Prologo
La Leggenda del Witcher e della Viverna Reale
“Più volte, caro lettore, avrai sentito parlare dei witcher e delle loro straordinarie abilità in battaglia. Amanti rozzi ma impareggiabili, instancabili guerrieri, i witcher sono costantemente in viaggio lungo quella che essi chiamano “la Via”, loro sempiterno pellegrinaggio per le strade del mondo civilizzato. Si dice che quella dei witcher sia una razza maledetta, non più umana di una corona nilfgaardiana o di un oren bucato. Invero ti dico, caro lettore, che si sbagliano: mai ci fu razza più nobile e onorevole della loro, e mai il mondo avrà occasione di vederne un’altra altrettanto valorosa. In un tempo lontano, su di essi si cantavano miti e leggende, storie meravigliose che ne esaltavano le doti con la spada o con le donzelle. Su una sola cosa, in verità, le leggende si sbagliavano: poiché è vero, piuttosto, che le prestazioni dei witcher sono più straordinarie in battaglia che sotto le lenzuola. E non perché il tuo affezionato narratore abbia potuto provare di persona il tocco di un cacciatore di mostri; ma è noto che non c’è uomo, in tutti i Regni Settentrionali, che sappia rivaleggiare con le doti liriche del grande Dandelion, il più talentuoso trovatore del continente intero e la penna più elegante di Oxenfurt. Sei fortunato, quindi, che io sia qui personalmente per poterti narrare della differenza tra me e un umile witcher, sebbene proprio un witcher sia uno dei miei più cari amici e compagni di avventure: il leggendario Geralt di Rivia, il più grande cacciatore di mostri mai esistito.

 “Ordunque siediti e mettiti comodo, caro lettore, e stendi pure le tue fulgide membra se sei una donzella: la nostra storia inizia alle pendici di un’alta montagna, poco a sud della mia amata Oxenfurt, dove il nostro witcher si era diretto alla ricerca di una qualche specie di equipaggiamento. Come poteva egli sapere che, sulla cima di quel maestoso rilievo, una delle bestie più antiche e pericolose di tutto il Velen stava già annusando il suo arrivo?

 

Capitolo I
Il Monte del Drago
“Si narra (o, sarebbe meglio dire, il witcher mi raccontò, tra una birra temeriana e l’altra) che, in una elettrica giornata a cavallo tra i mesi di Imbolc e Birke, il Sole stava appena iniziando a calare sulle Paludi del Gobbo, quando la Via di Geralt lo portò alla base di una curiosa montagna. Questa era, caro lettore, la più maestosa montagna che il nostro witcher avesse mai visto, almeno nelle sue ultime ventiquattr’ore. Così maestosa che il sole sembrava essere già calato alle spalle della gigantesca sommità, e così imponente che avrebbe fatto tremare le membra di una qualunque creatura dotata di intelletto. Ti chiederai, a questo punto, perché il viaggio di Geralt fosse giunto fino a quella spaventosa montagna, e perché il witcher non sia tornato immediatamente indietro alla sua vista; anzitutto, per rispondere alla tua seconda domanda, devi sapere che il nostro witcher non arretra mai di fronte a nessuna creatura o ostacolo naturale, a meno che quella creatura o ostacolo non siano Yennefer di Vengerberg o Triss Merigold. Per quanto riguarda i motivi del suo viaggio, Geralt aveva da poco acquistato una misteriosa mappa da un fabbro altrettanto oscuro, una mappa che sembrava appartenere a un collega della Scuola del Gatto in persona. Secondo quella pergamena consumata, il proprietario originale aveva nascosto alcuni schemi preziosi all’interno di quella montagna, e Geralt decise che era giunto il tempo di potenziare il suo equipaggiamento, per affrontare con tranquillità le intemperie delle Isole Skellige.

 “Giunto alla base della montagna, la sua fida Rutilia si arrestò immediatamente di fronte a una caverna, buia come le orbite di un Botchling. L’olfatto sopraffino di Geralt, come al solito, fu più una maledizione che una benedizione, dal momento che una terribile puzza di carcasse e carne putrefatta si levò nell’aria appena il nostro witcher poté approcciare la caverna. Stringendo denti e narici con gran coraggio, Geralt, che era comunque abituato al tanfo dei Drowner più melmosi, entrò nella caverna e bevve una fiala della pozione del Gatto, che si dice aiuti i witcher a vedere meglio nell’oscurità. Invero ti dico, caro lettore, che non ebbi mai la fortuna di provarla finora, e non saprei dirti se tali voci siano vere o solo uno dei tanti modi con cui Geralt ama prendersi gioco di me.

 “Ma torniamo alla nostra storia: una volta entrato nella caverna, Geralt utilizzò i propri impareggiabili sensi da witcher per scovare qualche indizio sulla presenza del tesoro. Un’incisione col simbolo della Scuola, sulla parete, gli fece intuire che si trovava sulla strada giusta; e, tuttavia, il nostro distratto witcher non notò un baule a poca distanza da lì, nascosto nell’ombra, che, se scorto, gli avrebbe sicuramente risparmiato un pomeriggio intenso e stancante. Al contrario, Geralt notò alcuni cadaveri freschi e sanguinanti sul pavimento della caverna; e, distratto dalla loro presenza, si avvicinò per indagare.

 

Capitolo II
Il Tempio della Dea
“«Segni di artigli e di avvelenamento, forse per un pungiglione appuntito… Una Viverna», affermò deciso il nostro witcher, esaminando i cadaveri. In realtà, Geralt mi raccontò di essersi profuso in diverse altre espressioni più colorite di così, quando trovò le carcasse e capì di avere a che fare con un dragonide. Ma non sarebbe appropriato riportarne le esatte parole; sappi soltanto, caro lettore, che il mastro witcher non era esattamente contento di quel risultato: un’escursione per del semplice equipaggiamento poteva trasformarsi in una pericolosa caccia al mostro, e le Viverne non sono esattamente le creature più amichevoli del Continente.

 “Nonostante ciò, il buon witcher decise di scalare la montagna con circospezione, sporgenza dopo sporgenza, in cuor suo sperando di trovare l’equipaggiamento del Gatto per andarsene da lì. In realtà, io che conosco bene Geralt di Rivia posso assicurarti che il nostro eroe non sarebbe sceso da quella montagna senza aver prima tentato di affrontare quel mostro terribile. Una cosa che poi, comunque, fu costretto a fare dalle circostanze.

 “Mentre scalava le sporgenze di roccia all’interno della caverna, Geralt giunse su un piano molto più omogeneo e ampio degli altri appena scalati, e si accorse di una piccola apertura sopra la sua testa, diretta a quella che sembrava essere la sommità della montagna. Alla sua destra, il witcher vide un’apertura molto più ampia che sembrava condurre a delle rovine ormai abbandonate, ma di chiara fattura umana. Il nostro decise di indagare, e in esse riconobbe alcune prosperose statue femminili dall’aria sacra che neanche io, grande esperto di arte e tradizioni, saprei descriverti con precisione. Dopotutto, Geralt non fu mai un uomo di vera fede, e si dice che rischiò di offendere anche le sacerdotesse di Freya sulle Isole Skellige, poco tempo dopo; ma quella è una storia per un altro volume di ballate. Ciò che conta è che quelle statue sembravano davvero molto vecchie, e non avevano più molte ricchezze intorno a sé se non qualche cesta anonima e spoglia. Geralt, stanco e impaziente, sperò di trovare lo scrigno del Gatto proprio in quello strano tempio dall’aria ancestrale; immaginate la sua delusione, quando scoprì che quelle ceste non contenevano altro che qualche cibo marcio e delle cianfrusaglie di poco valore!

 “Ma il nostro witcher non è mai stato un uomo irrispettoso delle tradizioni, a meno che quelle tradizioni non minacciassero di infilzarlo con un forcone. Decise quindi di accendere giusto un paio di candele ai piedi delle statue, con uno dei suoi tanti segni magici da witcher; poi rivolse un’occhiata al paesaggio alle sue spalle, dietro una balconata di pietra scolpita, e tornò all’interno della caverna, riprendendo la scalata verso la sommità. Il sole stava appena iniziando a calare.

 

Capitolo III
Il Nido dei Draconidi
“Il valoroso Geralt dovette arrestarsi un attimo, quando si rese conto di aver sottovalutato il nemico che credeva di dover affrontare. Giunto sulla sommità, il witcher si accorse che probabilmente non era ben preparato per uno scontro del genere: di fronte a lui, due tane di viverne continuavano a sfornare draconidi scarni e affamati, e Geralt fu costretto ad affrontare ben quattro draghi contemporaneamente! Ma, si sa, i witcher sono grandi esperti di creature mostruose, e il nostro eroe non si perse d’animo: impiegò qualche istante per intingere la spada in uno speciale unguento anti-dragonidi, bevve un antidoto preventivo anche per i veleni più potenti (giuro su Melitele, mi disse il nome ma non riesco a ricordarlo; una pozione dorata, comunque) e si lanciò direttamente contro le temibili creature, roteando e sferrando elegantissimi fendenti senza sosta. Il sole all’orizzonte iniziava già a tingere il cielo d’oro nella luce del tramonto, ma il nostro witcher sapeva che mancavano ancora parecchie ore alla completa oscurità; continuò a sferrare colpi senza fermarsi contro le mostruose creature, finché le viverne, una dopo l’altra, non stramazzarono al suolo, lasciando indifesi i propri nidi.

 “A questo punto, mio caro lettore, è bene fare un’interruzione doverosa. Non so bene neanche io cosa passò per la testa del mio amico in quel momento, né lui volle spiegarmelo con dovizia di particolari. È probabile che la stanchezza (che, ti ricordo, sa colpire anche l’instancabile corpo di un witcher) possa aver giocato brutti scherzi alle facoltà intellettive del nostro eroe, poiché egli, senza pensarci due volte, tirò fuori un paio di bombe dalla sua bisaccia, le accese e le gettò nelle tane di viverna per fare piazza pulita dei mostri. Quando si tratta di far innervosire un paio di Drowner o di Nekker, il problema può anche non essere troppo grande, per un witcher esperto; ma tieni bene a mente queste parole: non è mai una buona idea provocare una viverna nel suo nido. Mastro Geralt dovette rendersene conto a sue spese.

 “Dopo aver gettato le bombe nelle tane, il nostro eroe tirò un sospiro di sollievo con lo sguardo rivolto all’orizzonte. Dalla cima della montagna, il mare increspato dominava lo sguardo fino ai confini del mondo, e alcuni raggi di luce dorata avevano già invaso il cielo, dando inizio alle prime ore del tramonto. Poco lontano, alcune nubi minacciose iniziavano a scaricare la propria elettricità dalle parti di Oxenfurt; a onor del vero, caro lettore, una parte di me avrebbe voluto essere con Geralt, quel pomeriggio, per ammirare la splendida vista dalla cima di quella montagna. Ma il buon witcher non ebbe molto tempo per ammirare tutta quella bellezza, che si stagliava a perdita d’occhio di fronte al suo sguardo; un verso acuto, stridulo e raggelante lo costrinse a voltarsi verso la caverna, mentre il terreno tutto intorno a lui iniziava a tremare sotto i suoi piedi.

 

Capitolo IV
La Viverna Reale
“Maestosa di fronte a sé, Geralt di Rivia vide la Viverna Reale in tutta la sua ferocia, grande come una lavandaia del Velen e molto più minacciosa di un lupo mannaro. Stando al racconto del mio amico witcher, quella viverna era incredibilmente vecchia e pasciuta, e aveva sviluppato una forma di astuzia tipicamente umana: piuttosto che accontentarsi di pecore e animali di piccola taglia come i suoi simili, quella creatura aveva imparato ad assaltare le carovane di mercanti nei pressi di Oxenfurt, ed era quindi ben resistente e ben nutrita sotto qualunque aspetto. Posata sulla vetta del monte, proprio poco sopra l’uscita della caverna, quella spaventosa creatura alata sovrastava Geralt, il quale sentiva già il mite calore del sole calante alle sue spalle. Il pavimento intorno al witcher era illuminato dai raggi dorati del tramonto, e quella temibile viverna gigante sembrava già una delle creature più spaventose che Geralt avesse mai affrontato. In lontananza, il witcher poteva sentire il rombo dei tuoni nei pressi di Oxenfurt, che continuava a vivere la propria giornata, ignara dello scontro che stava per svolgersi sulle montagne.

 “Dopo, Geralt estrasse lentamente la sua spada d’argento da witcher, ancora gocciolante dello straordinario unguento usato poco prima. Il witcher non fece altro che urlare una semplice parola di incitamento, per provocare il mostro roteando la spada:

 «Forza!»

 “Immediatamente, la Viverna si lanciò contro la sua preda con un urlo forte e stridulo, e tendendo gli artigli verso di lui. Per contrastare il pericolo, i riflessi felini del witcher gli imposero di estrarre la balestra e scoccare un dardo verso la creatura, che si accasciò immediatamente al suolo, stordita; ma lo scontro era appena iniziato, e il nostro eroe sapeva che sarebbe andato avanti a lungo. Geralt sferrò un fendente verso la Viverna Reale, accasciata sul suolo di quella strana arena naturale e all’aria aperta; immediatamente, il mostro si scosse e contrattaccò con artigli e pungiglione, mentre il witcher continuava a rotolare e schivare i suoi colpi nel pieno stile atletico e spettacolare della Scuola del Lupo di Kaer Morhen, di cui il mio buon amico fa parte. E il grande Dandelion ha visto combattere molti uomini, nel corso della sua vita; ti assicuro, caro lettore, che nessuno sa combattere una creatura con precisione chirurgica come Geralt di Rivia.

 “Alle spalle del nostro witcher, i tuoni continuavano a esplodere nel cielo, e il tramonto portava luci sempre più calde sul campo di battaglia, che si riflettevano sulle macchie di sangue del terribile mostro alato. I colpi della spada laceravano la dura pelle della Viverna, e si dice che, quel giorno, lo stridere dell’argento potesse essere udito fino al porto di Novigrad. Tra fulmini in lontananza e luci del tramonto, tra morsi del drago e contrattacchi del witcher, lo scontro andò avanti fino allo sfinimento. Quando il mio amico Geralt mi raccontò di quello straordinario scontro sulla cima del monte, la suggestione fu tale che non potei fare a meno di prendere in mano una penna e scrivere qualcosa in suo onore. Il mio Ultimo Canto della Viverna divenne una delle ballate più celebri di tutta Oxenfurt, e bastò a celebrare il nome di Geralt di Rivia almeno per il lustro successivo. Ma dato che sei arrivato fin qui, caro lettore, credo sia almeno mio dovere condividere con te una parte di quella ballata, che ancora oggi fa la sua apparizione, di tanto in tanto, nelle taverne della Regione. Mai la parola scritta, per quanto nobile, potrà essere in grado di rendere la bellezza del canto in rima; ma, mentre leggi, immagina un accompagnamento di liuto, e una splendida voce soave a seguire il ritmo dei versi.

 

Si alza il witcher, sulla cima del monte,
Un drago in picchiata, non teme la morte,
Tramonto o tempeste, lo scontro incede,
Ma il drago, ahimé, resiste e non cede.

 

Poi ‘l witcher, stremato, inguaina l’argento,
Il mostro è al suolo, finito è ‘l tormento,
Artigli e veleno egli aveva sconfitto,
Il witcher trionfò, e così è stato scritto.

 

 “Finito lo scontro, com’è convenzione presso i witcher per ottenere denaro, il nostro eroe decapitò la Viverna Reale per consegnarla al villaggio più vicino e pretendere una ricompensa. Sorprendentemente, caro lettore, non ci fu bisogno di andare tanto lontano: un duo di rifugiati, giunti sulla montagna seguendo i versi della viverna, incontrarono il nostro poco prima che rientrasse nella caverna, e lo informarono che una gigantesca bestia alata stava assaltando le rotte commerciali da diverse settimane. Quando i due videro la testa del dragonide tra le mani del witcher, lo ringraziarono così profusamente che il nostro Geralt quasi sentì di non aver bisogno di corone, per quel giorno. Quasi, appunto: pochi secondi dopo, Geralt consegnò la testa della Viverna Reale ai due contadini, e pretese i loro borselli pieni d’oro come ricompensa. Anche se si allontanarono sbuffando, i due uomini erano decisamente felici che il witcher li avesse liberati di quella temibile bestia.

 “La tensione del momento fece quasi dimenticare al buon witcher il vero motivo per cui era entrato in quella caverna; una volta giunto alla base della montagna, però, i suoi sensi acutissimi gli permisero di scorgere un grande scrigno decorato, nascosto nell’ombra della caverna. Al suo interno, Geralt trovò l’equipaggiamento del Gatto che tanto aveva cercato; poi montò in sella a Rutilia e si allontanò, con sulle labbra uno dei suoi rarissimi sorrisi.

 “Insomma, se c’è una cosa che questa storia ci ha insegnato, è che le Viverne sono dei mostri feroci, tremendi e spietati, ben lontani da qualsiasi tipo di redenzione; ma non c’è Viverna Reale in grado di scoraggiare il leggendario witcher Geralt di Rivia, il più grande cacciatore di mostri mai esistito, e un esempio per qualunque uomo che voglia mettere alla prova il suo valore. Ordunque, caro lettore, rispetta il witcher e porgigli i tuoi omaggi, se mai avrai la fortuna di incontrarlo: io, Dandelion, il più grande trovatore dei Regni Settentrionali e del Continente intero, so bene cosa vuol dire essere un amico di Geralt di Rivia. E ti assicuro che mai al mondo, per nessun motivo, vorrei essere suo nemico.”

 

Capitolo V
Il Leggendario Witcher dai Capelli d’Argento
Il contadino emise un sospiro, poi chiuse lo splendido libro, rilegato in cuoio, tra le sue mani callose e rugose. Non era la prima volta che si lasciava andare ai piaceri della lettura, in una piccola pausa di una giornata estiva. Suo padre gli aveva sempre detto che la lettura era per le donne, e che un vero uomo doveva imparare a coltivare la terra, pescare o combattere valorosamente. “Tuo nonno ha imparato a fare tutte e tre le cose“, gli ripeteva continuamente, forse allo scopo di educarlo; peccato che il nonno fosse morto tra atroci sofferenze, divorato da un gruppo di Drowner che cacciavano lungo la costa. In un’altra vita, forse sarebbe stato un witcher come il suo idolo, Geralt di Rivia, così ben descritto e raccontato nelle ballate di Mastro Dandelion; ma, alla fine, si era dovuto adattare alle esigenze della sua famiglia, e aveva imparato a coltivare, lamentarsi dell’Impero e fare figli come tutti gli altri membri del villaggio.

 Si alzò dal letto: la pausa era finita, e il sole era ancora troppo alto nel cielo per smettere di lavorare i campi. Si avvicinò alla finestra, e una ventata di aria gelida e umida sferzò contro il suo volto.

 «Si avvicina una bufera. Meglio avvertire Jolanda.»

 Le bufere di neve non erano rare a Skellige, in quel periodo dell’anno. Col tempo aveva imparato a riconoscerle anche da un semplice alito di vento, e non poche volte era stato in grado di distinguere una tempesta naturale da un’incursione della Caccia Selvaggia, anch’essa conosciuta grazie alle sue letture. I libri gli avevano salvato la vita in fin troppe occasioni, anche se i suoi figli non erano stati sempre così fortunati.

 Il contadino ripose con cura il volume di Mastro Dandelion, regalo di sua moglie, sulla libreria. Andò verso la porta di legno della capanna, la spalancò e inspirò profondamente, per respirare a pieni polmoni l’aria fresca del primo pomeriggio. Afferrò un rastrello adagiato contro la parete della capanna, proprio di fianco all’ingresso, poi andò verso il centro del villaggio per dirigersi nei campi, dove avrebbe trovato la sua amata moglie a curare le piante.

 Mentre camminava per strada, vide Bjorn e Balder che discutevano tra loro in modo abbastanza vivace, anche se non sembrava che stessero litigando. Sembravano più spaventati da qualcosa; ma lui era ben abituato alle stranezze di quei due, e decise di lasciar perdere e continuare sulla sua strada. Pochi secondi dopo, scorse anche Astrid e Gunnar impegnati in una qualche discussione con altri membri del villaggio, e iniziò ad avere qualche sospetto. Rallentò il passo: quando il villaggio intero prese a raggrupparsi intorno a loro, non ebbe più esitazioni: decise di indagare.

 «E se fosse pericoloso?», chiese una donna.

 «Perché dovrebbe esserlo?», rispose una voce maschile nel mucchio. Il contadino si avvicinò, e cercò di introdursi nella discussione.

 «Cosa succede? Di che state parlando?»

 «Hertha, dal villaggio vicino, dice che uno strano uomo a cavallo sta venendo qui», rispose uno degli uomini. «È armato di tutto punto, ha gli occhi gialli e due spade sulla schiena, e ha ucciso il loro Aldermanno senza battere ciglio, dicendo che era un pericoloso mutaforma. Ma io non ci credo: Hjalmar amava le donne, è vero, anche quelle che non lo volevano… E più volte se le era portate nei campi. Ma loro erano sempre tornate. E poi, era un uomo giusto e valoroso.»

 «Hjalmar era più sporco e vile di un maiale», rispose una delle donne. «Freya mi sia testimone. È un bene che quel mutante lo abbia squartato.»

 Il contadino rimase per qualche istante in silenzio, cercando di mettere insieme i pezzi mentre gli altri discutevano. Poi, decise di intervenire.

 «Non è un mutante», disse infine, costringendo tutti al silenzio. «È un witcher. Un cacciatore di mostri, un viandante. E se viene qui, non è detto che abbia qualcosa da fare con noi.»

 I villici ripresero a parlare, discutendo animosamente sul da farsi. All’improvviso, un grido si levò da poco lontano, e una donna urlante corse rapidamente verso il gruppo, spaventata.

 «Aiuto! Uno strano tizio sta leggendo la bacheca del villaggio! È spaventoso!»

 «Calmati, Inge!», rispose uno degli uomini. «Che aspetto aveva?»

 «Non lo so», rispose la donna, ancora agitata. «Sembrava un uomo normale, a parte per quegli strani capelli… Ho provato a rivolgergli la parola, sono stata cortese, ma poi mi ha guardato con quegli strani occhi gialli e sono corsa via. Mi ha spaventata con un solo sguardo! Deve essere uno stregone, o qualcosa di simile!»

 Gli uomini si guardarono negli occhi per pochi secondi, poi si mossero verso il centro del villaggio, con l’umile contadino al loro seguito. Di fronte alla taverna, una calca di persone curiose impediva al contadino di guardare il witcher con i suoi occhi. Non può essere lui, si ripeteva, anche se in cuor suo lo sperava. Sarebbe stata una coincidenza troppo fortuita. E se fosse…?

 L’uomo si fece lentamente strada tra gli altri membri del villaggio, spingendo a gomitate per gettare uno sguardo al viandante. Quando fu finalmente giunto in prima fila, lo vide: un witcher vestito di cuoio scuro, con capelli d’argento e due spade sulla schiena, stava leggendo attentamente gli annunci sulla bacheca del villaggio. Poi, l’uomo strappò un foglio dalla bacheca, lo piegò e lo mise in tasca. Il contadino era immobilizzato: sapeva che non potevano esserci due witcher dai capelli d’argento, in giro per il Continente.

 «Ve lo avevo detto», sussurrò uno degli uomini, in prima fila. «È un dannatissimo mutante. Dovremmo fare qualcosa, prima che…»

 Il contadino lo interruppe all’istante, e lo richiamò al silenzio.

 «Quello lì non è un mutante qualsiasi», affermò con voce alta e autoritaria. Gli altri membri del villaggio si zittirono per ascoltarlo. «Quello è Geralt di Rivia.»

 Sentendo il suo nome, Geralt, lontano appena una decina di metri, si voltò di scatto e cercò gli occhi del contadino con lo sguardo. Poi gli fece un cenno di saluto con la testa, si voltò, e si allontanò verso Rutilia, che stava muovendo distrattamente gli zoccoli sul terreno poco lontano.

 «Geralt di Rivia?», chiese una delle donne. «E chi diamine sarebbe?»

 «Il più grande cacciatore di mostri mai esistito», rispose infine il contadino, con voce tremante per l’emozione.

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