Recensione Rayman Origins

Sono passati ormai quasi vent’anni (per la precisione 17) dall’uscita del primo, indimenticabile ed indimenticato, capitolo dell’uomo-melanzana di Ubisoft. Dopo quel primo episodio, Rayman ha abbandonato il suo mondo a due dimensioni cercando fortuna prima tornando sul mercato con due sequel diretti in tre dimensioni, e poi “accasandosi” nella serie Rabbids, da cui nel 2009, anno di uscita di Rabbids Go Home, viene “sfrattato” lasciando tutte le attenzioni ai conigli della software house francese. Ma i veri eroi non gettano mai la spugna ed ecco che allora Rayman ci riprova tornando alle origini, come gameplay (di nuovo in due dimensioni) e come sviluppo (che vede di nuovo coinvolto Michel Ancel, creatore originale della serie).

VERSIONE TESTATA: PlayStation Vita

I vestiti nuovi dell’imperatore

L’avventura è inizialmente giocabile con quattro personaggi: oltre (ovviamente) a Rayman è possibile affrontare il titolo nei panni di Globox, il migliore amico del protagonista introdotto la prima volta in Rayman 2, oppure di due Teens. Man mano che si liberano e collezionano gli Electoons vengono sbloccati nuovi costumi per ciascun personaggio (ad esempio Rayman blu o Globox rosso, oppure le controparti “malvagie” dei due eroi, o ancora dei Teens travestiti da Rayman e Globox). Questa varietà di personalizzazioni in realtà non comporta nessuna modifica e nessun cambiamento a livello di giocato, in quanto l’avventura non cambia a seconda del personaggio in uso e il gameplay si mantiene comunque identico sia a livello di sfida che di atteggiamento rispetto ai vari livelli, ma si limita semplicemente ad offrire (tante) alternative dal punto di vista estetico del personaggio. Oltre ai protagonisti anche il gioco stesso si presenta sul mercato con dei “vestiti nuovi”, tessuti utilizzando per la prima volta il nuovo motore grafico proprietario della casa transalpina, l’UbiArt Framework. Questo motore è in grado, partendo da una qualunque immagine “normale” (quindi statica), di darle letteralmente vita, applicandole una sorta di scheletro ed indicandone le articolazioni, permettendo in sostanza di animarle senza imporre paletti alla creatività degli artisti di Ubisoft. Il risultato? Rayman Origins è in poche parole una perla dal punto di vista del level design: il mondo in cui il giocatore viene catapultato è praticamente una creatura vivente,in cui gli scenari boschivi della giungla dei primi livelli cedono poi il passo alle ambientazioni più disparate, da deserti “tribali” da attraversare saltando di tamburo in tamburo a lande ghiacciate arricchite con decorazioni tipiche da cocktail, con tanto di ombrellini. L’ambiente dei livelli è sempre in grado di rispondere alle azioni e alle sollecitazioni compiute dai personaggi del gioco modificandosi di conseguenza a queste, oltre ad avere il pregio di essere coloratissimo, ispirato ed a conti fatti originale a livello di impatto visivo. Il sottofondo musicale è studiato per adattarsi e seguire al meglio lo stile del livello, vantando una varietà di generi e di strumenti musicali pari a quella degli scenari, spaziando dai fiati agli strumenti a percussione. Ne giova oltre all’immedesimazione anche il level design stesso, che trova nella colonna sonora un alleato capace di partecipare alla caratterizzazione degli scenari in modo netto e, in definitiva, insostituibile.

Voglio diventare un bambino vero

Ma l’UbiArt Framework non si limita ad avere un forte impatto a livello di level design ed ambientazione: i quattro personaggi giocabili infatti non si accontentano della grande varietà di costumi e personalizzazioni, ma grazie al nuovo motore grafico beneficiano di animazioni splendidamente realizzate, tanto da poter essere paragonabili ad una produzione di animazione cinematografica. Le animazioni dei protagonisti risultano fluide anche nella risposta agli stimoli e alle sollecitazioni che il giocatore esercita attraverso i tasti del controller, ed in generale sia i nemici che i protagonisti risultano essere perfettamente inseriti all’interno dei livelli, senza presentare fastidiosi casi di “scollamento” con il background. Dal punto di vista delle animazioni quindi, Ubisoft fa il possibile per cercare, in un certo senso, di portare il “mondo” di Rayman Origins al di fuori delle postazioni da gioco, ma contemporaneamente lavora anche sul processo contrario, cercando di portare il giocatore all’interno del gioco. Le ambientazioni a questo proposito sono affiancate da un comparto sonoro che, come detto, fa il possibile per giovare all’esperienza complessiva, adattandosi alle situazioni, agli scenari e più in generale alla tipologia del livello.

Fate Ninfe madrine

A livello di giocato Rayman Origins non si discosta di molto dall’originale capitolo in due dimensioni: ad inizio gioco i comandi sono ridotti al minimo sindacale, consentendo (oltre ovviamente di muoversi) solamente di saltare e di correre, quasi fossimo davanti ad un prodotto della “vecchia scuola” come i primi Super Mario. Man mano che si procede con l’avventura e si affrontano nuovi mondi e livelli, si incontrano le Ninfe, imprigionate dentro dei mostri-gabbia che scappano non appena incontrati. Una volta liberate le Ninfe consentono di sbloccare nuovi poteri, come attaccare, planare o correre sui muri, rendendo il gameplay sempre più articolato e offrendo nuove soluzioni  e strategie per affrontare i livelli, discorso che vale sia per i livelli affrontati ed esplorati in precedenza che soprattutto per i livelli non ancora affrontati, pensati solitamente in modo da sfruttare il nuovo potere appena acquisito, cercando quasi di “addestrare” il giocatore al suo utilizzo. In pratica, in luogo di un vero e proprio tutorial, gli sviluppatori hanno deciso di introdurre quindi l’uso delle nuove abilità di Rayman e soci con “cognizione di causa”, mettendo la struttura dei livelli successivi agli upgrade a servizio dei giocatori. L’effetto è quello di mettere tutti, dal neofita che si avvicina per la prima volta al brand al fan della saga (già abbastanza avvezzo alle meccaniche classiche del titolo e ai poteri di Rayman) in condizione di godersi appieno il gioco. I livelli sono in generale suddivisi in quattro categorie diverse: oltre ai livelli platform “classici” in cui bisogna attraversare lo scenario dall’inizio alla fine cercando le gabbie dove sono intrappolati gli Electoons, ci sono le boss fight (che consistono nel colpire alcune bolle più o meno nascoste sul corpo di questi, a volte dopo aver affrontato e superato un piccolo “dungeon” in tema con il boss), i livelli “a bordo” della zanzara Bzzit (sostanzialmente realizzati come degli shooter a scorrimento in cui bisogna colpire i nemici ed evitare gli ostacoli per non uscire dall’inquadratura) e i livelli “Caccia al tesoro”, in cui l’obbiettivo è attraversare lo scenario evitando gli ostacoli all’inseguimento di un forziere, accompagnati da un sottofondo musicale di ukulele. In ogni livello è inoltre possibile raccogliere i Lum, delle lucciole che di fatto rappresentano quello che sono le monete in Super Mario, ed in base al quantitativo di Lum raccolti collezionare ulteriori Electoons. Proprio questo aspetto rappresenta una delle sfide più impegnative del titolo, con alcuni livelli in cui questa operazione richiede riflessi pronti per “imbollare” tutti i nemici ed un’esplorazione accurata dell’ambiente circostante alla ricerca di segreti, oppure altri (come i livelli a bordo di Bzzit) dove il quantitativo di Lum è risicato al punto da costringere il giocatore a massimizzare la raccolta di questi fin quasi all’estremo. La rigiocabilità delle singole aree di gioco è anche incoraggiata dalle “sfide a tempo”, disponibili per la maggior parte dei livelli dopo averli completati, che consistono nell’attraversare l’area entro un certo tempo limite e premiano il giocatore con Electoons extra e delle coppe, altri collezionabili.

L’acqua della (PS)Vita

Nella versione Vita di Rayman Origins c’è qualche differenza rispetto alle controparti casalinghe: qualche aggiunta a livello di collezionabili (che permettono di sbloccare alcuni graffiti visibili nell’Albero Sbadigliante, la “base operativa” di Rayman e dei suoi comprimari), qualche ritocco a livello di gameplay per meglio adattarsi alla console e (purtroppo) l’assenza della modalità multiplayer. Per quanto quest’ultima fosse una sorta di esperimento riuscito a metà sulle console domestiche (il multiplayer in queste è comunque solo locale ed in generale rende il gioco più facile, specie durante le boss fight, abbassando un po’ il livello di sfida del titolo), su una console portatile ne avrebbe in ogni caso beneficiato il divertimento, considerata anche la possibilità di giocarci in movimento. Quest’ultima viene invece sostituita dalla modalità Ghost, che permette di sfidare i “fantasmi” degli sviluppatori o dei propri amici (questi ultimi scaricandoli attraverso Near) nelle sfide a tempo, ripresa praticamente dai giochi di corse veri e propri. Parlando delle feature aggiuntive apprezzabili, va citata sicuramente la possibilità di raccogliere le bolle contenenti i Lum e di far scoppiare i nemici “imbollati” utilizzando il touch screen della console, anche se la vera chicca rimane la possibilità di zoomare l’inquadratura durante le sessioni di gioco per valutare meglio azioni come salti o attacchi, di modo che questi risultino più precisi. Tirando le somme, PSVita rimane comunque la console di riferimento nonostante la mancanza del multiplayer, in quanto dal punto di vista tecnico rimane fondamentalmente identica alla controparte casalinga con il pregio però di essere potenzialmente fruibile in qualunque momento, anche grazie al numero di check-point per livello che si sposa bene con un approccio orientato al “mordi e fuggi” tipico dei giochi portatili e mobile.

Verdetto
9 / 10
Se ne sentiva il bisogno
Commento
In un’epoca dominata da altri generi videoludici come ad esempio gli sparatutto, Ubisoft con Rayman Origins prova a rispolverare un genere da troppo tempo dimenticato sulle console “non Nintendo” come il platform , e lo fa riproponendo un titolo fortemente vecchia scuola, cogliendo anche l’occasione per “riabilitare” il nome di uno dei suoi brand più vecchi… Il nome “Origins” è in definitiva quanto mai azzeccato. La nuova iterazione dell’uomo melanzana si fa apprezzare su praticamente tutte le piattaforme ed è un titolo che sicuramente deve essere giocato praticamente ad ogni costo, ma che da il suo meglio una volta inserito nella console portatile Sony, e rende se possibile ancora di più se giocato utilizzando anche un paio di cuffie per godere al 100% della componente sonora ed avere un’immersione quasi totale. Promosso anche l’UbiArt Framework, che senza lanciarci in lodi (forse) premature e sperticate vogliamo vedere all’opera anche su produzioni di altro tipo per saggiarne la definitiva valenza, anche in ambienti a tre dimensioni.
Pro e Contro
Una perla a livello di level design
Animazioni dei personaggi fantastiche
Ottimo livello di sfida

x Multiplayer (dove c’è) solo locale

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