Labirinto di Pandora – God Of War III
Dal dolore fantasma al dolore del Fantasma di Sparta: la cifra stilistica di Santa Monica Studio
Quella di God Of War è una saga epica (nel senso letterale del termine) che affonda le proprie radici direttamente nella mitologia greca, anche se la piega presa dalla serie negli ultimi annunci sembra voler virare anche verso il pantheon degli dèi norreni. La prima trilogia, però – come molti sapranno –, vede il famigerato Kratos (“Fantasma di Sparta“) alle prese con l’intero pantheon classico, da AresZeus passando per HermesElioPoseidone e chi più ne ha più ne metta. Il desiderio di vendetta di Kratos nei confronti delle divinità non conosce confini né limiti, e i suoi viaggi nel mondo greco lo portano ad affrontare architetture spesso particolarmente possenti, caratterizzate da una fortissima attenzione per il level-design. Leggendario lo scontro con l’Idra del primo capitolo (di cui potremmo anche parlare in un prossimo futuro), così come è entrata nella storia anche la fenomenale caratterizzazione del Tempio di Pandora, trasportato sulla schiena dal titano Crono nel temibile Deserto delle Anime Perdute. Il terzo capitolo della serie vede Kratos alle prese con il maestoso Olimpo, al cui interno, a un certo punto, lo spartano troverà il Labirinto (sì, quello costruito da Dedalo, ma con un paio di minotauri in più e senza Teseo). Un gigantesco conglomerato di cubi meccanici che, se incastrati tra loro, danno vita a un cubo ancora più grande che protegge il vero tesoro dell’Olimpo: Pandora.

Il Labirinto God Of War III

Dopo aver assemblato il Labirinto ed essere entrato al suo interno, Kratos si ritroverà alle prese con un’architettura contorta e incredibilmente complessa, che manovra la gravità a proprio piacimento per ostacolare il passaggio dell’ignaro viaggiatore che dovesse trovarsi al suo interno. Il tutto in un luogo dominato da giganteschi ingranaggi e meccanismi che – non a caso, ovviamente – si incastrano tra loro con estrema precisione e cura per il dettaglio.

 

La Fortezza Oscura – Kingdom Hearts
La magia di Disney incontra la Fantasia di Square Enix
La prima volta che si giunge alla Fortezza Oscura, dopo circa 20 ore di gioco piene di mondi e personaggi Disney, si resta un po’ spaesati dalla maestosità di quella struttura così ignota e, al tempo stesso, così affascinante, che farà da cardine per tutti gli avvenimenti più importanti della trama del primo Kingdom Hearts. Sebbene la Battaglia dei 1000 Heartless sia a dir poco indimenticabile, infatti, è nel primo capitolo che le terribili (in senso buono) sale della Fortezza Oscura si mostrano in tutto il loro splendore, ergendosi a testimonianza di una civiltà che ha fatto dell’Oscurità il suo motore principale. Dalla colonna sonora alle strutture in rovina, tenebroso e oscuro dialogano continuamente all’interno del livello, che, non a caso, è sostanzialmente divisa tra zone all’aperto e temibili sotterranei pieni di pericoli. Ma la Fortezza Oscura mostra il suo potenziale anche soltanto dalla Cascata Inversa, primo scenario in cui il giocatore sarà catapultato dopo l’atterraggio dalla Gummiship. Una cascata in cui il flusso d’acqua scorre sostanzialmente in senso opposto, e la cui superficie umida non può essere attraversata dal giocatore se non con l’ausilio di strane bolle d’aria. Le piattaforme fluttuanti e le rovine del palazzo faranno il resto, spingendo il giocatore in un viaggio che lo porterà a superare l’elegante biblioteca e l’amata/odiata sala delle sette principesse, dove Sora affronterà Ansem per la prima volta per salvare il cuore di Kairi da un destino peggiore della morte.

Fortezza Oscura

 

Il dualismo tra Luce e Oscurità (così come quello tra Alto/Basso e Sopra/Sotto) sarà un tema ricorrente all’interno della Fortezza Oscura, che sarà sfondo di alcune delle battaglie più memorabili dell’intero Kingdom Hearts.

 

Bonus: “Pooland – Conker’s Bad Fur Day
Come non chiudere con un livello – in senso letterale – di cacca?
Chiunque abbia mai giocato Conker’s Bad Fur Day su Nintendo 64 non potrà mai dimenticare facilmente un’esperienza del genere. I motivi sono vari: è un gioco su uno scoiattolo rosso volgare e violento, che si ritrova in alcune tra le situazioni più ignoranti della storia dei videogiochi (tanto per citarne una, lo sbarco in Normandia preso direttamente da “Salvate il Soldato Ryan“… Ma un po’ meno solenne). Tra i tanti livelli che saremo spinti ad affrontare nel corso dell’avventura di Conker, ce n’è certamente uno che spicca per l’originalità del level-design, nel senso più positivo possibile (nonostante sia difficile pensarlo): un livello che, a tutti gli effetti, è sostanzialmente senza nome, ma che identificheremo con il semplice appellativo di “Pooland“. Dopo aver incontrato un gigantesco scarabeo stercorario e bestemmiatore (chissà perché), Conker si ritroverà immerso in un mare di una situazione ai limiti del verosimile: dovrà calarsi verso le fondamenta di una semplice baracca che sorge su una palude di escrementi fumanti, volteggiando tra cascate di sterco (ovviamente in forma pseudo-liquida) per raggiungere una mucca che, se nutrita a base di succo di prugne, potrà alimentare la macchina di feci per permettere agli scarabei di continuare con la loro attività.

Interessante il fatto che, a un certo punto, Conker si ritroverà ad affrontare un gigantesco blob di escrementi (denominato “The Great Mighty Poo), che si esibirà in una performance canora e tenterà di eliminare Conker lanciandogli addosso parti del suo corpo. Ancora più interessante, forse, il fatto che la colonna sonora del livello sia composta interamente da possenti scoregge, affiancate per creare una vera e propria linea melodica che – per disgrazia – risulta anche piuttosto orecchiabile.

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