Recensione Planet of the Eyes

A due anni dall’uscita PC su Steam, è in arrivo anche per l’utenza console il viaggio spirituale dell’anonimo robot protagonista di Planet of the Eyes. Il titolo viene rilasciato oggi sugli store di PlayStation 4 e Xbox One (al prezzo di 9,99 €). Si tratta di un porting, da PC per l’appunto, del platform narrativo dello studio indie canadese Cococucumber. Una breve avventura che si conclude nell’arco di circa un’ora e mezza, nella quale siamo chiamati ad aiutare il fragile automa ad avanzare in un pianeta ignoto e pieno di pericoli. Il focus principale del gioco vorrebbe essere indirizzato proprio verso la narrazione, sfortunatamente non riesce particolarmente bene su questo aspetto. Ma iniziamo dal principio.

Versione testata: PlayStation 4

 

Houston, abbiamo un problema
 

durante l’avventura sono trattati una varietà di temi, forse troppi per una produzione di queste dimensioni
Le peripezie del nostro squadrato robot senza nome iniziano a seguito del naufragio dell’astronave su cui veniva trasportato, portandolo ad un brusco risveglio in un pianeta alieno mai visto prima. Spaesato e disorientato (per quanto possa esserlo un robot ) attorno a lui si possono vedere solo rottami della ex-astronave. Giusto il tempo di muovere i primi passi, che il protagonista di latta trova in terra una cassetta (piuttosto antiquata per gente che viaggia nello spazio), ed è raccogliendola che una voce registrata comincia a parlare, rivolgendosi proprio a lui. A dare voce alle note è un uomo misterioso che sembra conoscerci da molto tempo. Il suo intento non è quello di guidarci permettendoci di fare tesoro delle esperienze da lui vissute poco tempo prima negli stessi ambienti, ma è invece lampante di come il suo obiettivo sia quello di tenere un diario, parlare con qualcuno – anche se non direttamente presente – per non cadere facile preda della pazzia, snocciolare degli ultimi pensieri nell’eventualità in cui qualcosa di ignoto ponga fine alla sua vita. È quindi chiaro sin da subito che saranno proprio le cassette a fare da tramite per la narrazione.

Tramite i ricordi e le elucubrazioni dell’uomo, potremo fare luce sugli avvenimenti precedenti al naufragio, eventi che spesso e volentieri coinvolgono anche l’automa, di cui l’uomo tra le altre cose, cerca di comprendere lo scopo ultimo per cui è stato progettato e costruito. La narrazione si evolve frammentaria per tutta l’avventura, raggiungendo il climax in un piccolo colpo di scena finale, che per un momento suscita un certo scalpore, ma questo si eclissa immediatamente dalla percezione, a causa di una trama blanda e superficiale, che non riesce ad ordinare i tasselli necessari a formare un legame tra il giocatore e i protagonisti. Questa mancanza è dovuta al fatto che durante l’avanzamento sono trattati una varietà di temi, forse troppi per una produzione di queste dimensioni, partendo dal rapporto uomo-macchina passando per la solitudine, arrivando a denunciare il delirio di onnipotenza mosso dalla paura degli uomini per l’incognito. Temi molto interessanti di loro, ma che sono trattati con superficialità e in modo sbrigativo nei circa nove minuti totali di registrazione audio presenti nel gioco, una quantità di tempo misera per arrivare ad una conclusione ben articolata vista la portata degli argomenti in questione.
All’insoddisfazione per la narrazione si aggiungono ambientazioni aliene a loro volta piuttosto generiche, con fondali poveri di dettagli, che solo raramente riescono a stupire con qualche scenario più suggestivo. Peccato perché lo stile grafico utilizzato si adatta molto bene all’atmosfera Sci-fi del titolo, con un contrasto tra i colori parecchio acceso che rende il tutto piacevole alla vista. Proprio parlando di atmosfera, a fare da accompagnamento si intervallano in alcune sezioni brani musicali “ambientali”, non particolarmente memorabili ma che riescono comunque a far acclimatare in modo più che dignitoso.

 

 

 

 

I robot non vanno in palestra
 

Ma ci sarebbe bastata anche la sorpresa nello scovare un panorama particolare, insomma, un contentino per l’occhio attento
Tra una nota audio e l’altra l’eroe in lega metallica avanza su suolo alieno facendosi strada tra strutture decadenti, morfologie discontinue, laghi di lava, e semplici enigmi ambientali. Planet of the Eyes si presta ad una struttura ludica puzzle-platform, facendo male affidamento su un level design morbosamente lineare, lasciando pochissimo spazio all’esplorazione, dimostrandolo lì dove è possibile scorgere delle piccole fessure segrete, casi in cui la curiosità del giocatore non viene mai ricompensata in alcun modo. Ci saremmo invece aspettati il ritrovamento di audiocassette contenenti dettagli aggiuntivi, o la presenza di qualche sorta di collezionabile, la cui raccolta completa avrebbe magari cambiato il finale. Ma ci sarebbe bastata anche la sorpresa nello scovare un panorama particolare, insomma, un contentino per l’occhio attento avrebbe dato profondità ad una progressione non molto avvincente.
Il nostro impacciato amico robot inoltre, non è bravissimo a saltare. Scordatevi di poter regolare l’altezza o la distanza dei suoi slanci. Il riuscito superamento di un baratro dipenderà solo da quanto vicino al bordo spiccherete il salto, e in alcuni casi, da come sfrutterete la gravità (la cui fisica è regolata abbastanza bene). Il risultato è una progressione scarsamente dinamica e molto veicolata, ma soprattutto, poco divertente. A dare un senso ludico alla produzione, non riescono nemmeno gli enigmi ambientali, i quali per niente stimolanti, scalano poco o nulla in difficoltà durante l’avventura: sposta la cassa per raggiungere quella posizione sopraelevata, distogli l’attenzione dell’alieno affamato per poter passare, e via così fino al finale, tant’è che raggiungendolo non si può fare a meno di provare un senso di incompiutezza.

 

 

Con questo non mettiamo in dubbio che la semplicità di gameplay sia votata a dare il maggior risalto possibile alla trama (che rimane comunque mediocre), ma è una soluzione che non funziona in un platform che si vuole porre come narrativo. Chi impersona il dinoccolato uomo di latta, pad alla mano, deve fare sua l’avventura cominciando proprio dal lato del gameplay. Infatti per come è impostata la narrativa videoludica, è molto importante che i puzzle (se presenti) siano di difficoltà crescente, che un minimo di esplorazione venga integrata, e che in generale tutto l’impianto ludico a fare da colonna portante alla produzione sia solido nelle basi proposte. Se questo non accade diventa molto più difficile proporre un coinvolgimento a livello personale a chi sta giocando.
Arrivati alla conclusione dell’avventura il gioco non presenta alcuna giustificazione per iniziare un nuovo playthrough, ma ci viene data invece la possibilità di poter selezionare un checkpoint da cui poter giocare una specifica sezione. Opzione più che gradita se si vuole affrontare uno specifico enigma, o riascoltare una cassetta in particolare.

Verdetto
6 / 10
<< Non c'è posto più bello di casa >> - Ecco, meglio se ce torni.
Commento
Planet of the Eyes nella sua totalità non riesce a convincere. Vittima di una trama che mette troppa carne sul fuoco, senza darsi il tempo di sviluppare a dovere i temi proposti, o di creare alcuna empatia verso i protagonisti. Le soluzioni di gameplay sono ancora meno estese, quasi come se fossero state inserite timidamente dagli sviluppatori. Non è un disastro totale, si lascia giocare, e con un po’ di curiosità ti spinge ad andare avanti. Di certo alcuni accorgimenti come uno sviluppo serio delle sezioni puzzle, avrebbe reso il tutto nel complesso molto più interessante. Se avete un’ora e mezza libera e non volete pensare al vostro backlog che ha preso vita propria e vi saluta dagli scaffali della camera, sicuramente l’avventura del robot polifemo fa per voi. Magari però non a prezzo pieno.
Pro e Contro
Stile grafico interessante e adatto al genere
Premendo triangolo o Y avrete una sorpresa

x Trama superficiale
x Platforming mal gestito
x Enigmi semplicistici
x Dov'è l'esplorazione?

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