C’era davvero bisogno di un seguito per Blade Runner?

Questa la domanda che mi sono posto per mesi, fin dall’annuncio di Blade Runner 2049. Domanda che ho continuato a pormi anche dopo i primi trailer, le rivelazioni sul cast, il ritorno di Harrison Ford nei panni di Deckard, l’arrivo dell’invito per l’anteprima. Il quesito mi  lasciava perplesso, dopo il finale della Final Cut di Blade Runner, era tutto così perfetto, concluso, era inutile  fare un sequel che avrebbe potuto rovinare quanto visto nella pellicola di Scott. Era anche vero che Denis Villeneuve mi aveva incantato con Arrival, e intrattenuto alla grande con Sicario, quindi qualche buona speranza c’era. L’altra speranza era rappresentata da Ryan Gosling come protagonista, un attore mai troppo elogiato.

 

La domanda mi ha attanagliato fino a Lunedì, ventiquattro ore prima dell’anteprima, quando ho guardato i tre corti che coprono i trenta anni trascorsi tra Blade Runner e 2049 (li trovate  tra un paragrafo e l’altro di quest’ennesima opinione di pancia). Il mondo basato sui personaggi del romanzo di Philip K. Dick riprendeva vita in circa 20 minuti,  in due corti diretti dal figlio di Scott, Luke, e da una quindicina di minuti animati firmati Shinichiro Watanabe (Cowboy Bebop), dopo averli visti, mi si è iniziato a smuovere qualcosa, come se mi  avessero innestato un ulteriore dubbio. E se ci fossero altre cose da raccontare?

E così, con tantissima paura, ma allo stesso tempo con la speranza di vedere un gran film diretto da uno dei registi più talentuosi degli ultimi anni, mi sono seduto in sala lo scorso Martedì alle 11, in quel di Milano, per assistere a Blade Runner 2049.

Dubbi e certezze
Non mi è possibile raccontarvi la trama di Blade Runner 2049, se non concentrandomi su quanto si sa già  dai trailer e dai tre corti a cui abbiamo già fatto riferimento. Sono passati trent’anni dagli eventi del film di Ridley Scott e, dopo il blackout totale che ha spento tutti i replicanti, Neander Wallace (Jared Leto) è riuscito ad acquisire gli ultimi edifici della Tyrell Corporation, iniziando la produzione di nuovi replicanti obbedienti nel 2036. Alcuni vecchi modelli però, sono ancora in fuga, ed esistono ancora coloro che li cacciano, i Blade Runner. L‘Agente K (Ryan Gosling) è un Blade Runner, e durante un inseguimento scoprirà un segreto capace di sconvolgere la pace attuale. Non posso e non voglio dirvi altro sulla trama di 2049, per non rovinarvi nulla e soprattutto perchè si colloca perfettamente come sequel del film dell’82. Gosling convince fin da subito, perfettamente  calato nel ruolo di un agente che cerca per tutta la durata del film il suo scopo, creando empatia con lo spettatore. Le basi del personaggio di Leto ci sono, sebbene non sia approfondito quanto K, riesce, nel suo piccolo, a ritagliarsi uno spazio credibile (anche grazie al corto che potete vedere qui sotto).

Ottima anche la performance delle attrici femminili, da una stupenda Ana de Armas (Trafficanti, Overdrive) ad un’impassibile Robin Wright (House of Cards, Wonder Woman) fino alla letale Sylvia Hoeks (La migliore offerta), mentre un bolso Harrison Ford riprende in mano il ruolo di Deckard tanto caro agli appassionati del genere fantascientifico. Là dove  la pellicola di Villeneuve colpisce però, è nel lasciare intatto ogni dubbio rimasto dall’82, non andando a scomodare in alcun modo nessuno dei punti dell’originale Blade Runner, ma piuttosto ponendo nuovi enigmi e nuove considerazioni.

Non ci sono inutili spiegoni in Blade Runner 2049

Villeneuve non vuole farci dimenticare il Blade Runner di Scott, vuole piuttosto darci la sua visione del mondo e riempirlo di altri particolari che  di conseguenza lo ampliano. Non va a ritoccare nessuna delle “regole” viste nell’82, lasciando l’originale intatto e usufruibile anche senza dover per forza vedere i corti e 2049. 

Un gioco d’atmosfera
Orgasmo Visivo
La vera forza di Blade Runner 2049 però non sta nella trama e nel cast, ma proprio in tutta l’estetica composta dalla direzione di Villeneuve, dalla fotografia di Roger Deakins (Le Ali della LibertàNon è un paese per Vecchi, Skyfall) e le musiche composte da un’inossidabile Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch. Questi tre aspetti danno vita alle atmosfere Noir di  2049, ogni inquadratura è una grazia per gli occhi, dai colori alla saturazione, un miracolo visivo come raramente accade. E gli attori simuovono perfettamente all’interno di questo scenario, tra automobili volanti e IA avanzate, regalando quello che a tutti gli effetti  giudicherei come Orgasmo Visivo (e uditivo). Non ci sarà da stupirsi se il prossimo Febbraio 2049 farà incetta di candidature, specialmente sotto il lato tecnico.

E quindi, a visione ultimata, c’era davvero bisogno di un seguito di Blade Runner?

Sarebbe fin troppo facile dirvi di no. Perchè (specialmente in versione Final Cut) il film di Scott è ottimo da solo, concludendo in maniera perfetta l’avventura di Deckard. Ma era altrettanto facile “sminchiare” tutto con 2049, cosa che il buon Villeneuve non ha fortunatamente fatto. Il regista raccoglie a piene mani l’eredità di Scott, la rispetta e propone la sua visione del mondo noir, giocandosi tutto con le atmosfere. Non cerca di eguagliare l’originale. Vuole la propria identità.
E questo è un punto di forza immenso del film.
Estetica pura, questo è Blade Runner 2049. Un ottimo seguito, probabilmente non perfetto, ma capace di tenervi incollati alla poltrona e farvi sobbalzare in più di un occasione. Quindi date fiducia a Villenueve e lasciatevi trasportare nel 2049, siamo certi che, almeno i vostri occhi, vi ringrazieranno.

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