Edoardo Andrini

Speciale Il level design di Sonic The Hedgehog

Sonic The Hedgehog è una proprietà intellettuale che farebbe gola a qualsiasi azienda. Non solo alle rivali software house, ma un po’ a chiunque: immaginate se Papa John’s mettesse le sue mozzarellose mani sul porcospino e potesse usarlo come mascotte del proprio sistema di consegne a domicilio.

 

“Papa does what Dominodon’t!”

 

A parte gli scherzi, SEGA è molto fortunata a possedere i velocissimi animaletti di Mobius, disegnati in modo da avere appeal su tutti, come dimostra l’immenso successo del merchandise e il proliferare di inquietanti fan-art sulle quali è meglio non spendere altre parole. Ad accompagnre l’ottimo character design c’è la fenomenale colonna sonora, che può vantare alcuni dei brani più iconici dell’industria.

 

Sonic’s the Name, Speed’s my Game!
 

Il pericoloso “gioco” del Sonic Team
Un aspetto meno discusso di questa serie è il suo Level Design, perché nasce da un’idea non del tutto spontanea. Yugi Naka, uno dei creatori del primo Sonic The Hedgehog (1991), ha rivelato in un’intervista il vero scopo del gioco: a SEGA serviva un modo per competere con i platform di Nintendo, padroni assoluti del mercato. Come era possibile battere Super Mario, una serie che già nel 1990, era composta da quattro dei migliori giochi di tutti i tempi? Yuji & Co. ritennero che la soluzione fosse schiacciare l’acceleratore, creando un gioco che (per loro stessa ammissione) desse la costante sensazione di SpeedRunnare il Mondo 1-1 del “Bros.”

 

Questo approccio si è rivelato poco saggio nel corso del tempo, introducendo una pesante restrizione alla fantasia degli sviluppatori: un gioco di Sonic può essere quello che vuole… a patto che sia super veloce. Pochissime altre serie di videogames portano una croce ingombrante quanto il mandatorio ritmo frenetico dell’istricide turchino.

 

Prendiamo Portal 2 come esempio: il capolavoro di Valve è perfettamente conscio del suo ritmo lento, e lo utilizza per introdurre delle meccaniche di gameplay che stupiscono ancora oggi, otto anni dopo. I cubi, le torrette, i gel dalle diverse proprietà: Portal 2 ha tutto il tempo necessario a raccontarti la sua essenza. Per Sonic è virtualmente impossibile insegnarti delle chicche di game design simili, perché non ne ha letteralmente il tempo. In Portal, muovere lo stick sinistro fa sì che Chell cammini in avanti a passo d’uomo. Ciò le permette di cambiare prospettiva, di analizzare la situazione, di notare le cose, di godersi l’enormità di Aperture Science. In Sonic, la pressione della medesima levetta fa schizzare il personaggio alla velocità del suono, lasciando il giocatore un po’ confuso.

 

Rimbocchiamoci le maniche e facciamo funzionare Sonic!
 

Nonostante queste pesanti limitazioni, Sega ha trovato almeno un paio di baricentri in cui il porcospino si trova a suo agio. Il primo è utilizzato dal primi capitoli bidimensionali e dal recente ed acclamatissimo Mania. Per farla breve, al giocatore è permesso muoversi in due dimensioni con una velocità elevata ma non assurda. Gli stage sono labirintici e complessi, imbottiti di rampe e avvitamenti, e talvolta lasciano spazio a sessioni di platforming puro, strategia di differenziazione che riesce discretamente. In questi giochi il protagonista è muto, ciccioso e puccioso, ha un arsenale limitato e deve saltare sui nemici per sconfiggerli. Ciò che fa veramente la differenza, però, è il momento di inerzia: Sonic è dotato di una massa, e di conseguenza i dossi e le cunette comportano un’accelerazione di cui il giocatore deve tenere conto in ogni situazione.

 

Sonic Mania Plus è un autentico prodotto da Sega… In tutti i sensi possibili. Battutacce sulla masturbazione incluse

 

Quando fu il momento di passare alle tre dimensioni, la mascotte SEGA soffrì molto di più rispetto al miracoloso idraulico Kyotese. Mentre quest’ultimo se la spassava tra isole tropicali e galassie lontane lontane collezionando soli, stelle e perfect scores su Metacritic, Sonic veniva storpiato in tutti i modi possibili da un Team che non sapeva aggiungere l’asse Z all’equazione. SEGA ha provato di tutto, senza il minimo ritegno. Basti pensare all’utilizzo di armi da fuoco (Shadow The Hedgehog), al riccio mannaro  (Sonic Unleashed), e a quel celebre momento di Sonic ‘06. Per chi volesse esplorare appeno il fondo del barile di Sonic, il collega Pietro ha scritto un succulento speciale che vi lascierà contorti sul pavimento per l’imbarazzo.

 

 

Tempi Moderni
 

Fortunatamente qualcosa è cambiato. Dopo oltre un decennio di fallimenti parziali o totali, Sonic è stato inaspettatamente salvato. Non tanto da una singola idea geniale, ma da una collezione di scelte sensate che si sono incarnate alla perfezione in Sonic Colours per Wii. Mantenendo lo stile artistico moderno, Colours ha risolto il problema dell’asse Z frammentando i livelli in “sezioni”, riconoscibili da un simbolo nell’interfaccia utente. Alcune di queste consistono in lunghi corridoi pieni di ostacoli: in questi frangenti, il giocatore deve semplicemente scegliere la corsia su cui correre utilizzando i tasti dorsali. Questi corridoi si trasformano in tratti curvi, su cui bisogna “sgommare” senza perdere velocità. Infine, in grosse porzioni di livello è utilizzato un gameplay bidimensionale simile al capostipite, con alcune grosse differenze: l’assenza quasi totale del momento d’inerzia e la possibilità di sbaragliare ogni nemico con un attacco automatico così efficace da non essere divertente. Ciononostante, la rapida alternanza fra un gameplay e l’altro è ben studiata ed è insaporita ulteriormente dall’introduzione dei Wisp, vale a dire dei Power-Up temporanei davvero originali e fantasiosi (non a caso sono rimasti in quasi tutti i capitoli successivi!).

 

 

Colours (e il simile Generations) sono entrambi ottimi giochi, la cui principale qualità è proprio il buon senso, tragicamente assente in ogni aspetto dei predecessori.

 

Sembra un lieto fine, e invece…

 

SEGA purtroppo è imprevedibile, e pare che non abbia imparato del tutto dai propri errori. Il recente Forces rappresenta un passo indietro rispetto all’equilibrio trovato in precedenza. La scelta di avere ben tre personaggi distinti (ognuno con le sue numerose meccaniche) impedisce il corretto sviluppo del rapporto gioco-giocatore. Fra questi tre personaggi, il Sonic moderno è di gran lunga il migliore perché si basa sull’ottima chimica di Colours; segue il Sonic retrò, mentre il Custom Character risulta noioso da giocare, vittima della potenza smisurata delle armi che brandisce.

 

Il Sonic perfetto… è un’Utopia?
 

Risulta evidente che per quasi trent’anni il Sonic Team abbia cercato la formula perfetta per il suo amatissimo figliolo, con risultati altalenanti. È sorprendente dunque che la potenziale pietra filosofale per il Blue Blur sia stata plasmata da uno sviluppatore indipendente, Mr. Lange. Ed ecco a voi Sonic Utopia, una tech demo del 2016 dal titolo azzeccato.

 

Immaginate di avere davanti ai vostri occhi la Green Hill Zone più ricca e gustosa di sempre, totalmente esplorabile a piacimento, muniti di un totale controllo sulla velocità del porcospino, che in questo progetto riacquista il design classico. Una figata pazzesca, che prende tutto ciò che c’è di buono nelle varie “Generations” della serie. E sapete qual è la parte migliore? Questo gioco esiste davvero, ed è gratis. SEGA, cosa diamine aspetti ad assumere la mente dietro ad Utopia? E voi invece… cosa aspettate a giocarlo?

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