Edoardo Andrini

Speciale Storie di vita giocata: Le Follie del Nintendatore

Chi di voi ha mai visto “Le Follie dell’Imperatore”?

E’ un film animato decisamente anticonvenzionale, caratterizzato da un’ironia che lo distingue dalle altre opere Disney. Anche a livello di trama è unico: non parla di personaggi gentili (e bravi a cantare), ma di Kuzco, un giovane e arrogante imperatore azteco, residente in un enorme palazzo dorato, seguito da un numero incalcolabile di servi, e abituato a vedere ogni suo desiderio materializzarsi davanti ai suoi occhi.

Un giorno, però, questo imperatore è vittima una tripletta mica male di sfighe: viene detronizzato da Yzma, la sua tremenda consigliera personale, trasformato in un lama, e spedito in un paesino di montagna (che, per una coincidenza, Kuzco voleva radere al suolo e trasformare in un parco acquatico). Convivendo (inizialmente a fatica) con i suoi ex-sudditi, riuscirà a comprendere le loro usanze e i loro problemi, capendo l’importanza delle cose più semplici.

 

Cosa centra la trama di un film con i videogiochi?

 

Beh, diciamo che io, che sono cresciuto nel mondo idilliaco e curatissimo costruito dagli artigiani di Nintendo, mi sento un po’ come Kuzco. Sono stato metaforicamente abituato a oziare su un comodo triclinio, sorseggiando calici di nettare videoludico purissimo. Se qualcuno veniva ad offrirmi un PlayStation All-Stars Battle Royale, ridevo di gusto e mostravo subito i miei Smash Bros. prima di cacciarlo dalla mia Domus Aurea.

Ovviamente sto esagerando: i platformer 3D per PlayStation 1 e 2 sono una discreta parte della mia infanzia, e di sicuro non sarei chi sono senza i giochi per PC su cui ho speso chissà quante ore. Però capite che la quasi totalità di questi titoli non regge minimamente il confronto con un Twilight Princess, un Galaxy, un Melee, un Super Metroid, e così via.

Con questo ragionamento mi sono chiuso a lungo nel mio piccolo Eden Virtuale, ignorando i mondi che si celavano al di là dell'ecosistema Miyamotesco


 

Il velo di Mario
 

Fortunatamente mi sono reso conto che non poteva andare avanti così, e per questo devo ringraziare (paradossalmente) l’era di Wii U, in cui il rubinetto della magia dava preoccupanti segni di siccità dalle parti di Kyoto. La sete di grandi avventure che avevo allora mi ha spinto su altre rive. Proprio come gli scrittori del Novecento cercavano qualcosa di nuovo e superavano l’illusione che la letteratura fosse giunta al limite, squarciando il cosiddetto “Velo di Maya”, io ho squarciato il “Velo di Mario”.

 

La voglia di un nuovo Zelda mi ha portato nell’universo di Dark Souls, il bisogno di un sequel per Sunshine mi ha fatto conoscere il meraviglioso A Hat In Time quando ancora era un embrione su KickStarter. Ho inoltre “sbloccato” un intero genere, quello degli shooter, di cui i massimi esponenti, Half Life 2 e Bioshock, sono di peso nella mia All-Time TOP 20.
Però, proprio come è successo all’imperatore Kuzco, questo passaggio non è stato solo rose e fiori, e non lo è tutt’ora. Ancora oggi, giocando su PC, vedo degli errori di game design che mi fanno ribaltare dalla sedia e penso: “Ahh, se Yoshiaki Koizumi fosse stato a capo di questo team di sviluppo…”.

 

Poi, però, sistemo la sedia, e penso che se veramente Koizumi fosse stato a capo del team di sviluppo, forse quel gioco non sarebbe mai esistito.

 

Per esempio?

 

Ho giocato a Sonic Mania a febbraio: uno spettacolo per gli occhi, con una veste grafica davvero croccante e una colonna sonora energica al punto giusto. Credevo che correre per questi scenari sarebbe stato bellissimo, ma sin da Green Hill Zone ho cominciato a storcere il naso… nemici minuscoli, quasi impossibili da notare se ci si muove velocemente; questi nemici sparano proiettili imprevedibili e, soprattutto, ancora più piccoli. La visuale è inadatta alla dimensione dei livelli, chiedendoti di fare dei balzi nel vuoto che si concludono quasi sempre con un atterraggio nella lava o in un mare di spuntoni metallici. A volte non si capisce se una piattaforma appartenga allo sfondo o ci si possa saltare sopra, ed è frequente morire schiacciati perché un pixel di Sonic rimane intrappolato in un passaggio nel muro che si richiude.


Per approfondire:
Sonic Mania
E’ chiaro che sia un gioco molto più grezzo dei platformer a cui ero abituato, ma forse è perché Mania punta ad altro. E’ un prodotto che va studiato, conquistato con la fatica: i livelli labirintici hanno un’unica strada più veloce delle altre, e i nemici smettono di essere un problema quando si capisce esattamente la via da seguire. Se si guarda il prodotto con gli occhi di uno speedrunner (potremmo dire… con gli occhi di Sonic stesso?) tutto acquista un bellissimo senso.

Koizumi e Tezuka avrebbero mai realizzato un gioco così ostico per i neofiti? Aonuma e Motokura avrebbero mai creato Dragon Quest Builders, il sorprendente sandbox dalla storia ricchissima, correndo il rischio di venire accusati di aver fatto un rip-off di Minecraft? La nota avversione di Miyamoto per le trame complesse avrebbe permesso la realizzazione del fenomenale Undertale, o The Witcher? Tutti i titoli che ho citato presentano alcuni errori di game design che Nintendo avrebbe sicuramente evitato; ma sono giochi che i figli di Iwata non avrebbero mai potuto creare, perché anche loro, strano a sentirsi, hanno dei limiti.

 

Epimitio
La morale della favola è rivolta a tutti noi, me compreso. Sia nel mondo dei videogames, che nella vita reale, uscire dal proprio paradiso terrestre fa solo bene. Proprio come è fondamentale giocare prima di parlare, è fontamentale conoscere prima di giudicare.

 

…che poi, in fin dei conti, è la definizione di avventura;

 

è la trama dei più grandi film, dei più grandi giochi, delle più grandi vite; del passato, del presente, e del futuro.

#LiveTheRebellion