Sei sicuro che, al di là dello schermo, sei tu quello che scrive i tuoi pensieri? Sei sicuro che non ci sia nessuno che possa prendere il tuo posto? Dire quello che non pensi, quello in cui non credi, ma con la tua faccia? Sei davvero sicuro di essere tu, su internet?
Ho sinceramente cominciato ad avere i miei dubbi. Forse da molto tempo, ma mai così tanto prima di adesso. Perché internet è cambiato, radicalmente. Lo si può notare facendosi un giro su YouTube, o cercando qualche blog o forum. Lo si vede in come vi si approcciano le istituzioni, e le persone. Eppure, c’è qualcosa che non va. Il meccanismo si è bloccato. Gli ingranaggi non girano. Tutta la macchina ha smesso di fare passi in avanti. Si è bloccata in mezzo al suo tracciato. Come se avesse un po’ perso la sua energia. Un treno senza carbone. Una Formula 1 senza carburante.
Internet è un Castello Errante di Howl, ma Calcifer lo ha abbandonato
A ricordarmelo è stata una notizia uscita di recente. Si parla di Stephanie, che chiama in causa Riot per aver creato Seraphine a sua immagine e somiglianza. Quello che abbiamo davanti è furto di identità digitale. Seraphine esiste, così come esiste Stephanie. Eppure una di loro è artificiale. Un’altra è figlia del suo tempo. Inutile dire che sono uscito da quell’articolo completamente terrorizzato. It’s Lain, all over again. Eppure ci avevano avvisato, da subito. “Present day. Present time.“.
Internet: Uno strato superiore della realtà
Per chi non avesse capito le mie ardite citazioni, sto parlando di Serial Experiments Lain. Un anime dei primi 2000 che aveva capito internet molto più di quanto possibilmente lo possiamo capire noi, anche oggi. Un cyberpunk che invece di mostrare il nostro futuro, ci mostra il nostro presente. Ce lo rinfaccia. Ed è proprio grazie a questo anime che ho capito concretamente quello che vivevo ogni singolo giorno, a partire dalla mia nascita. Perché sì, io con internet ci sono nato. Sono giovane, e c’è chi oserebbe dire che non ne dovrei parlare, che dovrei lasciar parlare gli adulti. “Sei troppo piccolo per poterlo capire“. Ma penso che il più qualificato a parlarne sono proprio io, perché ne dipende ogni fibra del mio essere.
L’esperienza di Stephanie mi ha colpito duramente. Non solo perché mi ci sono rivisto, ma perché credo che sia un caso sintomatico di quello che è un problema più grande. Un problema molto grande, di tutti noi, che viviamo su internet. Nelle parole di Stephanie ho visto un brutto presagio, quasi come quello di Cassandra, che ci avvisa del futuro senza essere ascoltata.
Una delle tesi principali presentate da Serial Experiments Lain è la seguente. Il Wired (il corrispettivo di internet nel mondo dell’anime) è uno strato superiore della realtà. Non è la realtà, non ne dipende, ma è anzi qualcosa che può superare la realtà. Un luogo in cui vivere, in cui l’umanità può scappare. Più che tesi, è una domanda. Una domanda allo spettatore, che Lain spesso guarda dritto negli occhi, come a voler dire “parlo di te”. Perché Lain è noi, e quello che accade a Lain è la nostra vita.
Ti guarda negli occhi e ti sussurra: 'Quello che scrive su internet non sei tu. È il tuo nickname che parla. È la sua personalità che ti dà voce. La sua, di identità digitale.'
Una concenzione di internet ancorata a ciò che fu
Questa è una concezione ancorata profondamente dentro di noi. È la speranza dei nostri padri, che volevano scappare dalla realtà. Volevano creare un mondo in cui poter essere Dio. Un mondo in cui le leggi non valevano tanto quanto valgono normalmente. In cui essere liberi. La Terra è stata interamente occupata, lo spazio sembra sempre più vicino. L’unico confine ancora da superare, è quello della ragione.
A suonare le note di Space Oddity siamo però noi, con i nostri commenti su Facebook, con i nostri blog, con le nostre tastiere, molto semplicemente. Cos’altro è, se non colonizzazione, il creare dei siti web? Perché possiamo esprimere liberamente i nostri pensieri, insultare persone, dire ciò che non diremmo mai in pubblica piazza? È tutto frutto di quel pensiero: Internet non è la realtà. Io qui non sono io lì. La mia identità digitale ha vita propria. Non devo rispondere di quello che dico. Quindi che cominci la danza. Si creano comunità, etnie. Si diventa tutti un’impersonificazione della Danse Macabre. Uno specchio in miniatura della realtà, nella quale i protagonisti sono i nostri altri io, i nostri alter-ego.
Ma internet non è Mondo Disco. Certo, continua a muoversi, ma non in un modo che ci possiamo aspettare. Sulla trottola, ci sono le nostre esistenze
Basta farsi un giro nel vecchio internet per notarlo. Un Far West di opinioni, libertà, persone. Blog, in occidente, imageboard in oriente. Non c’era nessuno che ci controllava. Non c’era nessuno che poteva dirci di non insultare una ragazzina per i suoi gusti sessuali. Non c’era forse empatia, perché tra di loro interagivano delle marionette. I nostri nickname che si scontravano tra di loro. Era un po’ come giocare con i soldatini, ma c’era un avatar che era quasi reale. Sottolineate il quasi, però.
Era lain, non 玲音, a scrivere. Una personalità fittizia. Una maschera da indossare per sembrare immortali. Eravamo un po’ dei supereroi, non credi? Ma quello era il nostro campo da calcio. La nostra palestra per esercitare la nostra libertà. Che non seguiva le regole da cui eravamo schiacciati, in un mondo non nostro, dominato invece dal nostro imperante passato. Il mondo degli adulti. Volevamo scappare dalla realtà, perché ne avevamo paura. Volevamo scappare, alla ricerca di un mondo nostro, più libero, e sicuro, nella sua assurdità.
Non puoi scappare – Ti osserviamo
Ma, per quanto sognavamo che durasse in eterno, il nostro mondo è stato assalito. E non da un cataclisma, ma dalla sua stessa natura. Perché internet non ha limiti, proprio in quanto tale, e non ha certo aspettato noi per arrivare alla sua meta. A scoprirlo sono stati proprio gli adulti di cui avevamo paura. Le leggi, che volevamo ignorare. Il Far West è tale perché non è durato per sempre. Così, anche il vecchio internet è appassito.
Sulle sue ceneri, abbiamo demolito case, monumenti, forse anche la nostra stessa cultura. Una gentrificazione dell’informazione, di un vecchio mondo che ormai è diventato semplice passato. YouTube non accetta più gli insulti, la disinformazione, ma ci consegna in mano delle responsabilità. Perché YouTube stesso deve rispettare delle leggi. Così Facebook, Twitter o Instagram. Le fake news sono state regolamentate. Così il diritto d’autore, la pirateria, le nostre più umane abitudini hanno raggiunto il loro culmine. Internet è stato colonizzato.
Sono arrivati i “Man in Black” che ci hanno dato paletti, ci hanno guidato a un uso migliore di internet, per il futuro. Ma un po’ anche per le loro tasche. Perché si andava nel Far West per l’oro, e il suo profumo distrae anche il più attento degli investitori. Allora il mondo si è adattato, è cambiato. Spinti da questo, gli utenti sono finiti a doversi chiudere in delle baracche: 4chan, Telegram, a volte il Deep Web. Certo, sono dei posti “belli” come lo erano al tempo. Ma sono ghetti per quelli che giocano allo stesso giuoco delle parti. Al suo posto, Google è diventato una Millenium Tower. Accessibile, più libero, pulito, ma a discapito delle identità digitali di cui parlavamo un tempo. Non sono più le marionette che hanno il palco, ma sono gli uomini veri.
È cominciata l'installazine del Protocol 7 - La nuova era di internet, più controllata, rigida, è alle porte
Il tempo è distorto, su internet
Eppure, c’è ancora qualcosa che non va. Come ho detto all’inizio, quello che manca è il carburante. Il fuoco che spinga questo castello errante nella giusta direzione. Quell’errore è la coscienza delle persone. Internet è, senza ombra di dubbio, frutto di chi ci vive. Se anche la struttura è cambiata, non lo sono le persone che vi hanno sempre abitato. Internet, per quanto sia veloce, si è perso nelle pieghe del tempo.
Uno dei passaggi dell’articolo originale di Stephanie che mi ha colpito di più parla proprio di questo. Verso la fine, dice qualcosa che secondo me è la descrizione di quello che è diventato internet.
(…) Quando Riot fa un personaggio che sembra, canta e fa Tweet come una persona vera, stanno, coscientemente, creando una ‘persona’ che non esiste, che fa uso del modo in cui gli esseri umani si relazionano tra di loro, biologicamente ed emozionalmente, e ne stanno guadagnando un sacco di soldi.Stephanie
Subito dopo, poi, batte ancora di più sul concetto, con ancora più forza. Il suo è un messaggio chiaro, che richiama all’attenzione. Alla consapevolezza. Non si accontenta di criticare la compagnia, ma ci chiama tutti all’azione. “È un problema di tutti quanti“, sembra dire. Eppure, c’è chi le dà della bisognosa di attenzioni. Il suo non è un problema privato, è un problema pubblico.
'Onestamente, in un momento nel quale V-Tuber e virtual influencer di Riot o al di fuori superano la linea che li separa dal sembrare e agire come persone vere, è qualcosa di cui dovremmo preoccuparci tutti quanti.'
Leggendolo, mi si è davvero aperto un mondo di consapevolezza. Questo fenomeno, così come tanti altri, è solo la conseguenza della posizione in cui si trova internet. Le persone hanno bisogno di interagire con la finzione. Le persone hanno ancora bisogno di staccare internet dalla realtà. Di dividere la loro identità digitale da quella reale. Di creare degli avatar anime dietro cui nascondersi, anche se stanno solo esagerando la loro vera personalità. Streamer che enfatizzano quello che sono fino ad arrivare a quello che non sono e non saranno mai.
Ad abusarne è Riot, che costruisce un avatar per Stephanie. Dal nulla, senza il suo consenso. La rende umana, la fa cantare, twittare, esistere, in fine. Seraphine è l’alter ego di Stephanie. Ma le è stato rubato. Noi tutti ci sentiamo ancora staccati da quello che viviamo online, a tal punto che desideriamo di vedere la finzione nella genuinità. Un reality show in cui siamo tutti sia i partecipanti che il grande fratello.
Coscienza popolare è il mondo dietro la TV
A decidere le regole in questo mondo siamo noi. Ma siamo noi tutti insieme, come coscienza. Come in Persona 4 chi cadeva nella TV era influenzato dal pensiero degli altri, così su internet esiste il passaparola. È una cultura orale, in cui la nostra immagine è plasmata secondo l’opinione degli altri. Creano un’altra Lain a nostra immagine e somiglianza, ma sulla base delle loro opinioni. Riprendiamo i miti greci, cercando di recuperare quella stessa cultura della vergogna.
Quindi ci sentiamo liberi di giudicare. Di decidere come appare l’altro, chi davvero è la sua persona. A scrivere sono loro, non noi. O forse noi, come insieme. Come coscienza che crea i meme, i rumor, la connessione tra tutti noi. Tra comunità più piccole, tra micro-culture. Ci sentiamo un insieme in base ai nostri gusti, pensieri, idee. Ma non ci rendiamo conto che basta un attimo per essere cacciati via. Basta sgarrare e siamo eliminati. Una cultura libera, certo, ma che della libertà non ha nulla. Non ha democrazia, contesto. È semplice e pura Cancel Culture. Per quanto diversa dal passato, potrebbe mai funzionare in un contesto reale.
È l’opinione comune che ha parlato, che ha deciso chi tu debba essere e cosa tu volevi dire. Non solo vieni influenzato dalla tua caricatura, dalla tua identità digitale, ma questa viene poi riportata. Da orecchio in orecchio, diventi il mostro che non avevi mai voluto essere. Si creano diverse versioni, una genealogia di miti. Una fila di copie di ciò che sei davvero, ma sono solo pupazzi con la tua faccia.
Ed è allora che vorresti soffocarti. Tu, e tutte le tue pallide imitazioni. Quello che non sei e non desideri essere. Ti hanno rubato l'identità digitale.
Tutta questa evoluzione ci ha portato a uno stato ibrido – una forma incompiuta. Si insulta su internet, come se quelle parole non fossero vere. Si assaltano doppiatori per il ruolo dei loro personaggi, o una ragazza perché “non gioca abbastanza“. Non abbiamo paura delle conseguenze. Vogliamo il mondo libero, il Far West di prima. Ed è per questo che registriamo il nostro compagno che si masturba e lo condividiamo agli amici. Perché non ce ne frega niente. Quella, è un’altra persona. Che però ne viene ferita.
Creiamo, con le nostre mani un essere vivente, Seraphine. Ma non ci rendiamo conto che lei è ancora legata a Stephanie. Le hanno rubato le chiavi alla sua identità… può ancora vivere? Invece di ascoltarla, ci mettiamo a insultarla. Per dimostrare che aveva ragione. Facciamo entrare il cavallo di Troia: fuoco, fiamme e sangue. Il prossimo potresti essere tu. Perché sei ancora sicuro di essere tu a scrivere, lì dietro?
Siamo a metà di questo cammino. Abbiamo una concezione libera dell’internet, ma non ci rendiamo conto di esporci sempre di più. E ancora la consideriamo uno strato superiore della realtà, quando questa vi ci è entrata con prepotenza già da tempo. Lain ne aveva già parlato 20 anni fa. Aveva mostrato che c’è ancora l’uomo. Che Diogene non si sbagliava, la lanterna serviva per distinguere il nostro vero io. Perché la nostra vera identità sono tutte quante. Siamo noi nella realtà, noi mentre scriviamo, siamo noi anche quando affittiamo il cervello degli altri. Ci hai mai pensato?
Siamo tutti connessi.
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