Antonino Lupo

ILoveRetro Retrocensione: Crash Bandicoot

Un’icona senza tempo, ma che il tempo lo sente benissimo sulle proprie spalle

 

Crash Bandicoot è un intramontabile simbolo del mondo videoludico, uno di quelli che tutti abbiamo conosciuto e che tutti portiamo con tanto amore nella nostra memoria. Un mito che ha visto la luce nel lontano 1996, quando la prima PlayStation era ancora giovanissima, per mano di quel meraviglioso team di sviluppatori che è Naughty Dog. Il curioso marsupiale arancione è ben più che il protagonista di un videogioco: è l’icona di un’era, la mascotte di una generazione, il piacevole ricordo di un gran numero di nostalgici che non riescono a fare a meno di ricordare le proprie avventure su PS1 con estremo piacere, ripensando al buffo e impacciato Crash.

Come ben sappiamo, la storia del bandicoot più famoso del mondo è stata travagliata e piena di ostacoli, in parte iniziati già alla fine dell’era Naughty Dog (dopo Crash Team Racing, 1999) e proseguiti più o meno fino a oggi. L’annuncio di Crash Bandicoot N Sane Trilogy da parte di Activision (e il suo rilascio imminente, previsto per il 30 giugno in tutto il mondo), tuttavia, fa ben sperare in un ritorno in grande stile del nostro amato Crash, che ha ormai abbondantemente superato i 20 anni e che potrebbe – si spera – vivere ancora a lungo con una nuova “pelliccia”. Perché, quindi, non abbandonarsi a un nuovo tuffo nei ricordi per l’occasione, ripercorrendo le avventure di Crash nel primo capitolo della sua più amata trilogia?

 

 

Lo scienziato, l’esperimento, la donzella
Crash Bandicoot ha una “sceneggiatura” piuttosto semplice e blasonata
Se non avete mai giocato il primo Crash Bandicoot o semplicemente non ne ricordate la trama, non aspettatevi una sceneggiatura da Premio Oscar. Il primo titolo della serie, infatti, si occupa semplicemente di presentare dei personaggi appena abbozzati, tra cui uno scienziato pazzo (e non tanto capace) di nome Neo Cortex, un assistente borioso di nome Nitrus Brio, un bandicoot arancione denominato Crash e la sua ragazza, Tawna. Nel tentativo di creare un esercito di mutanti per conquistare il mondo, Cortex inizia a svolgere alcuni esperimenti per rendere gli animali simili agli umani, e tenta di effettuare un accurato lavaggio del cervello al povero Crash per renderlo il generale delle sue armate malvagie. Il problema è che il dispositivo denominato Cortex Vortex, ideato per il lavaggio del cervello, è ancora poco più che un prototipo; e l’esperimento di Cortex, effettivamente, fallisce, permettendo a Crash di scappare dal suo castello saltando dalla finestra. Finito in mare, il povero bandicoot sarà trasportato dalle correnti alla N. Sanity Beach, in una delle isole vicine, e dovrà percorrere ben 32 livelli per raggiungere il castello di Cortex e salvare la sua ragazza, catturata dai due scienziati prima che potesse fuggire insieme a Crash.

 

Una classica storia dai temi quasi fiabeschi, dunque, con un eroe, un antagonista e una donzella in pericolo; con la lieve differenza che Crash incarna il classico modello di eroe moderno, piuttosto che l’immagine del guerriero valoroso che potrebbe essere un Link (The Legend Of Zelda). Al contrario, il protagonista di Crash Bandicoot ricorda più un Super Mario di quanto non sembri, con il suo essere goffo, semplice e nient’altro che in balia degli eventi. Una trama così semplice, inoltre, non deve sorprendere affatto: non bisogna dimenticare che, nel 1996 (anno di uscita di Crash Bandicoot, come abbiamo detto in apertura), i giochi stavano appena iniziando ad avere delle storie un pelo più complesse, e Metal Gear Solid (che, di lì a poco, avrebbe dato uno scossone non indifferente alla narrativa videoludica) era ancora lontano di circa due anni (1998). Inoltre, Crash è completamente muto se non per qualche verso emesso di tanto in tanto; una scelta fortemente identitaria che poi sarebbe diventata iconica del personaggio, ma che non è improbabile sia stata anche una delle conseguenze del ridottissimo budget a disposizione di Naughty Dog, che decise di doppiare principalmente Cortex e Brio (il budget ammontava a solo 1.7 milioni di dollari, in un periodo in cui i giochi potevano già ottenere da 5 a 10 milioni di finanziamento).

 

Crash Bandicoot è un vero eroe moderno: goffo, semplice e in balia degli eventi

 

Una tale semplicità ed innocenza della narrativa di Crash Bandicoot fa quasi sorridere, così come fa riflettere il leggero cambiamento di direzione che i Naughty Dog avrebbero intrapreso di lì a poco: Tawna, la ragazza di Crash, scompare completamente a partire dal secondo capitolo della serie, lasciando il proprio posto a Coco Bandicoot, la sorellina un po’ secchiona e decisamente più intelligente del fratello maggiore.

 

Crash Bandicoot

Un vero uomo si riconosce da questi momenti.

 

Al tempo dei manuali cartacei…
Un inizio diretto e silenzioso
La storia appena descritta, però, è tutt’altro che presentata al giocatore in maniera diretta: il filmato introduttivo di Crash Bandicoot, infatti, parte soltanto se il giocatore decide di non compiere nessuna azione per diversi secondi nel menù principale. In caso contrario, se il giocatore deciderà semplicemente di “iniziare una nuova partita”, Crash si ritroverà già sull’N. Sanity Beach nel giro di pochissimi istanti, senza pressoché alcuna introduzione narrativa di qualsiasi tipo. Non stupitevi, dunque, se non siete stati in grado di ricordare la trama del gioco mentre ve la descrivevamo: è probabile che non l’abbiate mai conosciuta.

 

Tale scelta da parte di Naughty Dog potrebbe essere un residuo della concezione del videogioco tipica degli anni precedenti, quando le esperienze erano fortemente ludiche prima ancora che narrative. Ciò è testimoniato anche dal fatto che, in quel periodo, i manuali di istruzioni con la trama all’interno iniziavano a prendere sempre più piede, dando al giocatore un vero e proprio background narrativo in cui immergersi una volta avviato il gioco. Una cosa che, nella prima avventura di Crash, è più che confermata: una volta avviata la partita, infatti, il giocatore si troverà immediatamente di fronte alla schermata di selezione del livello, e potrà iniziare a giocare nel giro di pochi secondi.

 

“Per me, Crash è sopravvalutato”
Non mancano i difetti…
In una delle scorse puntate di Gameromancer, il buon Filippo Veschi ci aveva esposto la sua avversione verso il personaggio di Crash, descrivendolo come il protagonista di un platform (parafrasiamo) “scialbo” e – a differenza di Spyro: The Dragon – con nulla di veramente innovativo nella formula di gioco. Purtroppo, ad oggi, dopo l’ennesimo re-play della prima avventura di Crash, ci sentiamo in dovere di confermare (anche se solo in parte) la sua affermazione: sebbene i capitoli successivi abbiano un po’ rattoppato i difetti del primo capitolo, Crash Bandicoot è un platform crudele, con un sistema di salvataggio ancora un po’ primitivo (sarà necessario completare un livello bonus per avere la possibilità di salvare il gioco), con controlli imprecisi e con ben poche azioni a disposizione di Crash che non siano saltare o girare su se stesso. Non mancano i collezionabili (le gemme e le chiavi) che porteranno a un finale segreto per il gioco, né i classici oggetti di gioco (i Frutti Wumpa – corrispettivo delle monete di Super Mario e delle gemme di Spyro) che consentiranno di ottenere una vita ogni 100 unità. Sono presenti i checkpoint, ma sarà necessario non morire nel corso di un intero livello (anche quelli molto più difficili e complessi) per poter ottenere una gemma alla fine del percorso, posto che abbiate comunque distrutto tutte le casse lungo la via.

Non mancano, comunque, sezioni che spezzano la monotonia della formula di gioco, rendendo il tutto di volta in volta più vario e impedendo alla noia di sopraggiungere: livelli con sviluppo in profondità si alternano a livelli in “2.5D” a scorrimento simil-orizzontale, corse su dorso di cinghiale e fughe da enormi massi rotolanti, mentre degli immancabili “boss di fine livello” attendono Crash occasionalmente per impedirgli di raggiungere il castello di Cortex. Si citano, a tal proposito, il capo indigeno Papu Papu, il furetto gangster Pinstripe e il temibile Ripper Roo, un inquietante coniglio blu trattenuto da una camicia di forza.

 

Crash Bandicoot

 

Un tronco è più flessibile, ma va bene così
A ciò si aggiunge, come accennato in precedenza, un sistema di controllo e di risposte non esattamente perfetto, che porta Crash a essere pesante, legnoso e impreciso nei movimenti. Calcolare i salti alla perfezione sarà pressoché impossibile in gran parte dei casi, sia per una falsa percezione di profondità sia perché le reazioni di Crash non saranno sempre quelle sperate, e anche utilizzando l’analogico non sarà difficile cadere in un baratro senza volerlo.

… Ma il tutto contribuisce al fascino complessivo
Quest’ultimo elemento e quelli esposti poco prima contribuiscono a rendere Crash Bandicoot il capitolo più “difficile” della serie; ma questo non vuol dire che sia necessariamente un difetto. Basta un’occhiata allo splendido level-design (tanto coerente quanto vario man mano che si prosegue nel gioco), alla cura riposta nel character design dei vari boss e nemici, alle ambientazioni e all’avventura nel suo complesso, per rendersi conto che Naughty Dog non ha lavorato “alla meno peggio” e, anzi, ha messo buona parte del proprio impegno nel prodotto finale, testimoniando una cura per la qualità tipica della software house che era possibile intravedere già allora. Nel complesso, infatti, Crash Bandicoot ha un fascino intramontabile e ben regge contro i numerosi platform rilasciati in quel periodo, tanto più che – forse per la sua incredibile semplicità – è riuscito a ritagliarsi uno spazio nel cuore di milioni di videogiocatori in tutto il mondo.

 

Naughty Dog Logo

Il primo logo Naughty Dog

 

I suoi difetti, tutto sommato, sono facilmente imputabili al ridottissimo budget a disposizione degli sviluppatori, ma anche a un periodo in cui il medium videoludico stava appena iniziando ad approcciarsi al 3D; un periodo in cui gli sviluppatori stessi non erano ancora così “esperti” da saperlo utilizzare al meglio delle sue possibilità.

E sono forse proprio la sua difficoltà e le sue piccole mancanze a renderlo un gioco così stimolante, un gioco che continua a chiamarci a sé anche dopo anni e anni dal suo primo approdo nei negozi; un gioco che, non lo neghiamo, potremmo anche continuare a riprendere di tanto in tanto, in cerca di quelle piccole scintille di emozione che chiamiamo “nostalgia”.

 

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