabilmente condizionato la mia (e la sua) vita per i successivi 7 anni. Appena installai il gioco, la prima cosa che vidi fu il logo della Valve, che mi traumatizzò di brutto e che tutt’ora mi perseguita. Negli anni successivi l’usanza divenne rito: io, Half-Life, il nonno. Quest’ultimo rimaneva a vigilare che non rompessi nulla del suo amato computer e che in generale non iniziassi a distruggere ciò che mi stava intorno, come del resto il piccolo-me era solito fare. La cosa più sorprendente rimane che non si sia mai scandalizzato per la violenza del titolone Valve, anzi questa lo annoiava terribilmente, facendolo assopire, e lasciandomi solo, nel buio della mansarda di quella casa a Legnano, con Gordon Freeman e il suo piede di porco. Il nonno spesso cercava di partecipare dandomi consigli, tipo:“Spara a questo! Distruggi quello!”, ma dopo un pò capì che me la sapevo cavare benissimo da solo. 

Il Fattore Immersività

Cosa poteva affascinare un bambino di 5 anni di quel giocone così truculento? Forse la trama che ti si sviluppa sotto gli occhi, forse fatto che potevi interagire con tipo ogni cosa (menzione d’onore al microonde che più volte ho manomesso), forse il fatto che Black Mesa per un bambino diventava un enorme parco giochi.  Difatti qualcuno riconoscerà che:

Nel novembre del 1998, tutto cambia. Improvvisamente gli sparatutto hanno tutti cercato di copiare la Black Mesa Research Facility e il suo incredibile senso del luogo. Con l’uso degli eventi di script per la fase introduttiva del gioco e il massacro degli scienziati, Half-Life ci dà l’impressione che questo non sia solo un mondo che esiste solamente per dare a Gordon Freeman qualcosa a cui sparare. È un mondo in cui è successo qualcosa di terribile e di misterioso, e noi abbiamo appena capito di esser stati catturati in mezzo ad esso. Questo approccio alla trama è diventato il fondamento del design odierno degli sparatutto in prima persona.”

Potete qui ammirare la faccia buggata del nostro Barney

Half-Life è e rimarrà un capolavoro di game design, ma vai tu a spiegare ad un bambino di 7 anni il fattore immerisività e la costruzione del livello. A me bastava il microonde. Creai un rapporto personalissimo con il titolone Valve, fatto di solo vandalismo (rompi, sabota, salta, ammazzati) che durò fino al compimento dell’età di 10 anni, anche perché nessuno mi aveva detto quello che dovevo fare e per di più nessuno mi aveva detto che il gioco si poteva salvare. Ricominciavo il gioco ogni singola volta, e ogni singola volta mi sorbivo la sequenza iniziale saltando come un pazzo nella cabina della monorotaia e distruggendomi le dita sulla barra spaziatrice, facendo saltuariamente crashare il gioco. 

Non avete idea di quante volte abbia visto questa schermata!

La cascata di risonanza

Crescendo mi resi conto che non potevo andare avanti e che in ‘sto gioco ci doveva essere dell’altro oltre a rompere le palle agli NPC. Presi il toro per le corna e feci il percorso di addestramento. Capì le meccaniche di base, ma rimasi arenato per MESI sulla parte con i tuboni, in cui per saltare dentro dovevi premere ABBASSARSI + SALTO + AVANTI. Penso che quello che mi ostacolava maggiormente fosse il fatto che ritenevo impensabile che Mister Freeman per saltare in un tubo dovesse ABBASSARSI MENTRE SALTAVA E AL CONTEMPO ANDARE AVANTI.  Grazie alla fiamma della conoscenza che le scuole elementari mi concessero, riuscì a capire che oltre che farmi saltare come un imbecille, la Valve aveva predisposto il gioco anche altre cose, tipo indossare la tuta di contenimento. Questo, unito al fatto che voci di corridoio dicevano che con il tasto E si potevano fare delle cose diverse che fare esplodere i microonde, mi permisero di infilarmi nella simpatica tutona arancione. Ricordo che la prima volta che lo feci partì una musichetta acid-tecno, fatto che ancora oggi mi sorprende, infatti nell’intero gioco non esisterà altra musica se non i rumori dell’ambiente. Messa la tuta mi diressi nella camera di risonanza. Dopo innumerevoli tentativi a girare come un idiota arrivai il quella gigantesca stanza, attivai quell’enorme affare e lì, in quell’esatto momento, mi cacai addosso. Il gioco infatti, dopo avermi fatto messo il campione di roccia nel macchinario, mi ha tirato in faccia l’elemento sci-fi senza neanche chiedermi il permesso. Io e Gordon finimmo e per la prima volta a Xen. Dopo anni l’immagine di me attorniato dagli alieni in mezzo al buio ancora mi perseguita. Senza contare che quel momento è anche l’unico in cui Gordon tradisce il suo ruolo di silent-hero: il trip kubrickiano-ultra dimensionale infatti gli causa un leggero affinamento di respiro, mentre il piccolo-me va in iperventilazione per mezz’ora! Ricordo che dopo quella sequenza spensi tutto, perché  per i miei 10 anni era davvero troppo.

La Catastrofe

Un pò di tempi dopo affrontai la situazione, anche perché la visione di Man in Black mi aveva preparato a tutto. Arrivai ai laboratori di sopra e tentai di aprire la porta con lo scanner retinico. ACCESSO NEGATO. Provai ancora. ACCESSO NEGATO. Come? ACCESSO NEGATO. Merda.  Mi ci volevo settimane per capire che dovevo chiedere allo scienziato lì presente (quello che sarebbe diventato Eli) di aprirmi la porta. E come se non bastasse il gioco festeggiò il mio ingresso nella nuova stanza facendomi arrivare un raggio gamma fortissimo nella faccia e abbrustolendomi all’istante. Con Half-Life imparai il significato profondo del rage-quittingArrivato nella stanza dopo, vidi i primi mostri. Non avevo armi. Scappai. Dietro di me c’è il raggio della morte. Ritorno da quei dannati head-crab. Chiudo gli occhi e premo la freccia su (sì, nessuno mi aveva insegnato WASD). Me ne arriva uno in faccia e mi fa malissimo. Riesco a fuggire. Prendo il piede di porco: dopo anni passati a sabotare e premere pulsanti a caso adesso ho il potere demiurgico di DISTRUGGERE. Inizio a colpire tutto. TUTTO. Salgo altre scale. Esco dalla porta. Vedo il primo zombie con le ditone tentacolari. Lo rimango a fissare per qualche secondo. Non posso credere che esista un abominio del genere. Sangue, testa e cassa toracica tutto fuso in un abominio di texture. Lui in tutta risposta mi tira due pizze e mi ammazza. Ecco, in quel momento ebbi davvero l’istinto di chiudere tutto e di bruciare il gioco. Non potevo crede che un essere immondo del genere poteva esistere.

Mio dio, che paura…

All’età di 11 anni mi sentii pronto a raffrontarlo, ma mi aprì di nuove il culo. Ancora e ancora. Alla fine ebbi la meglio, per scoprire che dopo cinque anni ero appena dopo l’inizio. Da quel momento iniziò la partitona vera e propria, fatta di mostri sempre più grossi e che mi facevano sempre più cacare addosso. Ho ancora i flash tipo reduce del Vietnam dei rumori dei nemici più stronzi: il suono metallico di quel brucone-beccuto-con tre teste, il grugnire di quel cosone che sparava raggi gamma dalle chele, e l’elicottero. l’ELICOTTERO. Lo descrivo in termini molto semplici: in Half Life la cosa più bastarda sono quei cazzo di elicotteri che ti freddano appena metti la testa fuori e che vengono preannunciati dallo sfarfallio dell’elica che ti entra nella testa e ti fa impazzire.

Scena tipo:

Io: *viene ammazzato per la 34esima volta da quel cazzo di elicottero*

Io: *urla come l’Eva 01 in berserk*

Nonno: Luca andiamo a dormire che è tardi

Io: *si rivolge con gli occhi pieni di odio e lacrime al nonno e prega per altri dieci minuti*

Nonno: *fa lentamente sì con le testa pensando al suo nipotino ormai perso*

Cazzate a parte, poi la presenza degli elicotteri coincide anche con una piega, che dopo anni di gameplay fatto di cunicoli e gallerie, davvero non mi aspettavo: uscire fuori da Black Mesa e combattere nemici umani. Militari, deserto e orde di cose sempre più cattive che vogliono farti il culo. Fu proprio questo capitolo che mi insegnò l’arte della parsimonia “se hai 3 caricatori non sprecali per deturpare il cadavere di un nemico morto, perché potrebbero servirti per altro, tipo uccidere altri nemici vivi”.

Muori! Dannato elicottero, muori!

Il Finale

Ridendo e scherzando alla veneranda età di 12 anni arrivo ai laboratori Lambda skillato come un cazzo di commando. “Mister Freeman deve andare a fare il culo agli alieni direttamente a casa loro”. D’accordo. Finisco a Xen. Mi faccio strada tra le piattaforme fluttuanti morendo una quantità stronza di volte. Teletrasporto dopo teletrasporto, una voce spaventosa mi parla. Alla fine vedo a chi appartiene: Nihilanth, un enorme essere a metà tra un tapiro e un bambino. Non ho neanche il tempo di equipaggiare il bazooka che mi tira addosso una sfera di energia e mi disintegra. Ma non ho neanche tempo di incazzarmi che mia nonna mi chiama e dice che sono arrivati i miei a prendermi. Guardo il bimbo-tapiro enorme e gli prometto che nel futuro gli aprirò il culo. Passeranno 10 anni prima di rivedere il malvagio Nihilanth, questo per tutta una serie di questioni dovute al fatto che entrare nell’adolescenza impone di usare meglio i tuoi weekend piuttosto che andare dai nonni, tipo produrre miscugli alchemici di coca e mentos al parchetto dietro casa.

Vade retro, satanasso!

Un triste (si fa per dire) epilogo

A fine 2017 in occasione dei 15 anni compiuti da quella copia di Half-Life allegata a Giochi con il mio Computer decido di ricominciarlo da zero e di finirlo una volta per tutte. Questa volta però, dopo anni di Nazi-Zombi su COD, i mostri mi paiono più delle maschere di carnevale, facendo dissolvere tristemente e irrimediabilmente tutta la paura e l’adrenalina che caratterizzavano le mie sedute con Half-Life, e facendomi capire che alcune sensazioni non torneranno più (sigh). Arrivo a Nihilanth carico come Terminator e dopo una battaglia fatta di bestemmie e ingiurie alla mamma del nostro alienone, lo faccio esplodere e vinco.Vittoria! Ma G-Man mi ricorda che la vittoria non è mai stata cosi lontana

Sigillato nell’iperspazio… povero Gordon…

Senza contare poi che a tredici anni scopro che esiste Half-Life 2, ma questa è decisamente un’altra storia. Approfitterei di queste ultime righe per ringraziare quel santo di mio nonno, che  ha accettato di immolare i suoi venerdì sera e la sua pensione a fianco di un moccioso petulante piuttosto che andare al circolino a giocare a bocce con gli amici. Grazie nonno, per avermi fatto vivere una delle esperienze più intese e più formative della vita. Half-life non lo dimenticherò, perchè oltre che avere rivoluzionato il mondo del gaming, molto più in piccolo, ha rivoluzionato anche la mia infanzia. 

#LiveTheRebellion