Mentre il ciclo narrativo di
Game of Thrones si avvia verso la chiusura televisiva, su Netflix sbarca un altro lavoro basato sulle opere di
George R.R. Martin. Oltre alla più famosa saga fantasy degli ultimi anni, infatti, l’autore del New Jersey ha alle spalle
una prolifica carriera come scrittore di fantascienza.
Nightflyers è una di queste, pioniere del genere e scritta
praticamente per ripicca contro l’idea che horror e fantascienza non potessero andare a braccetto.
Tuttavia, mentre in Game of Thrones l’adattamento ha semplificato e accorciato molto del materiale originale, per Nightflyers è stato necessario
ampliare la novella di 30.000 parole in modo da coprire i dieci episodi della serie.
Alla storia originale sono stati quindi
aggiunti alcuni archi narrativi che espandono le storie dei singoli personaggi, ma l’impressione (specie nel finale) è che sia stata messa
troppa carne al fuoco e si perda un po’ la direzione generale.
Vabbé, ma la storia in soldoni?
Di base, le premesse sono le stesse tra cartaceo e serie tv.
Il dottor Karl D’Brannin (
Eoin Macken), assieme allo xenobiologio Rowan (
Angus Sampson), al primo ufficiale Melantha Jhirl (
Jodie Turner-Smith) e all’esperta informatica Lommie Thorne (
Maya Eshet) viaggia a bordo della Nightflyer cercando di stabilire il primo contatto con la misteriosa razza aliena nota come Volcryn.
La nave stessa contiene a sua volta più di un mistero, a partire dallo sfuggente capitano Roy Eris (
David Ajala) che comunica solo tramite ologrammi e altoparlanti. Durante il viaggio, inquietanti visioni affliggono i membri del team scientifico e la presenza a bordo dello psionico Thale (
Sam Strike) fomenta il malcontento nella nave, nonostante le rassicurazioni della sua psichiatra, la dottoressa Agatha Matheson
(Gretchen Mol).
Come Shining, MA nello spazio
A differenza della novella, però, la serie televisiva parte subito
in media res: in una scena che richiama alla mente
The Shining in versione spaziale, il primo episodio informa fin da subito che c’è davvero
qualcosa di pericoloso e malevolo a bordo della nave. Il resto della serie si articola come un flashback degli eventi che hanno portato a quel punto, riuscendo in un colpo solo a introdurre l’atmosfera e ad incuriosire lo spettatore quel tanto che basta da far superare lo scoglio iniziale di una narrativa non proprio originale né particolarmente ispirata.
Si, gli anni ’80 erano quarant’anni fa…
Sin dal primo momento, infatti, una cosa salta subito all’occhio: sia la parte originale sia le aggiunte alla storia
fanno uso di cliché narrativi di cui, a quarant’anni di distanza dalla pubblicazione originale, abbiamo ormai diversi esempi di confronto.
A 40 anni di distanza, LE situazioni sanno un po’ di già visto
Da
Event Horizon ad
Alien, passando per altri media come
Warhammer 40.000, il genere fantascientifico horror non è più nel suo stadio embrionale com’era quando Martin scrisse la trama nel 1980. In quest’ottica, parte del fascino del mistero dietro gli eventi di Nightflyers si perde dietro alla
prevedibilità di alcune situazioni. Anche per chi non ha mai letto la storia originale, non è difficile intuire uno dei colpi di scena introdotto verso metà serie, né la sua risoluzione.
Fortunatamente a questa sensazione di “già visto” viene incontro la regia, che mescola sequenze claustrofobiche, sequenze viscerali e una
ricerca volontaria di rapidi cambi d’atmosfera (al limite della dissonanza narrativa) tra una scena e l’altra. Questa, unita alla
notevole mole di di quesiti e misteri tra la storia originale e le aggiunte televisive, riesce a mantenere alto l’interesse dello spettatore.
Almeno fino alle battute finali…
Mi spiace Dave…
Se da una parte i vari misteri della Nightflyer garantiscono
un interesse costante fin quasi alla fine, è proprio nei momenti di chiusura che l’intera struttura collassa su sé stessa come un castello di carte. Gli eventi degli ultimi due episodi sembrano quasi casuali,
incastrati a forza o puramente fini a sé stessi.
Senza voler fare spoiler (cosa abbastanza difficile, visto che quasi ogni momento della serie è una rivelazione di qualcosa), la fine della serie è vittima della sua costante ricerca di qualcosa con cui intrattenere lo spettatore.
E’ palese quali siano gli archi originali e quali le aggiunte
Sebbene
quasi tutti gli archi narrativi trovino una propria conclusione, si nota chiaramente quali di questi siano gli originali e quali invece frutto delle aggiunte postume. Le vicende legate alla nave trovano un proprio epilogo naturale e soddisfacente, mentre ad esempio l’arco legato a D’Brannin e alle sue vicende familiari resta confuso e privo di una qualsivoglia spiegazione,
quasi un deus ex machina che, salvo un’improbabile rinnovo per una seconda stagione, lascia aperti più quesiti di quanti ne chiuda.
Tirando le somme, Nightflyers è
qualcosa di decisamente diverso rispetto al Martin che abbiamo imparato a conoscere con la HBO, ma la sua conversione da cartaceo a serie tv non innova granché, ed ha più il sapore di
esperimento riuscito a metà.
#LiveTheRebellion