Recensione DmC Devil May Cry

Dovendo assegnare la corona di reboot più controverso della generazione, DmC Devil May Cry sarebbe probabilmente la prima scelta di molte persone. Affidato per la prima volta ad un team di gaijin come Ninja Teory, Capcom ha provato a reinventare uno dei suoi brand più importanti. Il risultato è qualcosa che è sicuramente non sfigura di fianco ai vecchi capitoli, ma che per molti versi è qualcosa di diverso.

Versione testata: PlayStation 3

Il trucco più astuto del diavolo è convincere il mondo che non esiste
dimenticatevi i “tempi andati” di Devil May Cry 3 in cui Dante faceva surf usando i nemici come tavola
La prima differenza che salta all’occhio è ovviamente il protagonista. Sorvolando su questioni meramente estetiche e di design, il nuovo Dante è diverso dal “vecchio” perché non è più lui a piegare la storia attorno a lui ma, invece, si mette a servizio di questa. Lasciate da parte in gran parte le esagerazioni classiche del personaggio (dimenticatevi i “tempi andati” di Devil May Cry 3 in cui Dante faceva surf usando i nemici come tavola) l’accento viene messo sopratutto su quanto il protagonista prova durante le vicende narrate, senza perdere comunque il suo atteggiamento provocatorio nei confronti dei boss di turno, nonostante i dialoghi e le “battute” non sempre memorabili. Altro profondo cambiamento riguarda Sparda: eravamo abituati ad un Cavaliere Nero avvolto nell’aura del suo mito e della sua invincibilità, adesso invece ci muoviamo in un mondo in cui non solo i demoni hanno preso il controllo, ma Sparda è stato addirittura imprigionato. Il setting è appunto questo: Sparda ha fallito nella sua ribellione contro Mundus ed adesso i demoni controllano il genere umano tramite il consumismo ed i media (emblematicamente si può assistere ad un notiziario in televisione che dipinge Dante come un terrorista, scena peraltro utilizzata in uno dei trailer che ha anticipato l’uscita del gioco). E’ in questo contesto che Dante e Vergil portano avanti una sorta di “guerra santa” cercando di liberare gli uomini da una schiavitù di cui non sono consapevoli.

 

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il battle system È veramente profondo ed È capace di regalare soddisfazioni
Dal punto di vista del gameplay il gioco risulta essere all’altezza degli altri esponenti del genere, permettendo di alternare in qualunque momento di una combo le armi che via via verranno sbloccate. Il risultato è un battle system facilmente padroneggiabile ma veramente profondo, capace di regalare soddisfazioni e combo molto scenografiche. Come da tradizione nella serie c’è un indicatore di stile che indica il “livello” della prestazione del giocatore durante l’esecuzione di queste, che “salirà” più velocemente in base alla variabilità delle azioni e che scenderà di livello in modo abbastanza brusco non appena si viene colpiti da un nemico. Sono inoltre disponibili, come nei precedenti titoli del brand, anche diverse armi da fuoco. La novità più “grossa” da questo punto di vista è la suddivisione in tipi delle armi corpo a corpo: esistono, oltre a Rebellion, armi angeliche (orientate al numero di hit-combo e alla velocità di esecuzione) e armi demoniache (più lente ma in grado di causare un grosso quantitativo di danni). Oltre a queste differenze, alcuni nemici possono essere colpiti solo da un tipo di arma, non subendo danni da tutte le altre, alzando ulteriormente il tasso tecnico di alcune sezioni. Unico neo è la mancanza del lock-on sui nemici, o quantomeno di un lock-on esplicito, che complica un po’ le cose a livello di gestione della telecamera e che in più di qualche situazione si fa rimpiangere.
Un aspetto non molto riuscito del gioco sono le boss fight, ed in generale i boss. Rispetto al numero di missioni “normali” sono decisamente pochi, e nessuno di questi è caratterizzato fortemente o approfondito in qualche modo (i precedenti capitoli in questo senso ci avevano abituato a tutt’altro, con molti dei nemici che si presentavano, anche in modo sommario, e facevano capire il perché ce l’avessero con Dante), e non rappresentano soddisfacente a livello di giocato. In linea di massima i boss si limitano ad attaccare sempre secondo lo stesso pattern e per sconfiggerli bisogna “fare le solite cose” (ad esempio colpire prima degli obbiettivi secondari, o aggirarli).

 

“Dante l’esploratrice”
Dal punto di vista dell’ambientazione, gli scenari sono qualcosa di originale all’interno della serie: Dante combatte nel Limbo, una sorta di dimensione parallela a quella reale dove viene trascinato quando deve combattere contro i demoni. Questo ha permesso di sfruttare tutte le potenzialità dell’Unreal Engine 3, utilizzato in luogo del motore grafico proprietario di Capcom, rendendo gli scenari più dinamici e “partecipativi” all’azione: ad esempio, prima delle comparsa dei demoni, compaiono sui muri delle scritte che recitano dal semplice “die Dante” agli aggettivi più vari in base all’ambientazione del livello

LA maggiore interazione con lo scenario ha permesso di inserire delle sezioni  praticamente platform
Questa maggiore interazione con lo scenario ha permesso di inserire, tra un combattimento e l’altro, delle sezioni che sono praticamente platform che rendono la parte esplorativa del gioco qualcosa più di un contorno, a differenza dei vecchi capitoli. Sono state introdotti anche, oltre alle classiche sfere blu per aumentare la salute e quelle per aumentare la durata del Devil Trigger (che non consiste più nella classica trasformazione in demone, ma catapulterà in area i nemici e ne rallenterà i movimenti in modo simile a quello che avveniva con il “quicksilver” in Devil May Cry 3) dei collezionabili, le anime dannate. Altra aggiunta fatta da Ninja Theory riguarda le tradizionali missioni segrete: queste saranno adesso nascoste dietro delle porte, da aprire con chiavi rintracciabili in qualunque livello. Ne beneficia la rigiocabilità dei livelli ed in generale tutta la fase di esplorazione del gioco, che risulta decisamente ampliata rispetto alla tradizione.

 

 

Let’s rock dubstep
La colonna sonora è un altro “punto di rottura” con il passato
La colonna sonora, pur non andando totalmente contro la tradizione della serie, è un altro “punto di rottura” con il passato. DmC infatti non si fa mancare sezioni con sottofondi più house o dubstep, che risultano in ogni caso azzeccati ed evocativi (da questo punto di vista la missione ambientata in discoteca è probabilmente una delle più riuscite, sia a livello di sonoro che dal punto di vista grafico). Il coinvolgimento di due gruppi come Noisia e Combichrist nella realizzazione della soundtrack la rende uno degli aspetti più riusciti del titolo, tanto più visto che il comparto sonoro viene “riciclato” anche dal punto di vista del gameplay: man mano che l’indicatore di stile sale di livello infatti la base musicale aumenterà il ritmo e verrà arricchita da nuovi strumenti.

Verdetto
8.5 / 10
Haters gonna hate
Commento
DmC è sicuramente all'altezza dei precedenti capitoli della saga. Ninja Theory non ha certamente avuto “timore reverenziale” cimentandosi nella realizzazione e le innovazioni portate, come anche le scelte fatte, sono quasi tutte scommesse vinte. La rivisitazione della saga, in sostanza, è riuscita ed è sicuramente un ottimo punto di partenza per questo reboot.
Pro e Contro
Ambientazione e level design originali
Colonna sonora di spessore
Battle system ben studiato...

x ... Ma manca il lock-on manuale
x Boss poco riusciti

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