Hellblade: Senua’s Sacrifice ha già conquistato la critica e i giocatori in sole due settimane. Ma il capolavoro di Ninja Theory nasconde sotto la superficie più di quanto non si creda, in un incredibile dialogo tra elementi artistici e riferimenti culturali.
Pochi casi hanno avuto una risonanza mediatica così interessante, nel panorama videoludico e del giornalismo associato. Lo scorso 8 agosto, in esclusiva per PlayStation 4 e PC, Ninja Theory ha rilasciato Hellblade: Senua’s Sacrifice, una splendida perla rara che abbiamo già avuto modo di lodare nella nostra recensione. Già allora, il buon Pietro aveva fatto alcuni riferimenti sparsi alla bellezza e alla profondità culturale del viaggio di Senua, definita da lui contemporaneamente come “Dante Alighieri e Virgilio“; e non a caso.
Il capolavoro di Ninja Theory (perché definirlo meno di un capolavoro sarebbe un insulto alla sua dignità artistica) è una vera opera d’arte videoludica, e nasconde sotto la superficie molto più di quanto in apparenza non sembri. Tecniche narrative più tipiche del Cinema che del videogioco, riferimenti continui alla cultura germanica e una ricerca estetica e identitaria forte sono solo alcuni degli elementi di punta di Hellblade, che, come ormai in molti sapranno, racconta del viaggio di Senua “all’inferno” alla ricerca del suo amato.
Similmente a quello di Senua, ci piace pensare a questo articolo come a un “viaggio sotto la superficie della sua avventura“, allo scopo di sviscerare tutte le caratteristiche più interessanti di un gioco destinato a fare da modello per molti anni a venire.
Occhio agli spoiler sparsi per tutto l’articolo, e iniziamo subito.
Questo articolo fa parte del ciclo “Ars Ludica“, che si propone di ricercare le componenti di artisticità in alcuni dei videogiochi più rappresentativi. Chi pensa già che i videogiochi possano essere una forma d’arte troverà, probabilmente, delle forti conferme nel corso di questo articolo; per chi, invece, crede fortemente che non lo siano, l’invito è quello di continuare a leggere. Perché non c’è arte più bella di quella che appare agli occhi di chi sa ammirarla.
Se siete curiosi di conoscere le nostre metodologie di analisi, date un’occhiata ai seguenti link: Introduzione all’Ars Ludica; Complementi.
La Narrativa di Hellblade
Sound Design e tecniche cinematografiche la fanno da padrone in Hellblade
Non è possibile parlare di Hellblade senza fare riferimento alle sue tecniche narrative, indubbiamente elementi artistici e utili per la composizione del tutto. Si è già parlato in sede di recensione di come il sound design del titolo sia fondamentale per lo svolgimento della storia, ma vale qui la pena riprenderlo per “aprire le danze”: Hellblade è godibile la metà senza un paio di buone cuffie, meglio se dotate di audio posizionale 3D. Questo perché, come dichiarato dalla stessa Ninja Theory in apertura del gioco, gli sviluppatori si sono affidati a un team di esperti psicologi e psichiatri per meglio rappresentare alcune forme di psicosi, psicosi di cui Senua stessa sembra essere affetta. Questi disturbi, lo abbiamo già detto, si manifestano sotto forma di allucinazioni, ricordi disturbati, ma soprattutto come delle voci nella testa di Senua, che rimbomberanno continuamente nelle nostre orecchie nel corso del gioco. Con questo espediente, Hellblade fonde alla perfezione l’audio e il gameplay, garantendo un’esperienza immersiva come poche (o nessuna) e tenendo sempre all’erta i sensi del giocatore; un ottimo modo, insomma, per “narrare” attraverso l’immersione totale. E, grazie a un doppiaggio (ci si passi il termine) della madonna, i conoscitori più “avanzati” della lingua Inglese potranno apprezzare al cento per cento l’esperienza di gioco, ascoltando i suggerimenti delle voci e immedesimandosi il più possibile nei disagi di Senua.
In questo modo, Hellblade raggiunge un obiettivo semplice da comprendere, ma mai altrettanto semplice da raggiungere: “giocando” con i mezzi linguistici forniti dal videogioco, si costruisce una forma e un’identità estetica propria, in cui gameplay e comparto sonoro sono in costante dialogo quasi quanto lo sono con la parte più puramente visiva. Non di rado, infatti, capita che, nel corso dei combattimenti all’arma bianca, le voci avvertano Senua di un attacco incombente alle sue spalle; solo il giocatore più attento, immerso e con i riflessi più rapidi può cogliere il suggerimento, di fatto diventando parte del gioco stesso.
Ma Hellblade non si ferma certo lì, e prende a piene mani ispirazione dal linguaggio cinematografico: la traversata iniziale in canoa è uno splendido piano-sequenza che fonde immagini e titoli di testa, e non c’è un solo stacco di montaggio prima che il giocatore inizi effettivamente a controllare Senua. Non solo: in buona parte dei flashback, la telecamera non mostra mai il controcampo, stimolando la curiosità del giocatore che vorrebbe vedere le manifestazioni effettive dei ricordi della protagonista. In altre parole, Senua è quasi sempre al centro dello schermo, rivolge il suo intenso sguardo in macchina e dà prova di una splendida recitazione da parte dell’attrice scelta per il motion capture, Melina Juergens; ma, così facendo, il gioco non mostra (quasi) mai quello che Senua sta guardando durante i ricordi, rendendola l’unico, vero personaggio “umano” all’interno del gioco. E i combattimenti, infine, vengono gestiti con una semi-soggettiva saldamente piantata alle spalle di Senua, che segue sempre i suoi occhi senza mai distrarsi un attimo.
Insomma, tanta roba senza ombra di dubbio. E non abbiamo che iniziato a scalfire la superficie.
La Cultura Germanica: Rune e Pietre Runiche
Senua è immersa in un mondo di gioco oscuro e disturbante. Il level-design, per quanto particolarmente lineare, è caratterizzato da una cura incredibile per i dettagli, una cura che dona indiscutibilmente vita e anima all’universo di Hellblade. A una prima occhiata, può sembrare semplicemente che il comparto artistico sia frutto di un art-designer con grandi capacità creative, che ha semplicemente ricostruito tutto da zero partendo dalla sua mente; se, da un lato, ciò è assolutamente vero, non bisogna comunque sottovalutare l’influenza di elementi esterni alla costruzione del mondo di gioco: la cultura germanica (e, come vedremo a breve, anche un po’ di storia) è sempre presente all’interno di Hellblade, nascosta dietro l’angolo ma evidente a qualunque occhiata di un uomo esperto. I riferimenti alla mitologia nordica sono ovunque (e arriveremo anche a quelli), ma tutto inizia dalla cosa più banale del mondo: l’alfabeto.
Rappresentazione completa del Fuþark antico, prima serie runica della cultura germanica, con traslitterazione a fronte delle rune in segni fonetici.
Qualcuno potrà aver scambiato le varie incisioni e le rune di Hellbladeper delle semplici decorazioni, o anche soltanto per dei segni grafici creati dagli sviluppatori stessi. La verità, però, è ben diversa: nella cultura germanica (e, anzitutto, scandinava), le Rune erano una forma di scrittura incisa utilizzata dai popoli barbari (detti anche “germanici”, poiché composti dai “Germani” individuati da Tacito e Cesare) durante le invasioni barbariche, tra il II e l’VIII secolo. Le iscrizioni runiche venivano incise con attrezzi affilati su armi, pietre, accessori, oggetti di uso quotidiano e molti altri manufatti della cultura barbara; ma il loro aspetto più curioso era il potere magico di cui (secondo la cultura scandinava) erano dotate, un potere caratteristico di ciascun segno runico. Se combinate tra loro, le Rune potevano invocare l’influenza degli dèi sulla terra, garantendo ricchezza e prosperità, fertilità o anche solo successi in battaglia. Per questo motivo, ogni singola Runa aveva un significato diverso, e corrispondeva a una parola diversa del dialetto germanico.
Alcuni esempi: la runa “fehu” (la prima della serie qui sopra) era associata alla ricchezza e al bestiame; la runa “thurisaz” (la terza) era associata al dio Thor e al gigante Jötunn e così via. Il primo enigma affrontato da Senua in tutto il gioco è un cancello runico, con su incisa la Runa “mannaz” (“uomo”, la quarta della terza riga), che viene generalmente associata alle virtù dell’intelletto; e il giocatore dovrà, effettivamente, esercitare l’intelletto e le sue capacità deduttive per trovare la soluzione all’enigma, nascosta nell’ambiente e nelle ombre. A questo punto, probabilmente, iniziate già a capire quanto lavoro ci sia dietro questa splendida produzione di Ninja Theory.
Non sarà l’unico caso in cui le Rune, incise sui cancelli che sbarrano la strada a Senua, nasconderanno un qualche significato segreto. Uno sguardo attento (grazie, Modalità Foto) permetterà anche di notare tali iscrizioni sulle armi dei nemici, anche se in quei casi le Rune sembrano associate in maniera molto più arbitraria e meno studiata (forse per semplici intenti decorativi).
E non solo sui cancelli o le armi: le Rune vengono anche utilizzate, in modo particolarmente silente e quasi invisibile, come mezzo narrativo vero e proprio. Nel corso del suo viaggio, Senua potrà trovare le cosiddette “Lorestones” sotto forma di collezionabili, pietre runiche incise che, se individuate, permetteranno di ascoltare una storia di Druth sulla cultura nordica dei popoli germanici. Il fatto è che la serie runica che compone il cerchio di Rune di ogni Lorestone (qui sotto) può essere trascritta senza problemi in alfabeto latino, andando a comporre una scritta in Inglese ben definita (SPOILER AHEAD: saltate al paragrafo successivo se non volete cattive sorprese).
Traslitterazione: “Seek Hela’s truth in mirror. Gods betray us. Unmask fear.”
La scritta viene letteralmente “letta” dalle voci nella testa di Senua giusto poco prima del finale, a patto di aver trovato tutte le pietre runiche sparse per il gioco. Chi ha già giocato e terminato l’avventura di Senua saprà che la scritta è tremendamente spoiler per il finale: “Seek Hela’s truth in mirror” è un evidente rimando alla vera identità della dea degli inferi, una personificazione dell’inconscio e delle paure più profonde della stessa Senua – e, dunque, di Senua stessa. Ed è una rivelazione nascosta proprio lì, sotto il nostro naso, in un alfabeto che molti di noi non possono neanche comprendere. Genio puro, specie se si pensa che questa scritta nasconde una semplice meccanica: ogni parola corrisponde a un livello diverso del gioco, indicando anche quanti collezionabili ci mancano prima di completare tale livello al 100%.
E alcune di quelle rune non sono neanche casuali: la runa “Áss” (associata agli dei e, più in generale, alla “rivelazione”), nella seconda parola, farà partire una storia di Druth che farà riferimento alla “creazione del mondo”, la profezia della veggente contenuta nel canto della Voluspá – ma non corriamo troppo: alla cultura norrena arriveremo fra poco.
Certo è che queste Lorestone hanno spesso dei referenti ben precisi nella tradizione germanica. Quella nell’immagine qui sopra, ad esempio (con iscrizioni sulla superficie che, a una prima occhiata, sembrano essere in vero dialetto gemanico), si può facilmente associare alle pietre runiche vere e proprie, scoperte dagli archeologi e dagli storici nei territori in cui la cultura dei Germani era dominante.
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