È un periodo felice per l’horror videoludico. Non solo di giochi ne escono tanti, ma escono anche bene. Circa. Forse la delusione più grande del 2022 è stata The Callisto Protocol: il “Dead Space killer”, il figliol prodigo di Glen Schofield. Tolto il gameplay, perlopiù rotto e alla lunga stancante, a Callisto manca quel world-building che rese il predecessore così dannatamente speciale. Un world-building che si è espanso a diversi media tra cui film, libri, fumetti e giochini spin-off, con l’insolita benedizione di EA. La stessa EA che non sa lasciare un trend non toccato, e che ha deciso dunque di saltare sul treno dei remake horror.
Dead Space, il remake, uscirà a breve. La speranza è di trovarsi davanti un horror sci-fi dello spessore dell’opera originale, che tolga il sapore plasticoso di Callisto dalla bocca. Chiaramente non mancano le polemiche, non sarebbe un tripla A nel 2023 altrimenti. Tra l’invecchiamento di Nicole, la versione più “piatta” di Kendra ed Isaac che effettivamente sembra Adam Sandler. Personalmente l’hype non è stato neanche sfiorato da questi discorsi. Se davvero i problemi nel mondo videoludico fossero solo la dimensione del seno e l’età dei pg femminili, ci sarebbe comunque da discuterne ma ci salveremmo qualche mal di testa.
Lungi da me far prediche, la mia mente è invece volata verso il titolo più discusso del franchise, in un tempo in cui le polemiche erano comunque tante ma perlopiù sensate. 2013. Dead Space 3.
The stars are ours
Al solo menzionare del terzo capitolo, molte teste si saranno riempite di microtransazioni, coop forzata e gameplay sbilanciato per incentivare gli acquisti in-game. Si parla comunque di EA, che perde il pelo ma non il vizio. Molte persone ripudiano l’opera solo in base a questi difetti oggettivi – e per quanto mi riguarda, fanno anche bene. Il che mi manda fuori, perché sotto al marasma di casini si nasconde una delle storie più toccanti che abbia mai vissuto sulla mia pelle. Una storia che tratta l’amore in modo maturo, che rispetta l’universo di cui fa parte e che, soprattutto, ti lascia con una domanda esistenziale: siamo davvero soli?
Il paradosso di Fermi prende il nome dal fisico italiano che, negli anni ’50 in quel di Los Alamos, spiazzò i suoi colleghi mentre si discuteva di un avvistamento UFO. Lo fece con una semplice ma disarmante domanda: “Dove sono tutti?”
È un paradosso, e come tale non ci sono risposte definitive. Ma ci sono infinite ipotesi. Carl Sagan, astronomo statunitense, suggerì che forse l’autodistruzione è nella natura di ogni specie tecnologicamente avanzata. Un prospetto neanche troppo improbabile visto il rapido declino del pianeta in cui viviamo come esseri umani, inversamente proporzionale alla nostra esponenziale crescita tecnologica. Altre teorie spaziano da “non possono/vogliono contattarci” a “siamo i soli”. Dopotutto, la precisione con la quale scatta la scintilla che da inizio alla vita è millimetrica.
Visceral Games, storico team che ha nel curriculum tutto il franchise di Dead Space, ha provato a stilizzare in salsa sci-fi quella che è la loro proposta. Strizzando l’occhio a Sagan, Steve Papoutsis e colleghi parlano di imminente autodistruzione. Le risorse sulla Terra sono finite, le risorse nello spazio sono pericolose. L’umanità scopre il “Marchio”, un artefatto di origini ignote che genera onde elettromagnetiche fonte di energia infinita e permanente. Onde elettromagnetiche che hanno però il brutto vizio di rimescolare il dna, e di riportare in funzione cellule e tessuti morti. L’umanità, da buona specie tecnologicamente avanzata, sfrutta la cosa allo stremo.
Stay warm, stay safe
È qui che Dead Space 3 fa la mossa geniale di introdurre una razza extra-terrestre. Non sono il classico nemico alieno di cui il panorama sci-fi è saturo, sono come noi. Una specie tecnologicamente avanzata sviluppatasi sul pianeta Tau Volantis. La differenza? Loro si sono estinti. Come Isaac, dal momento in cui metti piede sul pianeta sopracitato, sei immerso nella ricostruzione degli eventi che hanno portato i nostri simili a calciare la sedia. Non vado oltre perché secondo me è una storia che vale la pena vivere sulla propria pelle. Se siete spaventati dal gameplay, si può facilmente rompere craftando l’arma giusta.
La storia degli abitanti di Tau Volantis, abbastanza intelligenti da rendersi conto dell’apocalisse imminente, nutre la speranza che forse anche l’essere umano è prossimo alla realizzazione del disastro causato. Loro non sono riusciti ad evitare l’inevitabile, mentre la scienza ci assicura che noi siamo ancora in tempo.
Forse l’attrazione alla fiction scientifica deriva proprio dal desiderio di non sentirsi soli. Anche solo un cenno dallo spazio può confermare che è possibile invertire la rotta, nonostante la strada sia spianata verso la catastrofe.
E se fossimo davvero soli? Sarebbe una ragione in più per lottare, perché l’intero universo dipende da noi.
Enlist in the S.C.A.F.
Forse non tutto lo scontato è necessariamente banale. Le aspettative per il remake di Dead Space sono altissime nonostante sia una scontata mossa di marketing, visto il boom causato da Resident Evil 2. Nel panorama video ludico moderno, Dead Space mancava come l’aria. Un rischio corso per finanziare una nuova IP, una storia che punzecchia l’avarizia dell’umanità ma che dipinge anche la speranza di potercela fare. Per quanto mi riguarda, DS è una trilogia che merita il posto con le grandi del genere, che siano Silent Hill o Resident Evil.
Non resta che sperare che Callisto fosse uno scivolone, e che il medium non stia iniziando nuovamente a prendere l’horror per scontato, come accadde nella settima generazione di console. Fin qui tutto bene.
L’esistenza di un singolo messaggio dallo spazio proverebbe che è possibile vivere attraverso l’adolescenza tecnologica: la civiltà che trasmette il messaggio è, in fin dei conti, sopravvissuta.Carl Sagan, 1978
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