E anche oggi prendo a calci la maestra
Gaming AddictionTornando alla Dottoressa Tanya Byron, la ricercatrice ha posto l’accento sul fatto che, in alcuni casi, le cose potrebbero farsi effettivamente un po’ troppo estreme. Giocare ogni giorno per lunghissimi periodi di tempo, sacrificare altre attività e soprattutto sviluppare una negligenza generale nello svolgere i compiti per casa [homework] possono essere indici di un problema un po’ più serio, che sul lungo periodo potrebbe portare il bambino a sbalzi di umore e a evidenti problemi comportamentali legati all’obbedienza. Col passare del tempo e con la giusta guida, tuttavia, il bambino acquisirà consapevolezza sull’utilizzo del medium e, come già accennato, sarà in grado di equilibrare la propria vita integrando i videogiochi con altre attività, come gli interessi esterni, lo studio o i gruppi di amici.

Una questione diversa riguarda, invece, gli eccessi evidenti nell’utilizzo dei videogiochi. Senza una giusta guida, il medium potrebbe entrare a far parte della vita del bambino con così tanta potenza da diventare il suo unico motivatorecompromettere le sue relazioni sociali e persino la sua igiene. Anche peggio, il bambino potrebbe iniziare ad assumere comportamenti scorretti (come rubare un videogioco a un amico) e perdere interesse in qualunque attività estranea ai videogiochi, per non parlare della sua performance scolastica; è allora che il genitore è evidentemente chiamato ad agire, tentando di riportarlo sulla “retta via” per evitare che le cose assumano una piega spiacevole.

La terapia d’urto, però, non aiuta mai, e spesso spinge il bambino ad avvicinarsi sempre di più al medium: allontanarlo dai videogiochi per un periodo prolungato di tempo potrebbe renderlo aggressivo, depresso o eccessivamente violento mentre non sta giocando, principalmente per una questione di ripicca nei confronti del genitore ma anche per una forma di “astinenza” dai feedback positivi che il gioco riesce a garantire (che tratteremo a breve). E il risultato, prevedibilmente, sarebbe di farlo avvicinare ancora di più ai videogiochi quando il “periodo di punizione” sarà finito. Jordan Shapiro di Forbes crede che il segreto stia nella Mediazione; ma ne parleremo più avanti.

Si tratta comunque di estremi, anche se non sono gli unici: un vecchio articolo di LiveScience4 ha già trattato il tema dell’aggressività negli adolescenti e nei bambini eccessivamente legati ai videogiochi. La risposta all’analisi, però, è estremamente prevedibile e quasi scontata, arrivati ad oggi; come dichiarato dallo psicologo Patrick Markey nel 2012:

 

Il nocciolo della questione è che molte persone sono in grado di gestire il medium, ma altre, con una determinata predisposizione, potrebbero diventare leggermente più aggressive, o anche più disposte a una lite di tanto in tanto.

 

La diretta conclusione è evidente: i bambini sono in grado di separare la realtà dai videogiochi, così come sono in grado di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato in base agli insegnamenti dei genitori. Il mondo della fantasia, degli eroi e delle imprese epiche non sconfina mai nel mondo reale, a meno che non ci sia una vera e propria predisposizione da parte del bambino. Chi presenta tale predisposizione (e non solo verso comportamenti violenti), tuttavia, troverà una forte giustificazione in quello che vede su schermo, arrivando anche a riprodurre (nei casi più estremi) ciò che ha vissuto nel corso delle sue avventure virtuali o che ha semplicemente visto in televisione.

 

Anche un cervello in sviluppo ama il Ludus
L’interattività videoludica
Ma non è questa la sede per parlare del rapporto tra violenza e videogiochi, che andrà certamente approfondito in un’altra occasione. Quel che conta è che c’è una tendenza generale – da parte degli “educatori” – a non fare una netta distinzione tra contenuti televisivi ed esperienze videoludiche, al punto che, molto spesso, i due tipi di intrattenimento sono accostati e quasi sovrapposti. I presunti effetti dell’esposizione prolungata a una serie di trasmissioni televisive, dunque, vengono proiettati anche sui contenuti proposti dal nostro medium preferito, i quali – per definizione – hanno dalla propria una fondamentale caratteristica e differenza: quella di essere interattivi.

L’esperienza videoludica in generale è stata accostata da alcuni all’utilizzo di un vero e proprio giocattolo fisico. In quei termini, dunque, è erroneo cercare di rispondere alla domanda: “Quant’è che un bambino dovrebbe giocare con i suoi pupazzi?“; e, tuttavia, ciò che contraddistingue l’esperienza ludica è ancora diverso dal semplice utilizzo di un mattoncino LEGO.

In breve, perché i bambini amano così tanto giocare ai videogiochi? Cos’è che li spinge a volerne ancora, e ancora, e ancora, senza mai stancarsi? E in che modo questo meccanismo, se esistente, può essere utile ai fini del loro sviluppo? La risposta, come sempre, sta nel cervello.

 

Serotonina e Dopamina

Serotonina e Dopamina, due neurotrasmettitori strettamente connessi al piacere corporeo e psichico (Fig. 3)

 

Se la Serotonina è vista universalmente come “la molecola del buonumore”, è la Dopamina ad avere un ruolo fondamentale in tutto ciò che riguarda il lusso (nel senso latino di “eccesso”) e il piacere in senso stretto5. La Dopamina è la molecola dell’amore, della lussuria, della motivazione, dell’attenzione, della dipendenza da qualcosa; la Dopamina è la molecola del piacere provato quando si riceve una ricompensa, ed è quel neuro-trasmettitore che gioca un ruolo fondamentale nel cosiddetto Ciclo delle Ricompense [trad. lett. da “Reward Cycle”], alla base di tutti i nostri comportamenti abitudinari.

Il ruolo della Dopamina
Tra le mille funzioni a cui la Dopamina è connessa all’interno del nostro corpo, infatti, essa è responsabile e coinvolta anche nel rilascio del feedback per il raggiungimento di un obiettivo, che è esattamente ciò che avviene quando ci ritroviamo di fronte a un videogioco che riusciamo a completare con successo. Una volta ricevuta una ricompensa soddisfacente (spesso associata a un’emozione positiva), il cervello spinge a ripetere quell’azione più e più volte al fine di rilasciare il più alto quantitativo di Dopamina possibile; è così che, in alcuni casi, si entra nel pericoloso campo della dipendenza comportamentale, una forma di dipendenza psicologica che spinge il soggetto a ricercare delle “ricompense naturali” (diverse, dunque, dalle droghe) nonostante le conseguenze negative sul suo benessere fisico, mentale, sociale o persino finanziario.

Uno schema trovato in rete potrà aiutare a comprendere meglio il concetto di “Ciclo delle Ricompense”:

 

Reward Cycle

Le varie fasi del Reward Cycle viste nel particolare (Fig. 4)6

 

Si parte con una sfida (Fig. 3), più o meno complessa a seconda dei casi. Il soggetto coinvolto nella sfida si ritrova a compiere una serie di tentativi in un processo circolare che lo mette costantemente alla prova con se stesso; a un certo punto, però – dando per scontato che non abbia mollato prima –, il soggetto riceverà un feedback positivo che sarà portato a tradurre come una ricompensa. Ciò lo spingerà ad affrontare una nuova sfida utilizzando il feedback positivo per modificare la sua conoscenza pregressa, affrontando così il nuovo problema con rinnovata cognizione di causa. L’importante, però, è che il tutto avvenga in un ambiente in cui fallire è assolutamente sicuro, e dove i vari tentativi non mettano mente e corpo sotto una pressione eccessiva.

Il ciclo delle ricompense applicato ai videogiochi
Se tutto ciò vi sembra particolarmente astratto e contorto, basti pensare a una qualunque partita a Dark Souls, uno dei titoli in cui il concetto di feedback positivo viene portato fino al suo estremo: si parte con una sfida apparentemente banale (lo scontro con un nemico base), che siamo portati a sottovalutare per via della nostra conoscenza videoludica pregressa. Puntualmente, al primo errore, quella sfida banale ci aprirà il mostrerà tutta la sua crudeltà spingendoci a riprovare, riprovare e riprovare ancora (pattern recognition), finché non saremo in grado di sconfiggere quel nemico e ricevere in cambio un giusto quantitativo di anime (feedback + reward). In Dark Souls, come in ogni altro videogioco, il fallimento è parte del processo di apprendimento: la nostra presunta bravura ci spingerà ad affrontare sempre più nemici e in modi sempre più azzardati (modification), migliorando di volta in volta le nostre abilità di gioco e portandoci, eventualmente, ad affrontare un potentissimo boss di fine livello, che rappresenterà un nuovo input con il quale il ciclo delle ricompense si resetterà.

Questo esempio, già esplicativo di per sé, è profondamente radicato nella struttura stessa del videogioco e dell’esperienza videoludica, dove ogni ricompensa viene associata a un sentimento tendenzialmente positivo (crescita dell’autostima, fiducia in se stessi, adrenalina, vittoria, gioia) e dove l’ambiente virtuale rappresenta l’ambiente fisicamente sicuro per eccellenza. Il discorso potrà sembrare particolarmente generale (come, in effetti, è), ma immaginate quali effetti tutto ciò possa avere sul cervello dei più piccoli. Appare chiaro, a questo punto, il perché i bambini amino così tanto dedicarsi ai videogiochi per parecchio tempo: molti restano invischiati in un ciclo di ricompense senza fine, che li porta a desiderare sempre più emozioni e feedback positivi, al punto da mettere le basi per una sorta di “dipendenza” dal Ludus (o, meglio, dall’emozione che il gioco in sé provoca) che, come già dimostrato, dipendenza non è affatto.

 

Ludo-Social
E che dire della forte componente sociale intrinseca nei videogiochi? Più si vince e più si vuole vincere, magari per poter raccontare le proprie imprese a un amico a scuola o per mettersi in competizione con quel compagno che proprio non si riesce a sopportare. I videogiochi creano un bagaglio culturale implicito, una valigia di conoscenze che persino un bambino intorno ai 7 anni può imparare ad apprezzare, con la giusta guida accanto a sé.

Come dice Jordan Shapiro di Forbes7, “la tecnologia è qui per restare“, e Internet non verrà smantellato solo perché un gruppo di tecnofobici reazionari pensa che sia giusto tornare ai tanto decantati “bei tempi” in cui tutto era bello perché si giocava con le trottole per strada. I videogiochi raccontano storie, storie pensate per attrarre e per insegnare qualcosa anche ai più piccoli, in alcuni casi; storie di amore, di tradimenti, di amicizia e di forza, storie che, con i loro Reward Cycles, possono coinvolgere il bambino all’interno di un mondo che, anni fa, non si sarebbe potuto neanche sognare.

 

Genitori e videogiochi

 

I benefici di un bambino che gioca con i genitori vanno oltre l’immaginabile
E i genitori? Cosa dovrebbero fare i genitori, se i bambini trovassero opportuno esagerare con le ore di gioco? Potrebbero limitare con la forza il tempo che i propri figli devono passare di fronte allo schermo, certo; oppure potrebbero affidarsi al concetto della Mediazione (esposto dallo stesso Shapiro in un articolo), ponendosi come guida alle insidie della tecnologia e aiutando il bambino a comprendere meglio ciò che vede. Fare da tramite tra il mezzo ludico e il bambino può non solo aiutarlo a comprendere meglio ciò che sta facendo, ma anche donargli degli stimoli positivi che gli permetteranno di capire il mondo che lo circonda. E che si tratti di usare un tablet in parallelo mentre vostro figlio gioca a Minecraft o di seguirlo durante una partita, non ha importanza: l’importante è che siate presenti nella sua esperienza.

E, se siete arrivati fin qui, non abbiate paura di sedervi accanto a vostro figlio per affrontare una sana partita insieme a lui, o amati genitori. I benefici per il bambino potrebbero andare ben oltre qualunque cosa possiate immaginare, dai miglioramenti delle sue capacità emotive a netti cambiamenti (positivi) nei suoi orizzonti cognitivi e sociali. Ma non esagerate: non fate di tutto una lezione da imparare, e non costringete i vostri figli a guardare al medium nel modo in cui lo vedete voi. Lasciate che si divertano, lasciateli esplorare liberamente un mondo cubettoso e lasciate che combattano i loro demoni peggiori; forse, osservandoli, potreste imparare qualcosa di nuovo anche voi.

 


 

Fonti:

 

4^: Teens and Video Games: How Much Is Too Much?“; Becky Oskin, LiveScience; 10 Agosto 2012

 

5^What is Dopamine and How Does It Affect the Brain?“; Zoey Miller, The Babble Out; 2017

 

6^The Challenge, Feedback, Reward Cycle“; Andrzej Marczewski, Gamified.uk; 16 Febbraio 2015

 

7^3 Things Parents Should Know About Video Games And Kids“; Jordan Shapiro, Forbes; 25 Dicembre 2013

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