Le persone si chiedono spesso la ragione dietro al successo di Among Us. Dicono che sia il periodo, tra COVID e solitudine. I soliti giovani che si trovano bene a fare cose senza senso. A riunirsi senza ideali. Ma non hanno capito che è soltanto un gioco figlio del suo tempo. Prima di tutto, dei meme.
Perché in primo luogo, secondo me, si sbaglia approccio quando lo si guarda dall’esterno. Lo si giudica in base ai propri canoni di giusto e sbagliato. Una moralità antica, che ha perso il suo senso forse già da mani pulite. Si cerca di analizzare, datare, osservare con rigore scientifico la sua storia. La sua origine. I sentimenti che hanno portato al suo successo. Eppure a me sembra solo lo sguardo di un medico su un cadavere. Perché pensandola in questo modo, l’avete ucciso. Among Us è il figlio del meme. Del meme che non sta fermo, l’elettrone inquieto della nostra cultura. C’è un motivo se si chiama memetica. Perché è una scienza, vede solo a posteriori.
Heisenberg l'aveva capito per gli elettroni: È impossibile determinare contemporaneamente e con uguale precisione la loro velocità e la loro posizione. Il principio è lo stesso.
State cercando di dipingere la natura morta di un mondo in fiamme. Fermi, a preparare il colore mentre una bomba atomica sta viaggiando verso casa vostra. Muti, dopo aver ascoltato il testo di “The Sound of Silence”. Forse, questo è il secondo virus che non riusciremo a fermare appieno. Ancora sicuri di non voler capire i giovani?
Il tempo è una concezione, ma così siamo noi stessi
Quello che manca, secondo me, è la contestualizzazione. Nessuno vuole calare le cose nel loro tempo e nella loro situazione. E non parlo solo di Among Us. Parlo di qualsiasi cosa, è un sentimento comune. È un po’ come ascoltare una registrazione che ha una nota sbagliata. Che scivola via dalla melodia, e ci fa sentire fuori luogo. Chopin lo aveva capito da tempo: non si può strappare qualcosa dalla situazione in cui è stato creato, perché così perde il suo significato. La sua raison d’être. Ne sono convinto: Among Us non sarebbe mai esistito, se non fosse stato completamente figlio del suo tempo.
La sua fama non è dovuta al caso. Non è un movimento impreciso, quello che l’ha fatto scoppiare. È un sentimento condiviso. Basta esserci dentro per poterlo capire. Basta avere l’età di quelli che lo giocano, e non solo anagraficamente. Per me è questo il caso: sono praticamente un ragazzino. Però, alcune cose parlano più a me che a chiunque altro. Perché io coi meme ci vivo. Ci convivo. Li respiro. Capisco perché esistono e capisco il loro scopo, ed è per questo che questo articolo non è un catalogo delle cose che può offrire Among Us . I musei di mummie sono belli, certo, ma solo se li si guarda millenni dopo con l’occhio di un critico. Agli egizi non facevano impazzire i cadaveri.
Ne parlerò facendoveli respirare. Facendovi capire che cosa avete davanti. È un sentimento di empatia il mio. A volte fa male vedere persone che cercano di adattare la loro visione delle cose sugli altri. I vestiti vanno portati della taglia giusta, dopotutto. È quello l’errore di chi cerca di analizzare il tutto criticamente. L’occhio di falco non vi porterà lontani. Vi servirà calarvi nei panni di un ragazzino.
Perché il tempo sarà anche una semplice concezione, ma ricordatevi che tutto quello che avete studiato è già rancido, scaduto. Il mondo è cambiato a fondo.
Siamo tutti connessi – Il significato della “generazione digitale”
Preparato il viaggio nel futuro? Il berretto al contrario? Com’è la nuova felpa dei Red Hot Chilli Peppers? Be’, è tutto sbagliato, ma andrà bene uguale. Oggi sei un ragazzino. Un ragazzino in un mondo che è mutato, non è più quello che gli insegnano a scuola. Che vede il mondo non da un oblò ma dallo schermo del suo cellulare. Chiacchiera e parla con persone che non incontrerà mai dal vivo. Litiga su cose che non sente vicino. Spinge opinioni in cui non crede davvero.
Questo è quello che ti appare dall’esterno, non è vero? Ma pensaci, non è così difficile, davvero. Quello che vedi è solo la copertina del libro delle preoccupazioni di un ragazzo dei nostri tempi. Perché certo, a te sembreranno anche cose lontane, indifferenti. Ma quella è la loro vita. La nostra vita. Siamo tutti connessi, e noi giovani, per primi, siamo quelli che dobbiamo portarne il peso. È un macigno. Un macigno a livello sociale e personale. Bisogna conoscere dei codici che si scoprono dopo averli sofferti in prima persona.
Gli uomini sono condannati ad essere liberi, secondo Sartre. Ad andare avanti nonostante le loro limitazioni e scegliere sempre la cosa giusta. La cosa che rende loro e gli altri felici. Ma non è così facile dietro a uno schermo. Come fai a sapere cosa vogliono dire, dei puntini di sospensione? Mi è successo l’altro giorno, scrivendo a una donna più grande. Per lei quei puntini hanno un significato del tutto diverso, trasportano un’emozione completamente opposta.
Allora come fai ad essere sicuro degli altri? Come fai a sapere che quello che dicono è vero? Hanno una maschera sul volto.
La nostra è una generazione digitale. Che può girare intorno ai concetti alle idee, perché si nascondo dietro a dei burattini con un nickname che li ricorda. Io stesso non mostro la mia faccia. E non è per paura degli altri, è per non spaventarli. Per dire che sono uno di loro, alla fin fine. È un’identità digitale. Un avatar finto che ci siamo creati su misura. Però dietro la maschera ci siamo noi. E il peso di due persone diverse ci aggrava. Non è più una lettera al re per lamentarsi del padrone. È un tweet al Salvini di turno per dirgli quanto ci sta antipatico o quanto lo amiamo. Eppure il peso è lo stesso.
La massa e il potere dei meme – Unirsi davvero
Iconologia meme I meme che cito qui sotto sono della famiglia Wojak, che tenta di rappresentare il nostro sguardo moderno sul mondo.
Come scappare, allora, al peso individuale? Non vi fa venire angoscia avere a che fare con persone che non conoscete? Di cui non potete sapere le motivazioni? Basta un click per passare da una chat in cui vi amano a una in cui vi prendono in giro. La soluzione è semplice. È il meme. È semplificare tutto, tornare alla radice dell’informazione. Se stai comunicando con una platea di persone che non puoi conoscere individualmente, devi ridurre le pretese. Fare un compromesso delle tue idee. Fermare la discussione.
Allora si crea Pepe. Comincia a fare il giro del web. Te lo ritrovi sulle magliette, nelle immagini su Discord, su Twitch. Ma sai cosa vuol dire. Perché in quel volto verde vedi te stesso piangente e abbandonato. Nel Doomer senti la tua angoscia esistenziale, nel Boomer il tuo odio per coloro che ti hanno lasciato soli in un mondo violento e imperscrutabile. Si crea un collante sociale. Il calcestruzzo della struttura dell’internet. Sono i più piccoli mattoncini della macro-cultura digitale. Condivisa, ripetuta, rimbalzata di mano in mano per portarla a più persone possibile.
Quello che abbiamo davanti è un virus. Che si evolve. Che muta in base ai sentimenti di chi lo trasmette. Una malattia culturale.
Eppure la sua bellezza è tutta lì. Il suo nucleo consiste nella sua semplicità di trasmissione. Ma non è qualcosa di semplice da analizzare. È impossibile seguirlo davvero. Muta, si trasforma, segue i trend del momento. L’ignoranza sta nel non capire che non si può capire un meme senza viverlo. Si può analizzare il suo cadavere, una volta morto, senza dubbio. È per quello che esiste Know Your Meme. Un archivio delle esperienze individuali di quelli che sono movimenti comuni.
A spingere questa ondata di idee c’è una cosa sola. È il pensiero comune. È come tutti noi ci sentiamo. Singolarmente, siamo anche parte di un organismo più grande. Per entrare a farne parte bisogna esserne fagocitati. Come uno Xenomorfo gigante alla ricerca di prede. Eppure, noi ne siamo le cellule. La fantascienza non scherzava. È, diventato, alla fine dei conti, un organismo alveare incoscio. Qualcosa non si fa su internet perché internet ha voluto così. È così perché siamo stati noi a volerlo.
Cultura orale – “Per sentito dire”
La conseguenza di questa nuova struttura è palese. Si crea una connessione vera. A ritornare nel presente è una cultura orale. Oppure, più precisamente, una vera e propria “cultura digitale“. Come un tempo i greci facevano passare di mano in mano il destino di Minerva o Atena, oggi i nuovi aedi si trovano su Reddit, 4chan o Twitter. Cantano le avventure di un Odisseo che non è più tanto un eroe ma uno sconfitto, perché è la storia che vogliamo sentirci raccontare. Ci trasmettono le informazioni nel modo più semplice possibile: un meme.
Allora si comincia a parlare per sentito dire. The Last of Us II non vale niente, l’ho visto dagli spoiler trapelati in rete. Eppure in verità non li ho neanche guardati. Riporto il mio amico, che a sua volta passa solo di mano in mano quello che è un sentimento popolare. Il passaparola è tornato di moda. Ed è per questo che non riusciamo a capirlo. Siamo ancora fermi a una cultura scritta, fissata nella pietra. Una cultura decisa da secoli di storia, catalogata e archiviata. Ma non riusciamo a capire che lo standard è cambiato.
Non ho più bisogno del giornale, mi basta chiedere su 4chan. Non c'è più lo zio, ma direttamente il cugino, in America. Anche se quel cugino non lo conosco.
Ed è per questo che il meme è così esplosivo. Che esistono mozioni, gofundme e movimenti dell’alt-right. È un argomento di enorme portata. Perché è la nuova frontiera della nostra comunicazione. È per questo che vincono i demagoghi. Hanno capito qual è il sentimento popolare. Hanno intercettato i favori di gruppi di persone che sanno come funziona internet. Lo sanno davvero. Perché ci vivono. Non c’è bisogno di studi, manuali. Basta capire gli ingranaggi che stanno dietro alla nostra vita quotidiana.
Il bisogno di scappare dal circolo vizioso
È questo il contesto in cui vive un ragazzo giovane e normale. Si trova tra la normalità che lo schiaccia, con persone come te che lo guardano dall’alto giudicandolo secondo i propri canoni, e un internet che gli appartiene sempre meno. Che è comandato da virus comuni. Una forma d’arte “virale” vera e propria. Perciò cercano l’affetto altrove. È la carenza di felicità e di relazioni genuine che li contraddistingue. A risolverlo ci sono (anche) i videogiochi.
Party online su Fortnite, chiamate su Discord. Gruppi e messaggi in privato. Cuoricini su Instagram. Questo mondo interconnesso non è solo negativo, dopotutto. Infine, Among Us. Among Us, che simula le meccaniche di internet in piccolo. Traditori e traditi. Persone ferite e coinvolgimenti emotivi. Si prende un ruolo e ce lo si cuce addosso. Però lo si fa in compagnia. Lo si fa assieme. Lo si fa come si faceva un tempo, “ingoliardia“. Si torna a quella recita che c’era prima, ancora per un momento, e si riacquisisce la propria identità personale.
Non si può spiegare Among Us come un prodotto di mercato. Non ci sono solo logiche contrattuali, fredde, su queste cose. È solo il contesto in cui nasce che ha reso Among Us quello che è.
A sua volta, ha sviluppato dei meme, che sono diventati di uso comune. Ha creato una cultura sociale, perché è quello di cui i ragazzi avevano bisogno. Avevano bisogno di tornare, per un po’, nel passato e sentirsi di nuovo vicini. Non minacciati dal pensiero collettivo, ma liberi tra simili. Il passaparola ha fatto il resto. Ha diffuso quello che era normale. D’amico in amico, come un virus parallelo, ha occupato le giornate dei giovani durante la pandemia. Ancora una volta, la medaglia ha due facce, e continuiamo a non vederla.
Su internet, certe cose non hanno senso. Altre sono frutte dell’interesse collettivo. Altri ancora sono miti. È la città delle persone che sono sfuggite dalla metropoli per rifugiarsi in un posto sicuro. Questo posto sicuro, oggi, è un’astronave nello spazio. A bordo, ci sono traditori, con le spade puntate alle vostre spalle.
Io, sono uno di quelli. Perché Among Us, in verità, non l’ho mai giocato.
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