Sono passati mesi dall’ultima volta che si era reso necessario un simposio (piuttosto ristretto, a dire il vero) tra il nostro webmaster Pietro Iacullo e il suo fedele schiavo Antonino Lupo, ma le vele della diatriba sono sempre vigili all’orizzonte, e non potevano non richiamare all’arme due tra le personalità più polemiche della redazione. La Retrocompatibilità è un tema fortemente discusso in ogni regione della comunità videoludica, forse legato al “fattore nostalgia”, forse a un semplice capriccio dell’utenza, forse a bisogni un po’ più pratici; certo è che l’argomento riaffiora periodicamente per un motivo o per un altro, e questa volta è successo per colpa (o per merito) di Jim Ryan, un uomo paffuto e dal viso simpatico a capo di PlayStation Europe.

Secondo Jim Ryan, la retrocompatibilità è una di quelle feature “molto richieste, ma poco usate dall’utenza”.

In un’intervista al Time riportata da GameSpot.com, il responsabile di marketing e vendite di Sony Interactive Entertainment dice infatti quanto segue:

 

Dopo esserci occupati di retrocompatibilità, posso dire che è una di quelle feature che sono molto richieste, ma in realtà non vengono usate molto. Quello, e poi sono stato personalmente a un recente evento di Gran Turismo in cui avevano i giochi PS1, PS2, PS3 e PS4, e quelli PS1 e PS2 sembravano semplicemente vecchi; insomma, perché qualcuno vorrebbe giocarli?

 

La posizione di Ryan ha portato a parecchie risposte da parte degli utenti e della critica, ma una delle più importanti sembra essere l’analisi effettuata da ArsTechnica, che avrebbe misurato la fascia di utenti che effettivamente utilizzano la retrocompatibilità su Xbox One. Il risultato ha stupito i più, ma ha in larga parte confermato le parole di Ryan: nel campione di utenza esaminato dal sito (che corrisponde a circa un milione di Gamertags attive su Xbox One) la retrocompatibilità è utilizzata soltanto per l’1.5% del tempo impiegato complessivamente su Xbox One, che viene piuttosto speso per Netflix, altri giochi nativi della console, YouTube o altre applicazioni. Una quantità effettivamente irrisoria e quasi insignificante, per quanto la retrocompatibilità della console Microsoft sia indubbiamente curata dall’azienda per fornire un servizio di qualità.

Insomma, il dibattito sull’argomento è ancora aperto, e fornisce certamente qualche spunto di riflessione interessante. Spunti che hanno portato i nostri due eroi redazionali a scontrarsi apertamente sulla cosa più di una volta, l’uno a difesa della retrocompatibilità e l’altro pronto a condannarla – seppur entro certi limiti. Quale che sia la verità: quali sono i punti a favore e contro la retrocompatibilità sulle nuove console?

 

Galeotto Fu è una rubrica dal nome pretenzioso che, coinvolgendo due soggetti individuali, adotta logiche accademiche per vagliare un argomento nei suoi pro e contro, e che vi sta confondendo già dalla sua descrizione. In lingua volgare: un saggio breve che espone pro e contro a proposito dell’argomento trattato, lasciando a voi lettori l’onere di trarre le conclusioni. Perché fatti non foste a viver come bruti.
Sono vecchio, povero e pigro
Senza dubbio, è una feature che rende l’esperienza pad alla mano più accessibile e meno traumatica
Per diversi giocatori, la risposta alla domanda del titolo sarebbe sicuramente “sì”. Molti di quelli che decantano le lodi della retrocompatibilità su console, infatti, difendono tale feature per un semplice fattore nostalgia: non è difficile costruirsi dei ricordi legati alla libreria videoludica della generazione passata, e di conseguenza non è certo facile lasciarla andare da un momento all’altro, magari quando sai di avere ancora molte glorie del passato da recuperare prima di immergerti nella nuova generazione. Sebbene la retrocompatibilità sia un evidente limite alle “operazioni nostalgia” (di cui il buon Pietro ci parlerà a breve), infatti, per chi scrive è innegabile che la retrocompatibilità può essere soddisfacente per quella fascia di utenza che ama immergersi nel passato di tanto in tanto. Il problema, al limite, potrebbe essere che si tratta di un’operazione generalmente di nicchia: il retrogamer è un giocatore specifico con interessi molto specifici, laddove una larga parte della base di utenza su console si immerge in una determinata generazione esclusivamente per i giochi da essa offerti. Basti vedere, tanto sul piano italiano quanto su quello globale, le vendite di PlayStation 4 rispetto a quelle di Xbox One: una prima supposizione potrebbe essere che buona parte degli ex utenti Xbox 360 si è attualmente “spostata” sulla console Sony, e che tali utenti non sentirebbero il bisogno di utilizzare una retrocompatibilità per giochi che neanche possiedono. Al contrario, il retrogamer è generalmente un utente fedele almeno per due generazioni di fila, che vorrebbe avere l’opportunità di riprendere – ogni tanto – quei giochi da lui amati diversi anni prima. Com’è intuibile, la percentuale rispetto all’utenza complessiva potrebbe essere molto bassa.

E, tuttavia, la retrocompatibilità può essere comunque utile agli utenti in svariati casi: si pensi alle diverse offerte delle catene di videogiochi e/o tecnologia, che offrono uno sconto sulla nuova console solo se si riporta in negozio la vecchia. Una volta permutata la vecchia console, l’utente non avrebbe alcun modo per rigiocare i vecchi titoli se non ricomprandola. Questo problema si potrebbe porre anche in caso di un improvviso malfunzionamento della console di scorsa generazione (che potrebbe presumibilmente avere più di cinque anni, e potrebbe ormai essere impolverata e in disuso su uno scaffale); e poi c’è il sempre presente fattore “pigrizia” (cui chi scrive non è affatto estraneo), indubbiamente aggirabile ma degno di menzione, secondo cui dover rimontare la console (magari scambiando ingressi audio / video e simili) sarebbe un processo così lungo che non varrebbe la pena farlo ogni volta che si sente il bisogno di rigiocare qualcosa.

In altre parole, la retrocompatibilità rende il retrogaming più accessibile, sia per utenti pigri che per quelli effettivamente impossibilitati a praticarlo. Vi ricordiamo, a tal proposito, il nostro articolo sulla pirateria di qualche settimana fa:

 

[…] Ora come ora la pirateria ha il suo futuro nel passato, nel senso che l’unico ambiente dove effettivamente questa ha senso di esistere (e specifichiamo: non stiamo incentivando o liberalizzando la pratica in nessun modo, solo prendendo atto di come sia, ahinoi, più fruibile in modo illegale) è quando si parla di retrogaming.

Questo perché diversi giochi delle passate generazioni diventano quasi introvabili dopo un dato periodo di tempo, e la cosa diventa particolarmente fastidiosa se si sono già comprati la prima volta (magari anche a prezzo pieno) e non si ha più una console su cui farli girare. Paradossalmente, infatti, qualcuno potrebbe decidere di vendere la console ma tenere i propri giochi, seguendo quel principio del feticismo della copia fisica di cui chi scrive è un fermo sostenitore. Ciò non deve affatto sorprendere: il videogioco, nel corso degli anni, ha saputo incentivare pratiche di collezionismo, e in molti possiedono ancora una vastissima libreria di titoli delle generazioni passate cui sono saldamente affezionati, anche se a conti fatti non li utilizzano più (la mia copia originale di Kingdom Hearts mi sta ancora guardando in questo momento).

La retrocompatibilità è come il sesso anale: stai bene anche senza, ma se c’è è una possibilità in più.” – Guido Avitabile, We Love Videogames, 2017

Ciò non toglie che, come vedremo, la retrocompatibilità abbia anche dei punti a sfavore, ma in generale sembra che, quando presente, sia un valore aggiunto: qualcosa in grado di ampliare il parco titoli di una console già esistente, di incentivare i tuffi nel passato da parte di un utente fedele e di consentire altre ore di divertimento su titoli che si sono già amati, pur non distogliendo l’attenzione dai capolavori della generazione corrente. Che la versione Fat di PlayStation 3 mi si sia bruciata mentre aiutavo Winnie The Pooh in un re-play di Kingdom Hearts II, poi, è un’altra storia.

È facile essere retrocompatibili col c*lo degli altri
La questione, in realtà, è molto semplice: se all’improvviso venisse annunciato un modello di PlayStation 4 retrocompatibile con la libreria PS3 – per amore di semplicità, ammettiamo che al momento non siate in possesso di una PS4 e che quindi non ci siano motivi per essere infastiditi da questa manovra – ad un prezzo superiore a quello fissato per il modello base, sareste disposti ad acquistarla?

Se la vostra risposta è “sì”, nella maggior parte dei casi avete appena mentito a voi stessi. Complimenti.

Ma ha un costo, che l’utenza ha già dimostrato non essere disposta a pagare…
Molto probabilmente in questo momento il vostro cervello è attraversato da più di qualche insulto per l’autore di questa parte del pezzo, state pensando che non ha nessun diritto di offendervi e che alla fin fine nemmeno vi conosce. Ma non c’è bisogno di conoscervi per poter dire una cosa del genere: questo scenario si è già verificato, e dati alla mano avete già dimostrato che no, non sareste disposti a sostenere di tasca vostra il prezzo della retrocompatibilità. PlayStation 3 infatti, una generazione fa al lancio permetteva di poter optare tra un modello retrocompatibile con PlayStation 2 – contestualizziamo velocemente: la console con il parco titoli più imponente di sempre e più venduta della storia – e modelli che invece potevano avviare solamente giochi del nuovo catalogo PS3. Ed il grosso delle vendite della macchina si è andato a concretizzare proprio quando la casa madre ha deciso di abbandonare la retrocompatibilità e abbassare il costo complessivo della sua console. Ora, potreste obbiettare che la retrocompatibilità è un vostro diritto, che semplifica la fase di transizione da una macchina all’altra e che (in perfetto stile Mourinho) non è un problema vostro se ha un costo. Potreste, però sarebbe semplicemente la dimostrazione che siete consumatori inconsapevoli, che ancora non hanno capito che il potere è nelle loro mani. Il mercato (tutti i mercati, si parli di videogiochi, cinema o ortofrutta) è la creazione dell’ingegno umano che va più vicino ad al concetto di democrazia: è la massa a stabilirne la direzione, esercitando il suo diritto di voto semplicemente acquistando o meno un prodotto. Per cui, se non siete disposti (come massa) a sostenere prodotti che per garantire la retrocompatibilità inevitabilmente alzano l’asticella del prezzo, la questione non dovrebbe nemmeno porsi. Perché come chi scrive ha già avuto modo di dire, la retrocompatibilità ha un costo dal punto di vista hardware (e software), e non si può pretendere che i grandi attori del business se ne facciano carico per mecenatismo. Come non si può pretendere che pur di preservare il passato, vengano condizionate le scelte di progettazione del futuro: PlayStation 4 ed Xbox One hanno un’architettura completamente diversa rispetto alle loro progenitrici, e hanno seguito un cambio fortemente ispirato (se non fortemente voluto) dagli sviluppatori stessi – che ricordiamo, sono quelle persone il cui sudore della fronte poi ci fa felici inserito il Blu-Ray nella console. Per cui trattarli decentemente potrebbe essere una buona idea. Mantenere una retrocompatibilità hardware in questo caso avrebbe richiesto l’inserimento della vecchia componentistica all’interno della macchina (scelta, come detto, che è stata scartata dal mercato stesso) oppure il pensare ad un’architettura compatibile con quella vista una generazione prima, mettendo dei precisi e pesanti paletti ai progettisti e di fatto impedendo la realizzazione di PS4 e Xbox One così come le conosciamo.

… O premiare, se per questo
Xbox One poi, come noto, è riuscito ad inserire in corsa la tanto agognata feature sfruttando un emulatore software e realizzando quello che, come l’autore ripete sempre, è un piccolo miracolo ingegneristico. Ma non crediate che si sia trattato del lavoro di un pomeriggio o di una settimana (non a caso, la libreria è tutt’ora in fase di conversione e non potete avviare qualunque titolo Xbox 360 sull’attuale ammiraglia di Redmond).

Semplicemente, Microsoft ha deciso di accollarsi quei costi e quelle responsabilità per un motivo: ne avevano bisogno.

In un colpo solo la retrocompatibilità ha permesso a Xbox One di rimpinguare l’offerta del suo Games With Gold – e in tempi più recenti del suo Xbox Game Pass – e di giocare una carta che la concorrenza non ha. Un rischio (più o meno) calcolato, funzionale a quello che è il disegno e l’ecosistema che Microsoft sta cercando di costruire. Ma che anche in questo caso l’utenza sta deliberatamente ignorando, dimostrando di preferire sempre più l’offerta della “malvagia” Sony. Fermatevi un attimo e chiedetevi perché, visto che dopotutto ormai la questione economica è venuta meno (le due macchine costano praticamente la stessa cifra) e il parco titoli non è poi così diverso, in un mondo che ha ancora bisogno di esclusive ma dove queste giocano un ruolo molto diverso rispetto all’epoca del duopolio Sega-Nintendo. La risposta non può che essere una: la retrocompatibilità è un vezzo, e al giocatore di oggi interessa soprattutto altro. “Altro” che semplicemente (e mediamente) funziona meglio su PS4.

Diciamocelo: le remastered servono
Va peraltro fatto notare come, come detto, pur offrendo una certa retrocompatibilità Xbox One non abbia ancora esteso il tutto all’intero catalogo di 360, e che proponga comunque buona parte delle stesse rimasterizzazioni che arrivano anche sulla controparte giapponese. Operazioni Nostalgia, come spesso le definiamo su queste pagine, che a differenza della retrocompatibilità sembrano essere ben recepite dall’utenza videogiocante – non a caso, vengono proposte sul mercato con una certa frequenza. Non si tratta, come spesso si sente dire, solo di semplici operazioni pigre atte a far cassa e a scappare col malloppo da parte della software house di turno (chiaro, in alcuni casi sulla copertina sarebbe stato più onesto scrivere “Datece li sordi”, ma non si può fare di tutta l’erba un fascio). Bisogna infatti ricollegarle a quanto dicevamo prima: il mercato è democratico, per cui se e quando una di queste operazioni che pescano dal passato poi riescono a vendere bene, chi detiene i diritti della serie non si fa poi certo problemi a riportare in vita la vecchia gloria rimasterizzata. È un modo diretto ed immediato per sondare il terreno, fare qualche guadagno “facile” (non è comunque banale andare a restaurare un titolo, ma non bisogna inventarsi tutto da zero) e al contempo dare un contentino agli appassionati di un marchio. Se poi nel mezzo qualche nuova leva si avvicina alla serie grazie all’operazione, tanto meglio – anche se il target era, o meglio dovrebbe essere, un altro. Non ci credete? Anche in questo caso ci sono dei precedenti storici chiarissimi, come ad esempio Super Street Fighter II Turbo HD Remix, che ha rilanciato in grande stile il re dei picchiaduro e riportato in auge la formula bidimensionale della saga, portandoci poi a Street Fighter IV e al quinto – più controverso, ma pad alla mano comunque riuscito – quinto capitolo. Non fermandosi nemmeno li, a ben vedere, visto che poi sull’onda di quel successo anche la serie Mortal Kombat è tornata alle origini, riuscendo poi definitivamente a rinnovarsi con Mortal Kombat X. E innegabilmente la retrocompatibilità – una retrocompatibilità totale e indiscriminata, quantomeno – potrebbe interferire con questi ragionamenti. È un discorso che forse può far storcere il naso a più di qualcuno, ma guardando alla gallina domani piuttosto che all’uovo oggi non si può non ammettere almeno in parte che ci sia della fondatezza in queste parole: rimasterizzato è meglio, soprattutto se poi porta direttamente ad un vero e proprio rilancio del brand. Che è un po’ quello che ci auguriamo succeda ai vari WipEout e Crash Bandicoot, ma anche a nobili decaduti come Metroid.

Quando la retrocompatibilità serve
Ma intendiamoci, non per questo bisogna essere immuni al fascino dei grandi classici o contrari alla retrocompatibilità in tutto e per tutto. I fondamentalismi sono sempre il male, e ci sono dei casi in cui la retrocompatibilità sarebbe non solo importante, ma anche un tesoretto. Ne avevamo già parlato nel nostro approfondimento sulla pirateria: finché chi fa uso di copie illegali potrà – e spiace ribadirlo di nuovo, ma non con tutti i torti – lamentare una maggior facilità di fruizione di queste rispetto all’alternativa legale, il medium (il nostro medium) non potrà che continuare a portare questa croce. È proprio per questo che, quando si parla di software particolarmente vecchio in particolare, la retrocompatibilità dovrebbe essere un obbligo quasi morale, e con i mezzi che abbiamo a disposizione oggi continuare ad essere garantita anche nelle future generazioni: acquistare un titolo sulla Virtual Console di Nintendo dovrebbe dare il diritto all’acquirente di poterlo giocare su tutte le macchine della casa di Kyoto, e lo stesso discorso va fatto per quanto riguarda i classici della prima PlayStation in casa Sony. Fornire un’alternativa comoda e legale alla pirateria è un passo, nell’opinione di chi sta scrivendo, che il videogioco deve riuscire a fare per riuscire ad affermarsi definitivamente come forma di espressione, prima ancora che come arte. Del resto come dicevamo la letteratura ha i suoi ebook (e i suoi grandi classici scaricabili gratuitamente sui vari Kindle e Kobo) e la musica ha iTunes, Spotify e simili.

È su questo tasto che l’utenza dovrebbe insistere

Smettendo di guardare semplicemente la propria libreria di giochi fisici e chiedersi cosa farsene di tutti quei dischi per PS3 adesso.

#LiveTheRebellion