Prendete “Alien” con una spruzzatina di cliché in salsa monster-movie. Ora immaginate di fare tutto low-budget, e fingete di avere una sceneggiatura originale.

 

Ci siamo ormai rassegnati all’evidenza dei fatti: la produzione horror contemporanea deve avere qualche problema nella catena produttiva, o nel reparto creativo. Dopo il mediocre ma intrigante XX – Donne da Morire e il deludente Non Bussate a Quella Porta, le speranze di vedere un altro ottimo film come Vampire (che di horror aveva solo il titolo) o uno splendido horror come 31 si sono decisamente affievolite. E, quando abbiamo visto il prologo di Harbinger Down – Terrore tra i Ghiacci, abbiamo capito che questa sarebbe stata “un’altra di quelle recensioni“.

Partiamo da un presupposto: chi vi scrive ha un amore quasi morboso per qualunque ambientazione richiami il ghiaccio, per motivi ancora non meglio precisati dalla scienza. Un feticismo del genere ci porta ad amare qualsiasi (buon) prodotto sfrutti ambientazioni simili, persino La Verità del Ghiaccio dell’amato/odiato Dan Brown. Harbinger Down, invece, ha messo a dura prova sia i nostri nervi che una “passione” del genere.

Diretto e scritto da Alec Gillis, Harbinger Down è un film horror indipendente statunitense. Come spesso accade in questi casi, l’idea alla base di tutto poteva anche essere apprezzabile e ingegnosa – peccato che l’esecuzione, poi, abbia portato alla luce evidenti problemi in fase di realizzazione.

 

 

Terrore tra i ghiacci (più o meno)
Cosa succederebbe se un gruppo di studenti, desiderosi di studiare il comportamento delle balene influenzato dal riscaldamento globale, trovassero un vecchio satellite sovietico con all’interno un’arma virale terribilmente pericolosa? È uno scenario “what if” un po’ tirato per le lunghe, in effetti, ma sono queste le esatte premesse di Harbinger Down: una vecchia navetta-satellite sovietica precipita nel Mare di Bering in un non meglio precisato momento degli anni Ottanta, e un gruppo di studenti la ritrova circa trent’anni dopo (utilizzano tablet e strumentazioni all’avanguardia – sono almeno negli anni Dieci del 2000). Il tutto seguendo una luce rossa lampeggiante mentre cercano di studiare le balene.

Ma sia benedetta la sospensione d’incredulità, in fondo: magari la navetta aveva una qualche batteria ausiliaria, anche se non ci è chiaro come sia riuscita a funzionare, ibernata nel ghiaccio per circa trent’anni. A bordo della nave rompighiaccio, invece, faremo conoscenza con una serie di personaggi (alcuni più stereotipati di altri) come il Capitano Graff e sua nipote Sadie, il viscido professore universitario Stephen e altri elementi della sceneggiatura che, comunque, non saranno mai abbastanza approfonditi da farci affezionare a loro.

Dopo aver scoperto la navetta-satellite, in ogni caso, nasce un conflitto a bordo della nave tra Sadie e Stephen, con il secondo che farà di tutto per accaparrarsi il merito della scoperta e farlo accreditare all’università. Da quel momento, Sadie farà una serie di scelte sbagliate, come provare ad aprire la navetta per scoprirne l’interno; tale mossa libererà il pericoloso organismo nascosto all’interno, un terribile virus mutaforma capace di insinuarsi all’interno del corpo di un ospite e utilizzarlo come fonte di nutrimento costante, almeno fino a una perfetta formazione delle sue larve.

Raccontata in questo modo, la trama non è neanche così mal ideata: nonostante il cliché del pericolo biologico, il virus mutaforma era una trovata tutt’altro che opinabile, e viene anche sfruttata in modi abbastanza spettacolari nel corso del film. Il problema, come spesso accade, è tutto quello che c’è di contorno.

 

Ripley, aiuto!
Le fonti di ispirazione della regia sono evidenti: l’eco di Alien, intramontabile capolavoro del maestro Ridley Scott, si sente sia nella scelta di Sadie (un personaggio femminile molto forte) come protagonista, sia nel gigantesco mostro attorno cui ruota l’intera trama, capace di insinuarsi nel corpo dell’ospite e distruggerlo dall’interno. Non me ne voglia la grandissima Sigourney Weaver, però: Harbinger Down è ben lontano dai livelli qualitativi del primo Alien, di cui ne è solo una lontanissima eco.

A partire dai personaggi: fatta eccezione per Graff e Sadie stessa, nessun membro della crew sulla nave (altro riferimento ad Alien, a proposito) viene mai approfondito più di tanto, e Stephen viene relegato al ruolo di villain fastidioso e irritante, viscido e tremendamente infantile nelle sue scelte. L’unico rapporto che viene realmente approfondito è quello tra il capitano e sua nipote; tutti gli altri risultano sciatti, superficiali e mal realizzati, probabilmente perché – come nel classico degli horror movie – diversi personaggi verranno semplicemente fatti fuori prima della fine del film.

Vale la pena ripeterlo, però: l’unico rapporto veramente approfondito è quello tra Graff e Sadie, e questo porta anche diverse frecce all’arco di Harbinger Down. Non ultimo, il fatto che Graff è probabilmente il personaggio più “reale” del film, con un arco emotivo variegato e complesso, anche se ugualmente dotato di una scrittura mediocre.

 

Harbinger Down

 

Capisco il budget, ma l’Arte non si compra
Alla base di tutto, però, c’è un problema che affligge Harbinger Down fin dalle fondamenta: la regia e la direzione artistica. Inquadrature angolate dal basso senza un motivo apparente, fotografia scadente, montaggio banale e, in generale, una progettazione mediocre a monte sono tutti elementi che rendono il film un’esperienza dimenticabile, un prodotto abbozzato e sicuramente nulla più di un film da guardare con gli amici in un momento di noia. Se Non Bussate a Quella Porta era sterile ma con una direzione artistica quasi ispirata (non sempre, non esageriamo), Harbinger Down non ha nemmeno quella: tutto puzza di low-budget, i personaggi vengono sgranocchiati via come fossero popcorn di fronte a un film, e in generale la scrittura presenta fin troppi cliché (come un infiltrato a bordo della nave – sul serio?) per essere apprezzata sul serio.

In altre parole, Harbinger Down è la prova che non basta copiare la struttura di un film di successo, senza sapere dove si sta andando a mettere le mani: Alien è stato indubbiamente il punto di partenza della regia per diversi motivi, ma questo non vuol dire che il film di Alec Gillis sia riuscito a raggiungere una propria identità artistica. Fatevi un favore: se avete un bel ricordo di Alien, fate in modo che resti tale e snobbate Harbinger Down. In alternativa, se avete voglia di passare un pomeriggio di “ignoranza“, concedetegli pure una chance. Ma non dite che non vi avevamo avvertiti.

 

 
Dettagli prodotto
  • Attori: Lance Henriksen, Camille Balsamo, Matt Winston
  • Formato: Blu-ray, PAL, Schermo panoramico
  • Audio: Italiano, Inglese
  • Lingua: Italiano, Inglese
  • Sottotitoli: Italiano
  • Regione: Regione B
  • Numero di dischi: 1
  • Studio: Koch Media
  • Data versione DVD: 8 giu. 2017
  • Durata: 82 minuti

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