Recensione Resident Evil 7: Biohazard

Parliamoci chiaro sin da subito: quali sono i punti cardine che hanno reso immortale la serie Resident Evil? Potremmo parlare del costante senso di pericolo, della paura di voltare l’angolo e trovarci ancora una volta di fronte ad un nemico difficile da abbattere, dell’inventario limitato, della presenza di un’atmosfera “normale” contaminata da qualcosa di oscuro e malato o di un mistero all’apparenza semplice da risolvere, ma che nasconde in verità più di un segreto. Resident Evil è ognuno di questi elementi, ma, soprattutto, è tutti questi elementi messi assieme. Come ben saprete se non vi siete trasferiti su un altro pianeta, il 24 gennaio è uscito Resident Evil 7: Biohazard, ultimo capitolo di quesa saga che, con il passare del tempo, ha purtroppo perso quasi tutte le caratteristiche sopra indicate e smarrendo così la propria identità. Durante l’annuncio allo scorso E3 di questo titolo, il pubblico si è però diviso a metà a causa, tirando le somme, di un solo elemento: il passaggio dalla terza alla prima persona, con tanto di supporto alla realtà virtuale. Per mascherare una propria insofferenza personale verso questo tipo di inquadratura, alcuni tra coloro che si sono opposti a questo cambio di rotta di Capcom hanno cominciato a lamentarsi prima del tempo e a paragonare Resident Evil 7 con la saga di Silent Hill o con il ben più recente Outlast. Con il passare del tempo, però, Capcom ha continuato a mostrare piccole dosi di questo settimo capitolo della celeberrima saga horror, dimostrando come queste persone si sbagliassero e come le intenzioni della software house nipponica fossero quelle di tornare (questa volta per davvero) alle atmosfere della prima trilogia. Ovviamente questo non è bastato a convincere tutti e, nonostante sia ormai sotto gli occhi di tutti la differenza tra Resident Evil 7 e i due paragoni sopra citati, esistono ancora persone scettiche riguardanti l’ultima fatica del team capeggiato da Koshi Nakanishi (già sviluppatore di Resident Evil: Revelations).
Il dubbio quindi rimane: Resident Evil 7: Biohazard è un degno esponente della saga principale? E soprattutto, domanda ben più importante, è un titolo valido?! Noi di I Love Videogames siamo ovviamente qui per darvi la nostra opinione e, senza farvi perdere altro tempo, vi lasciamo alla nostra recensione. Prima però, come di consueto, vi ricordiamo che Resident Evil 7: Biohazard è disponibile dal 24 gennaio per PlayStation 4, Xbox One e PC ad un prezzo di lancio di 69.90€.

Versione testata: PlayStation 4

Go Tell Aunt Rhody
Più che qualsiasi trama e qualsiasi dialogo, è però l’atmosfera il vero cavallo di battaglia di Resident Evil 7
La trama di Resident Evil 7: Biohazard (da qui chiamato anche solo Resident Evil 7 o RE7 n.d.L.) ci mette nei panni di un uomo comune, Ethan Winters, che dopo tre anni dalla scomparsa della moglie riceve un suo video nel quale la ragazza sembra essere in pericolo. Senza pensarci due volte, Ethan si dirige nella fittizia cittadina di Dulvey (Louisiana) per tentare di scoprire quale segreto si nasconde dietro il messaggio della ragazza, ma le cose prendono subito una brutta piega quando, dopo essersi introdotto a Villa Baker, il nostro protagonista entra in contatto con una famiglia alquanto particolare. Questo è solo l’inizio di un’avventura che spingerà Ethan a tentare di fuggire dalla casa prima di venire ucciso dai 4 pazzi che la abitano e dalle mostruose creature che sembrano infestare la villa. Nonostante le premesse vagamente simili alla saga horror cinematografica “Non Aprite Quella Porta”, vi possiamo garantire che Resident Evil 7 è un RE a tutti gli effetti e contiene tutti quegli elementi cari ai fan della serie; elementi quali la presenza di un nuovo tipo di Virus, di numerose nuove B.O.W. (Bio Organic Weapon) e di collegamenti, più o meno velati, con l’universo narrativo della saga. Non ci sbilanciamo nel rivelarvi qualcosa di più in quanto gran parte del fascino del titolo risiede proprio nell’evoluzione degli eventi che legano Ethan e Mia con la Famiglia Baker, ma possiamo dirvi che la villa mostrata nei trailer altro non è che la prima metà di gioco. Tra le molte domande che circolano nel web riguardo questo titolo spicca quasi sempre “Ci sono per caso vecchi personaggi della serie?”. Anche in questo caso, per non rovinarvi la sorpresa, preferiamo rimanere vaghi, ma sappiate che un mistero legato ad uno dei personaggi tanto amati dai fan verrà svelato questa primavera con il DLC “Not a Hero”, come anticipato nei titoli di coda di questo Resident Evil 7. Ad ogni modo i nuovi volti presenti in quest’avventura saranno difficili da dimenticare e, proprio grazie all’utilizzo della prima persona, sentiremo molto vicine le gioie e (soprattutto) i dolori del povero Ethan. Il nostro protagonista, per quanto non particolarmente profondo (dopotutto la saga non ci ha mai abituato a caratterizzazioni esaltanti), riesce comunque ad emergere grazie ad alcune linee di dialogo messe nel posto giusto al momento giusto, facendoci quindi affezionare a lui nel corso dell’avventura. Molto interessanti sono anche i membri della Famiglia Baker che, ognuno per motivi diversi, sicuramente sapranno popolare i vostri incubi per follia e design (non penserete davvero di non vedere mutazioni in questo gioco?! n.d.L.). Più che qualsiasi trama e qualsiasi dialogo, è però l’atmosfera il vero cavallo di battaglia di Resident Evil 7. Vi ricordate il punto cardine dedicato alla corruzione di una situazione “normale” citato nel paragrafo di apertura?! Ecco, RE7 prende questo concetto della trilogia originale e lo porta nel 2017. In poche parole: quali sono le cose che fanno più paura? Spaventa di più un’infezione all’interno di un’astronave oppure un membro della nostra famiglia che impazzisce e tenta di ucciderci? Vi terrorizza di più un’orribile creatura mitologica oppure un mostro di carne che incorpora le persone che amiamo? La risposta è quasi sempre la seconda, in quanto il nostro cervello si trova a proprio agio nella quotidianità e vedere questa stessa quotidianità distorta, perversa e malformata crea sicuramente più empatia nell’essere umano e rende il pericolo, per certi versi, più “probabile” e “reale”. Questo piccolo excursus per dire come l’atmosfera accogliente, ma allo stesso tempo malata, di Villa Baker abbia una forte impronta sul giocatore che, ricordando per certi versi la Villa Spencer del primo capitolo, si troverà più volte a disagio e spaventato all’idea di voltare gli angoli di ogni corridoio. Disagio che, come nei migliori horror, ci accompagna anche una volta lasciato il pad, insinuandosi sotto la nostra pelle e facendoci rimanere, insensatamente, vigili. Addio quindi ai paesi europei di Resident Evil 4, ai villaggi africani di Resident Evil 5 e ai campi di battaglia di Resident Evil 6; bentornati, invece, corridoi di legno scricchiolanti, stanze calde dove rimbomba il tichettio degli orologi e seminterrati freddi e bui.

 

 
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