Recensione Sacred 3

Sono passati cinque anni dall’ultima incursione videoludica nell’universo di Ancaria e, con il passaggio delle redini della serie Sacred da Ascaron Games a Keen Games e Deep Silver, il terzo titolo nella saga cambia le carte in tavola rispetto ai suoi predecessori.

Abbandonata infatti buona parte delle meccaniche rpg Sacred 3 si presenta con un marcato carattere hack’n’slash, pur mantenendo una minima pretesa di legame con il genere originario nell’avanzamento di livello dei personaggi. Tuttavia, nell’apprestarci ad affrontare la nuova minaccia (nella fattispecie il malvagio Lord Zane e le sue mire verso il potente artefatto “Cuore di Ancaria”), emerge lo spettro di qualcosa di ben più sinistro che si cela dietro le facciate brillanti e la discreta qualità tecnica della realizzazione: svuotato di molti aspetti di gameplay attivo e dalla linearità fin troppo elevata, Sacred 3 pone al giocatore una sfida ben più grande dei nemici a schermo, quella contro la noia.

Chi mi ha rubato lo zaino?

Se nei primi momenti del gioco, dalle schermate di selezione del proprio personaggio, la sensazione di avere le mani legate sulle scelte che verranno è presente come una pulce nell’orecchio, già le prime missioni fugano istantaneamente ogni dubbio. “Orde di nemici poco ispirati, da falcidiare senza troppa tattica caricando a testa bassa

Una minaccia ben più grande dei nemici è quella della noia

qualsiasi cosa si muova a schermo”, riassume senza troppi problemi un buon 90% delle attività possibili al giocatore. Se i predecessori mantenevano una discreta (e talvolta eccessiva) componente di management dell’inventario e delle statistiche con la possibilità di personalizzare dignitosamente il proprio alter-ego, gli eroi di Sacred 3 diventano dei semplici archetipi dalla progressione fissa, con ben poche opzioni di scelta durante l’avanzamento di livello. Spesso, anzi, l’intero diritto di scelta ci verrà completamente revocato, complici dei requisiti di statistiche (fisse) completamente al di fuori della portata del giocatore, costringendoci ad utilizzare per svariati livelli le sole abilità ed equipaggiamenti forzati dagli sviluppatori.

E si, parliamo anche di equipaggiamenti, in quanto, ridotto all’osso il sistema di ricompense casuali, Sacred 3 “gratifica” il giocatore con nuove armi ed accessori solo nelle schermate di selezione tra una missione e l’altra, e solo all’avanzamento di livello. Bonus minori sono disponibili durante le missioni stesse, ma si tratta comunque di potenziamenti temporanei o di pozioni. Combinato con un sistema economico praticamente inesistente, si tratta di una meccanica che da una parte facilita l’approccio a chi cerca una partita rapida e senza troppe complicazioni, ma dall’altro elimina completamene il senso di “gratificazione” per le proprie azioni. Tutto è già alla portata di tutti, e quelle scintillanti armi finali sembrano a portata di mano… Se non fosse per quei trenta (quando va bene) livelli di mezzo, che costringono i giocatori ad un lento e ripetitivo processo di level grinding tra le varie missioni. E nonostante il design vario delle ambientazioni, tanto ripetere i precedenti livelli che attraversarne di nuovi non è un processo piacevole, specie considerando che c’è ben poco da fare a parte avanzare da un boss all’altro mietendo vittime nel mezzo…

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Eroe in transito al binario 4

Come già accennato, uno dei punti di forza di Sacred 3 è la cura al comparto grafico: a differenza di altri titoli nel genere (Diablo su tutti), molti degli ambienti del titolo Deep Silver non sfociano nella mera esplorazione di sotterranei e prigioni, bensì spaziano in località aperte e suggestive.

La sensazione è di essere, più che degli eroi, dei topi in gabbia

Spesso e volentieri la telecamera virerà automaticamente in una visuale panoramica per permetterci di osservare al meglio la scena e le varie sequenze che fanno da sfondo alle nostre azioni, come ad esempio un assalto di goblin in lontananza, sontuosi tramonti, navi incendiate e via dicendo. Sebbene questa scelta stilistica serva in qualche modo a mitigare la ripetitività del gameplay, l’altra faccia della medaglia è l’incremento della frustrazione nel constatare una cura ai dettagli che è stata profusa maggiormente negli eventi in background che nell’esplorazione riservata al giocatore. La progressione dei livelli è praticamente su binari prestabiliti, avanzando senza possibilità di deviare da un punto A ad un punto B della mappa in un percorso fisso. Le scariche di effetti grafici, esplosioni e proiettili magici da riversare sui nemici, esauriscono ben presto il loro effetto placebo per distrarci dalla realtà di essere, più che dei potenti eroi ribelli, dei topi in gabbia.

Più di una volta inoltre, durante la nostra prova, è capitato di avere il ragionevole dubbio di aver già giocato i livelli che ci apprestavamo a completare, in particolar modo nelle missioni “secondarie” che compongono una buona fetta del gioco. In queste, a differenza delle principali di trama, saremo spesso chiamati non tanto ad una marcia forzata verso il boss residente, occasionalmente interrotta da qualche leva o interruttore sporadico, ma a resistere a tre ondate consecutive di nemici fantasy generici, senza arte né parte.

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Fortunatamente, volendo spezzare una lancia a favore del gioco, le tattiche di carica a testa bassa si interrompono alla comparsa dei boss, sui quali sperimentarle equivale per la maggior parte del tempo a vedere la barra della vita dei nostri eroi esaurirsi inesorabilmente. Tuttavia, anche in questo caso, sebbene sia richiesta una maggior tattica e un uso più consapevole del territorio a disposizione, molti dei nemici più potenti sfruttano pattern d’attacco simili, con violenti attacchi stordenti ad area e cariche. Una volta apprese le piccole variazioni applicate a tale strategia dal boss di turno, gli scontri si tramutano in un breve esercizio della memoria muscolare.

Stesso dicasi per la (inesistente) curva di difficoltà, che sfrutta una semplice meccanica basata sulla differenza matematica tra il livello del giocatore e quello richiesto dalla missione. Affrontarne una di livello superiore al nostro si traduce in una sfida tediosa e costante, mentre per un pari livello o un eroe di livello superiore, diventa difficile anche cercare attivamente di morire. Il che lascia tempo di dedicarsi all’ascolto degli “assistenti”, entità spirituali equipaggiabili che garantiscono bonous e malus, oltre ad avere una fastidiosa tendenza alla loquacità.

Crisi d’identità

Sacred 1 e 2, pur nelle loro limitazioni e problemi tecnici, hanno sempre mantenuto una certa identità dal punto di vista dell’ambientazione e dei toni: un mondo high fantasy costellato di eroi ed entità malevole, in cui lo spazio per l’ironia è limitato e mirato. Un mondo serio, che prende sul serio le minacce che gli si presentano. E, a ragion del vero, anche Sacred 3 prova ad esserlo. Tuttavia si tratta di un tentativo incostante, che spesso e volentieri stride con la seconda identità del gioco. Un’identità puerile, fatta di battute che starebbero meglio in un gioco della serie Leisure Suit Larry e ripetute situazioni grottesche, che più che strappare una risata fanno alzare un sopracciglio.

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Il fastidio è inoltre aumentato dalla frequenza delle stesse, complice un doppiaggio che alla lunga diventa molesto, e musiche piatte e poco ispirate che lasciano “liberi” di concentrarsi sulle voci. Per chi avesse giocato il precedente capitolo, poi, l’amaro in bocca è garantito al ricordo del lavoro fatto nel comparto audio di Sacred 2, con l’inclusione di pezzi realizzati appositamente da gente del calibro dei Blind Guardian.

Verdetto
5 / 10
Alla ricerca del "Cuore" in un gioco in forte crisi d'identità
Commento
Considerare Sacred 3 un sequel dei predecessori solo per il numero nel titolo, sarebbe un grave errore: se la saga non ha mai brillato per eccellenza qualitativa, tuttavia aveva una propria natura ben definita, radicata nel genere action rpg e in grado, a volte, di riservare alcune piacevoli sorprese. Tolto però l'aspetto gestionale di inventario e abilità, il senso di gratificazione dovuto ai tesori, tolte le sfide e ridotta all'osso la parte tattica, eliminata persino la possibilità d'esplorazione in favore di un level grinding ripetitivo, blando e forzoso, quello che ci troviamo davanti è un guscio senz'anima, giocabile ma difficilmente godibile. L'aggiunta della componente multiplayer non incrementa in alcun modo la piacevolezza del titolo, e si limita a rendere semplicemente più rapida la traversata dei livelli...pardon, dei binari. A parte questo, l'unico motivo sensato per cui potreste voler rischiare l'ulteriore frustrazione dovuta al lag, sarebbe dotarsi di un paio di cuffie con microfono, disattivare completamente l'audio del gioco (e le fastidiose battute degli spiriti) e parlare con una persona reale della mediocrità del titolo. Ma anche in questo caso, esistono modi migliori di sprecare la propria vita... A volerne trarre una conclusione, Sacred 3 non è certamente un gioco eccelso, tuttavia non è nemmeno il genere di spazzatura da cui tenersi alla larga ad ogni costo. Semplicemente è un gioco piatto, privo di mordente, che si scontra inevitabilmente con altri classici del genere (Diablo in primis), e che purtroppo spreca in maniera indecorosa qualsiasi possibilità di rinverdire la saga grazie ad un cambio di genere.
Pro e Contro
Alla portata dei neofiti
Cura nel comparto grafico
Background dei livelli ispirato

x Castrante per i giocatori avanzati
x Doppiaggio mediocre
x Narrativamente incostante
x Estremamente ripetitivo

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