Stefano Calzati

Speciale Molly’s Game – Bisogna saper bluffare

Attorno al tavolo verde tutto diventa relativo.

Aaron Sorkin è uno che le sue carte le sa giocare bene. Sceneggiatore molto apprezzato nel circo hollywoodiano, nonché Premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale, quella di The Social Network firmato Davin Fincher, riconoscimento sfiorato anche quest’anno proprio con Molly’s Game, in concomitanza col suo debutto dietro la macchina da presa. E se si vede che su quella sedia non è ancora totalmente a suo agio, bluffando in maniera spericolata con una disinvoltura che si trasforma in riprese decisamente elementari, seppur efficaci, è proprio la trama (sviluppata partendo dalla biografia-rivelazione della protagonista) la vera attrattiva di una pellicola magnetica e sicura delle sue qualità come l’affascinante Molly Bloom (Jessica Chastain), divenuta principessa del poker dopo aver sognato il trono dello sci freestyle in giovane età, reinventatasi imprenditrice sul confine della legalità, entrando in contatto con la créme delle divinità moderne, appollaiate sulle colline di Hollywood e dintorni come sul Monte Olimpo, gente spericolata, troppo ricca per provare l’irrefrenabile desiderio di bruciare soldi su un tavolo da poker, perché, come racconta la Bloom, quella che offriva lei era l’unica vittoria che non potevano comprare.

Il gioco delle tre carte
Sorkin si diverte a cambiare continuamente di posto i tre archi temporali che compongono il racconto, quello della Molly bambina-adolescente, utile a descrivere il contesto familiare e soprattutto il rapporto burrascoso col padre-allenatore-psicologo Larry (Kevin Costner), un periodo di ribellione e dedizione allo sport, che si ribalterà completamente dopo l’incidente di Salt Lake City, spartiacque della sua vita che coincide con l’allontanamento dalla famiglia direzione Los Angeles, secondo piano narrativo che ci porterà a vivere la vita che l’ha resa celebre, o famigerata secondo i punti di vista, fino al presente newyorkese, in cui la Bloom, biografia già pubblicata sulle spalle, viene svegliata nel cuore della notte da un’irruzione dell’FBI, privata di tutti i suoi soldi e costretta a difendersi dall’accusa di gioco d’azzardo illegale, accusa che la porterà a conoscere l’avvocato Charlie Jaffey (Idris Elba), il cui compito più complicato sarà scindere la Molly dipinta dai tabloid da quella reale, disperata e indifesa. Inutile girarci intorno, è un biopic interessantissimo, che pur non raggiungendo la brillantezza emotiva e umoristica di Tonya, così come la precisione chirurgica e lo status di cult de La Grande Scommessa e The Social Network (anche per via degli argomenti trattati, decisamente su larga scala per questi ultimi), riesce a raccontare una storia capace di tenere altissima l’attenzione per tutti i 140’. L’ascesa della Bloom da segretaria derisa e mobbizzata a maga Circe delle bische riservate all’alta società è irresistibile e inarrestabile, sfruttando la dipendenza dal gioco e dall’adrenalina di attori, immobiliaristi, imprenditori, mafiosi e giocatori professionisti, pronti a pendere dalle sue labbra e dai suoi messaggi, contenenti luogo (scintillanti hotel 5 stelle per lo più), ora e soprattutto buy-in, come in gergo viene chiamata la quota per sedersi al tavolo, ovviamente altissima. La Chastain è fantastica nell’interpretare un personaggio che si era creata una propria versione cinemax (citando una battuta del film), bella e impossibile, elegantissima, sorridente e accondiscendente, perfetta cassiera di sé stessa, self-made woman capace anche di mettere da parte gli affari per diventare confidente e cercare di far desistere chi sta superando il limite della rabbia da sconfitta e dei debiti accumulati.

Il film è una partita di poker in pellicola, svela le sue carte in modo implacabile. Alcuni passano la mano, altri vedono e vanno in all-in, ingrassando costantemente le puntate e l’interesse.

Il fascino della scenografia poi acuisce l’interesse per tutta la vicenda, basta immaginare una suite del Four Seasons di Los Angeles adibita a sala da poker, cameriere bellissime e provocanti, fiumi di champagne, croupier professionisti e una selezione di celebrità che parlano dei loro affari, puntano cifre folli, bluffano, si scherniscono o giocano per rovinare la vita altrui, inebriati dall’imprevedibilità del gioco, come il Giocatore X di cui Molly non farà mai il nome nella pellicola, interpretato dal bravissimo Michael Cera e che si vocifera fosse in realtà Tobey Maguire, oppure Leonardo DiCapro, Matt Damon, Ben Affleck, questi i nomi in gioco, roba da nulla. Questi sono oltretutto gli unici frangenti in cui Sorkin si concede qualche momento estroso, con primi piani che saltano dalle poker face alle carte, concedendosi sovrimpressioni grafiche utili a mostrare le combinazioni vincenti e descrivere il Texas Hold‘em a chi non è avvezzo alla materia, rendendolo decisamente interessante, protagonista e coinvolgente. E più si va avanti più si scopre tutto il “river” della sfaccettata personalità di Molly, la vera Molly, la sua integrità nel non voler rivelare altri nomi oltre a quelli scritti nel libro, a costo di finire dietro le sbarre, l’orgoglio per la sua professione che era ormai diventata ossessione, ammanettandola alla dipendenza da cocaina e farmaci, la solitudine, l’avidità e la velata dolcezza. L’aiuto che arriva poi nel momento in cui ne ha più bisogno, Charlie Jaffey che la difende senza vedere un centesimo, solo perché è riuscito a vedere una storia oltre i pettegolezzi, un Idris Elba davvero eccellente che corona una delle sue migliori performace, ora sarcastico, ora rabbioso verso gli inquirenti, stoico e orgoglioso. Un orgoglio che riesce a mettere da parte un gran Kevin Costner / Larry Bloom, anni dopo l’allontanamento della figlia, protagonista di uno dei momenti più toccanti, una seduta psicologica gratuita in cui condensare “tre anni in tre minuti”, tre domande fondamentali nel cuore di Central Park, per prendere coscienza di tutti i propri sbagli e ricominciare ad amarsi più forti di prima, forse come non mai.

Molly’s Game racconta tante cose, i fallimenti, i successi, l’abilità e l’azzardo, caratteristiche che accomunano la vita, il poker e il cinema, mescolati in una pellicola che merita di essere vista soprattutto perché narra una storia incredibilmente vera e veramente incredibile, graziando la sua ambigua protagonista con un ritratto di grande personalità e determinazione, più che meritato. Buona la prima, Aaron.

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