Da un paio di settimane la rete è in tumulto. La pietra dello scandalo? Una sessione di gameplay di Cuphead in cui il giocatore mostrava evidenti problemi ad affrontare il tutorial del gioco. Niente di strano, se non fosse che il giocatore in questione era un giornalista di settore.

Breve riassunto per chi si fosse perso la vicenda: in occasione della Gamescom un giornalista di VentureBeat si è cimentato nella demo di Cuphead, dando spettacolo di sé per i motivi sbagliati. Quanto sbagliati? Giudicate pure da questo breve estratto:

 

 

Da parte nostra noi abbiamo colto la palla al balzo per lanciare sulla nostra pagina Facebook una provocazione (che vi riportiamo qui di seguito), a cui avete risposto sollevando una serie di punti che ci sembrava interessante discutere qui sulle nostre pagine, visto che abbracciano una serie di considerazioni abbastanza delicate e controverse.

 

REDATTORI IMBRANATI CHE NON SANNO GIOCARE
La scorsa settimana un video che riprendeva un redattore giocare a Cuphead in modo a dir poco imbarazzante – peggio di una prima volta a letto, ma con il pad alla mano – ha fatto il giro della rete. Dalla stessa discussione è venuto fuori che tra l’altro spesso e volenteri pare che in situazioni di questo tipo (ovvero l’incapacità di portare a termine un titolo) chi è incaricato della recensione si affidi a video di gameplay e scriva il suo articolo sulla base di quelli.

Ora, inutile dire che è un comportamento sbagliato (non me ne occupo io su I Love Videogames, ma se venissi a sapere che succede sentireste l’eco delle mie bestemmie in otto noni della penisola). Però è interessante lanciare questa provocazione: perché l’utenza spesso e volentieri si permette di giudicare un gioco dai video di gameplay sostenendo che è abbastanza per decidere, mentre se lo fa un redattore gli si maledice la famiglia fino alla decima dinastia?

via

 

Andando a spulciare i commenti sotto al video, le risposte che avete lasciato si possono raggruppare grossomodo in queste tre categorie:

  1. Una recensione deve essere il più oggettiva e completa possibile per essere tale;
  2. L’influenza ed il “potere mediatico” di un redattore è sicuramente maggiore di quello di un semplice utente;
  3. Un redattore è fondamentalmente pagato per esprimere la sua opinione, un utente no. Per cui è chiamato a farlo con cognizione di causa;
Ve lo avevamo anticipato, questioni delicate e controverse. Però ormai dovreste saperlo, le sfide ci piacciono – se ci danno la possibilità di dire la nostra francamente, anche di più – per cui di certo non ci tireremo indietro. Iniziamo dal primo punto (oh, era un pezzo che il vostro amichevole webmaster di quartiere voleva affrontare quella questione!).

Immagino che sconvolgerà molti di voi sapere che una recensione completa ed oggettiva non esiste, oltre a non avere senso

Se vi informate attraverso le recensioni, state facendo una cosa obsoleta
In primo luogo perché per esaminare in modo davvero completo un gioco, si impiegherebbe un numero spropositato di caratteri – per un’impresa che tra parentesi richiedebbe competenze che non è detto appartengano tutte al redattore di turno – in un mondo in cui la stragrande maggioranza di voi guarda soltanto il voto in fondo all’articolo e (quando va bene) da una letta a pro, contro e commento finale. Uno sforzo erculeo che sarebbe perfettamente inutile, e che anzi rischierebbe di ottenere l’effetto contrario: troppa carne al fuoco da cui poi chi legge – i pochi che leggono davvero una recensione, da cima a fondo – dovrebbe distillare solo le cose che davvero gli interessano. E tra l’altro molti degli aspetti descritti (attenzione, abbiamo scritto descritti e non valutati per un motivo) in questa fantomatica recensione “completa ed esaustiva” sono molto più facilmente osservabili tramite altri mezzi. Vi interessa sapere com’è il gameplay di un dato titolo? YouTube lo fa meglio di chiunque di noi, perché ogni fotogramma ha una capacità di esprimersi – e soprattutto di farsi capire – tremendamente superiore alle parole che potremmo vomitare in tre pagine di articolo. Se cercate una recensione completa, sappiate che state guardando al formato sbagliato per informarvi.

Una recensione dovrebbe fare critica, senza prendersi l’onere di informare a tutti i costi
Cosa dovrebbe fare quindi una recensione, se non può informare (o meglio, può, ma non così bene come altri sistemi)? Bella domanda. Io mi sono dato questa risposta: critica. Una recensione per essere davvero in grado di giustificare la sua esistenza nel mondo come lo conosciamo oggi deve raccontare l’esperienza vissuta dall’altra parte dello schermo, esprimendo riflessioni e considerazioni – e anche dei giudizi sui vari aspetti, giocoforza – su quanto si è giocato. E questo ci porta dritti al secondo aggettivo utilizzato, ovvero “oggettivo”: una recensione fatta in questo modo non potrà mai essere oggettiva, perché riflette l’esperienza personale di chi scrive. È l’equivalente in bit e pixel della pagina di un diario, che sommata alle altre recensioni restituisce al lettore “l’io videoludico” del redattore. Rinunciare all’oggettività è troppo? Se la pensate così, sappiate che nemmeno le recensioni “dell’altro tipo” (quelle che io chiamo recensioni 1.0) non sono oggettive, così come non sono complete. Comunque su carta – passatemi la metaforarestano soprattutto gli aspetti che hanno colpito, a discapito di quelli che non hanno fatto breccia. Per cui ciao ciao oggettività.

Inutile dirlo, se sotto una recensione leggete il nome “Pietro Iacullo“, aspettatevi che invece di spiegarvi lo schema dei comandi di Nioh per filo e per segno si parli del perchè l’etichetta “Soulslike” non ha senso. Non vale per tutte le firme che trovate qui sul sito, ovviamente – troverete più di qualcuno che non concorda con questa idea è produce materiale più “tradizionale”. Il mondo il bello perché è vario e altre frasi di circostanza, immagino.

 

ne abbiamo già parlato: la stampa ha un ruolo chiave, ma voi non siete dei Ponzio Pilato
Il secondo punto diceva che un redattore è mediaticamente “più esposto” di un utente normale, e per cui in pratica da grandi poteri derivano grandi responsabilità. E su questo non posso che concordare, ma c’è un però. Verissimo che la stampa ha più influenza di un utente medio, ma comunque un utente (specie oggigiorno) ha il suo peso: c’è un motivo per cui tempo fa su Steam qualche sviluppatore non così onesto ha provato a “comprare” pareri positivi in cambio di copie gratuite del suo videogioco – cosa che con una firma del settore non succederebbe, visto che molto del lavoro parte dal presupposto di ricevere una copia del gioco – ed è sempre per questo che diversi pubblisher tengono conto dello user score per elargire bonus ai team di sviluppo alle loro dipendenze. “Noi” avremo anche più responsabilità, però l’utenza non può scaricare del tutto il suo peso.

 

Ed eccoci al terzo punto, ed ecco che le cose si fanno decisamente delicate. Come prima, l’unica cosa che posso fare è riportare la mia esperienza diretta. E la mia esperienza diretta mi ha visto essere pagato per scrivere (e sinceramente, spero che succeda ancora), ma questo non è sempre successo. Le righe che state leggendo adesso, per esempio – come tutto il materiale prodotto qui su I Love Videogames – è stato scritto senza ricavarci niente, dal punto di vista monetario. For the glory, come direbbe qualcuno. Io dico perché mi andava di farlo, ma il senso è quello.

Il punto è che non sempre il giornalista di turno è pagato, e non sempre quando lo è viene pagato adeguatamente

Molto spesso si paga a cartelle, privilegiando la quantità
non è una scusa per fare un lavoro con i piedi, ovviamente – anzi, chiunque si avventuri in questo settore senza sapere che darà molto più di quanto riceverà e che senza una solida passione alle spalle (e magari anche un lavoro “vero”) è un sognatore – ma bisogna mettere tutto sul piatto: non avete davanti dei miliardari che hanno la fortuna di essere pagati per giocare, ma piuttosto avete a che fare con persone che vengono pagate a cartelle (cioè, in base a quanto materiale scrivono) in un mondo che invece dovrebbe considerare anche l’aspetto qualitativo. Ci vuole parecchia passione, come scrivevo poco più su – e bisogna partire dal presupposto che molto probabilmente non si diventa ricchi facendo il giornalista in questo settore. Perché farlo? Personalmente la risposta è – di nuovo – perché mi va. È una cosa che concilia due dei miei hobby preferiti (qua su I Love Videogames anche di più in realtà. Dite grazie alla sezione Geekstyle) e al di là della questione economica ne ricavo soddisfazione. Quando non succederà più beh, probabilmente vi farete annoiare da qualcun altro.

Per cui è molto facile, in realtà: seguite sopratutto persone che scrivono per passione, e ogni tanto fermatevi a domandarvi se il risultato che avete davanti allo schermo è stato adeguatamente pagato. E magari quando questo manipolo di scappati di casa fa dei copia-incolla ammantati da prefazioni, copertine fighe e altri orpelli del genere e butta tutto su Amazon, non giudicateli troppo male (non dico di offrigli il caffè, però quantomeno sopportate un po’ di product placement fatto male).

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