Puntualmente, da quando Netflix è approdato nel nostro Paese, ogniqualvolta il servizio di streaming rilascia una nuova serie TV, sul web si scatena una faida per decretare il nuovo capolavoro o la schifezza apocalittica. Spesso dall’alto del nulla, orde di commentatori seriali ci tengono a far notare come avrebbero fatto questo o quell’altro aspetto, spesso portando argomentazioni facilmente discutibili. Stessa sorte ci è ovviamente toccata il 13 Gennaio, quando è stata rilasciata nella sua interezza la  prima stagione di Lemony Snicket’s: Una Serie di Sfortunati Eventi, prodotta e co-sceneggiata dallo stesso Daniel Handler / Lemony Snicket (lo scrittore della serie di romanzi) e con tra i protagonisti Neil Patrick Harris (conosciuto ai più come Barney Stinson di How I Met Your Mother) nei panni del Conte Olaf, ruolo che nel 2004 nella trasposizione cinematografica fu di Jim Carrey.

Dopo aver concluso la visione e aver ponderato sull’articolo per circa due settimane, ecco l’analisi della prima stagione di Una Serie di Sfortunati Eventi, e del perché c’era bisogno di una rivisitazione televisiva dei romanzi di questo livello.

 

Un infausto inizio
Una Serie di Sfortunati Eventi narra le sfortune consequenziali degli Orfani Baudelaire che, dopo aver perso i genitori a causa di un incendio, ne ereditano l’immensa fortuna e vengono trascinati da un tutore all’altro sperando di sfuggire al crudele Conte Olaf, bramoso delle loro ricchezze anche a causa di una carriera non troppo riuscita nel favoloso mondo dello spettacolo. Basata sui primi quattro volumi della serie di romanzi omonimi, la prima stagione di Una Serie di Sfortunati Eventi porterà i tre fratelli Baudelaire a scoprire indizi sulla società segreta VFD, cui paiono collegati sia i defunti genitori che ogni singolo tutore che li prenderà in custodia.

Non perderemo ulteriore tempo a raccontarvi la trama degli otto episodi, sia per non rovinarvi la visione, sia perché sarebbe comunque inutile analizzare al microscopio ogni singola disavventura degli orfani Baudelaire e di come, con cervello e coraggio, riescano a superare ogni situazione. Andremo invece ad analizzare gli aspetti secondari della produzione, a partire dalla sigla che, all’inizio di ogni puntata, intima allo spettatore di distogliere lo sguardo e rivela alcuni degli eventi a cui assisterete se non cambierete canale (o se non chiuderete Netflix per dedicarvi ad altro). La nenia interpretata da Neil Patrick Harris (Nanni Baldini nell’ahimè meno riuscita versione italiana) si insinua nella mente dello spettatore, che non può far a meno di canticchiarla per i minuti successivi, lasciandosi trascinare nel tragicomico mondo creato da Lemony Snicket.

La scelta di dividere ogni romanzo in due episodi è stata azzeccata: sebbene a volte sembri che il ritmo rallenti e possa sembrare tutto fermo, ogni scena e ogni dialogo di Una Serie di Sfortunati Eventi nascondono un punto di collegamento, un occhiolino ai lettori o allo spettatore, rappresentato spesso dagli stessi monologhi di Lemony Snicket (Patrick Warburton) che potrebbero sembrare a tratti invasivi, ma smorzano il racconto e il più delle volte riportano alla realtà colui che assiste alle vicende, con regole grammaticali, leggende o semplicemente per anticipargli che quello che vedrà potrebbe non essere bello né felice. Una Serie di Sfortunati Eventi è particolare, e sicuramente non è adatta al grande pubblico; ma la sua bellezza ed efficacia stanno proprio nel trascinare coloro che continueranno a vederla in otto episodi tragicomici e ricchi di sfumature di lettura, nello stesso modo in cui accadeva sfogliando le pagine dei libri di Lemony Snicket.

 

Tra libri, film e serie TV
Ed è proprio dalle pagine dei volumi editi in Italia da Rizzoli che riparte la nostra analisi della serie Netflix, e da quelle piccole differenze necessarie per raccontare in maniera più uniforme e lineare la storia degli Orfani Baudelaire. Avendo Handler co-sceneggiato la produzione insieme a Mark Hudis, lo scrittore ha cercato di stupire i lettori con una piccola aggiunta di peso non presente nei libri, e che durante il penultimo episodio lascerà sgomenti per la naturalezza con cui il tutto è stato reso visivamente. Nella produzione Netflix, ogni personaggio sembra praticamente uscito dalle pagine inchiostrate dello stesso Snicket, sebbene ci sia qualche cambiamento secondario come il colore della pelle, un determinato luogo o ruolo, ma in ogni caso nulla che vieti al racconto di svolgersi nello stesso modo in cui fu narrato dieci anni fa su carta.

Dopo i libri pare che non ci sia un attimo di pace per la serie Netflix, che si deve scontrare subito con un colosso ben più mainstream (che ai tempi fu un flop, ma che ora sembra attrarre fan da ogni dove): la pellicola del 2004 con Jim Carrey e Meryl Streep. Sorvolando sul ridicolo commento secondo cui il trucco di Neil Patrick Harris sarebbe praticamente identico al Conte Olaf di Carrey, dovuto probabilmente – e stiamo solo ipotizzando – alla descrizione fisica del perfido zio nei libri, molti spettatori hanno bollato l’interpretazione del nuovo Olaf come scialba e priva di mordente rispetto a quella del ben più blasonato attore di Hollywood. Peccato che l’Olaf di Carrey sia sì una buona interpretazione, ma debba tutto il suo successo alla mimica facciale dell’attore, che è riuscito a rendere il personaggio molto più espressivo di quanto invece avrebbe dovuto essere. Il Conte Olaf è un attore cane, prolisso e statico, incapace di convincere nei suoi mille travestimenti, che puntualmente vengono smascherati solo dall’innocenza degli occhi dei Baudelaire, mentre nessun adulto – abituato alle maschere che ogni uomo indossa per fingersi chi non è – capisce  che dietro la benda sull’occhio, sotto la calotta pelata o sopra i tacchi a spillo si nasconde il perfido Conte, deciso a tutto pur di portar via l’eredità ai ragazzini. Ed è proprio nei travestimenti, che agli occhi di chi non ha letto i libri potrebbero benissimo essere le pagine del Playbook del ben più fortunato Barney Stinson, che il conte di Neil Patrick Harris dà il proprio meglio: tra accenti marcati e battute meta-narrative, Olaf risulta davvero cattivo e testardo, riuscendo a farsi odiare più di una volta dallo spettatore, senza però rubare la scena agli Orfani o ai comprimari (cosa che, invece, accadeva più volte durante la pellicola del 2004).

Non c’è pace per i Baudelaire
La vera forza di Una Serie di Sfortunati Eventi non è il cast, né tanto meno la trama da risate amare che può essere apprezzata come no, e neanche i dialoghi taglienti o gli effetti speciali da produzione di basso costo (volutamente, aggiungeremmo). La forza della produzione Netflix è (oltre all’insieme di quanto scritto sopra) riuscire in pieno a trasmettere la cupa atmosfera dell’opera, spaesando lo spettatore e catapultandolo da colorati laboratori fino a case sull’orlo di strapiombi, segherie con operai omologati, enormi librerie, cinema che trasmettono film dal dubbio periodo storico, piccoli bagni poco accoglienti ed enormi ville ricche di segreti. Colori, musiche e scenografie si tramutano da palcoscenico per gli attori a vere e proprie protagoniste, anche grazie alla presenza di Lemony Snicket che interrompe scena dopo scena le tristi disavventure degli orfani Baudelaire. Tutto questo può non piacere? Indubbiamente, ma non per questo intacca l’effettiva qualità visiva del prodotto e della produzione in generale. La vera sfortuna di questa prima stagione è stata sicuramente una prima metà che va a ripercorrere eventi già visti dai più al cinema, prendendo le redini del tutto solamente negli ultimi due episodi, sebbene qualche lieve disarcionata sia visibile anche nelle prime sei puntate.

Per fortuna che Netflix non tiene conto delle persone che danno aria alla bocca (o alle dita) senza cognizione di causa, e gli Orfani Baudelaire torneranno con una seconda stagione che andrà a toccare vicende del tutto inedite per grande e piccolo schermo (il film del 2004 copriva solamente i primi tre libri), dal quinto al nono volume della saga ideata da Lemony Snicket. Vi avvisiamo, le sfortunate vicende non faranno che peggiorare, e l’avventura dei tre è ancora lontana da una fine, sebbene siamo sicuri che Handler e Hudis aggiungeranno piacevoli dettagli per rendere anche la seconda serie un po’ meno sfortunata della prima.

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