Stefano Calzati

Speciale Hideki Kamiya: game designer senza regole

Nome: Hideki.

Cognome: Kamiya.

Nato il: 19 dicembre 1970 a Matsumoto, Nagano, Giappone.

Professione: Game Designer e Game Director c/o PlatinumGames.

 

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Foto segnaletica di rito.

 

L’odio dell’istrionico Kamiya per una descrizione così formale ed enciclopedica si può percepire a 8 ore di fuso orario di distanza. Apri una qualsiasi pagina internet a lui dedicata e non c’è un singolo paragrafo che gli renda minimamente giustizia; è un po’ come leggere la biografia di Einstein sullo smartphone tra una fermata della metro e l’altra, ascoltando i Metallica. Qui ci vuole un occhio di riguardo (anche per Einstein eh!), perché stiamo parlando di uno vero e proprio Autore (la “A” maiuscola è d’obbligo, converrete) del mondo videoludico, come ce ne sono ormai pochi in circolazione. Universalmente apprezzato da critica (con qualche eccezione) e appassionati (quelli che non insulta su Twitter), raramente compreso dal grande pubblico, tanto che la maggior parte dei suoi progetti post-Capcom non ha quasi mai raggiunto il nirvana del successo commerciale.

Genio e sregolatezza, come i grandi campioni, un teppista rubato alla vita di strada per donarci divertimento puro in formato CD/DVD; occhi furbi e fieri dietro occhiali scuri che guardano sempre oltre quello che il medium ha da offrire, divenuto pioniere degli action game moderni a cui tutti gli appassionati devono almeno un tasto del proprio controller preferito in segno di offerta, il tutto concepito tra una boutade e l’altra su Twitter.

Oggi I Love Videogames vi porta nell’adrenalinico mondo che si nasconde dentro la testa rasata di Hideki Kamiya, genio, troll, artista, senza filtro, facinoroso all’apparenza, leggendario nei fatti.
 

Come tutto ebbe (per fortuna!) inizio…
Come tutti i predestinati, che fin da bimbi si dedicano a quello per cui saranno ricordati in eterno, anche il piccolo Hideki faceva quello che gli riusciva meglio: giocare ai videogiochi. Questa è sempre stata la sua grande passione (quasi un’ossessione), come quella di tutti noi: giocare, divertirsi, studiare quello che c’è dietro a delle creazioni così meravigliose. “I giochi che ho giocato portano con se importanti risposte“, parola sua. In giovane età ci ha anche provato a programmare qualcosa con il suo NEC PC-8801, ma alla fine il richiamo del pad lo ha sempre tenuto alla larga da qualsiasi seria velleità di programmazione. Ciò che veramente lo affascinava era il design di un gioco: non a caso lui stesso cita come fonti di ispirazione e suoi titoli preferiti opere immortali come The Legend of Zelda: A Link to the Past, Gradius, Castlevania; videogiochi di spessore assoluto che hanno segnato un’epoca in cui la cultura del videogioco era ancora fondamentalmente underground, poi fortemente ripresi nelle sue opere. La carriera di game designer era quindi quella aveva scelto, provando a lavorare prima in SEGA e poi in Namco; la prima lo scartò, mentre la seconda lo voleva trasformare in un’artista; poco male, visto che nel 1994 approda in Capcom, software house che lo lancerà nell’Olimpo del medium.

 

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Resident Evil 2: la durissima ascesa
Inizia la sua esperienza lavorativa con il team responsabile del primo capitolo della saga horror Resident Evil, diretto da un altro volto noto dell’industria: il grande Shinji Mikami. In questo periodo occupò il ruolo di system planner, conscio del fatto che molti game designer avevano iniziato proprio in questo ruolo. E il buon Hideki ci aveva visto lungo: con l’avvento secondo capitolo della saga, la casa di Osaka lo responsabilizzò, facendolo direttore dell’ambizioso progetto. Il suo mentore, Mikami, lo seguiva con occhio attento e non senza qualche scontro, come si conviene ad un classico rapporto discepolo-maestro; d’altronde era stato proprio lui a convincere la dirigenza ad affidare il delicato ruolo di director al ventiseienne Kamiya, prendendosi carico di questa responsabilità oltre che della riuscita dell’intero progetto. Hideki dichiarò quanto importante per la sua carriera sia stato Mikami-san durante un “Iwata Asks“, in cui il mai dimenticato ex-presidente di Nintendo intervistò il geniale game designer in occasione del lancio di The Wonderful 101 su Wii U. “Non esagero se dico che non sarei qui ora se non fosse stato per lui“, una dichiarazione che fa intuire lo spessore morale del Nostro. L’inizio del progetto fu però disastroso, l’intero titolo stava per affondare sotto il peso delle responsabilità portato dal suo direttore e gli altri dipendenti di Capcom lo additavano (letteralmente, stando alle sue dichiarazioni) del possibile fallimento di Resident Evil 2. Kamiya era diventato, in questo periodo, uno yes-man con il solo obiettivo di non scontentare nessuno. L’esperto Mikami però continuò a credere in lui, con i risultati che tutti noi conosciamo: Resident Evil 2 replicò il successo del suo predecessore, ed è tutt’oggi ricordato dagli appassionati come uno dei migliori esponenti del genere survival horror.

 

 

Il fiume della creatività rompe gli argini
Il diavolo piange e Kamiya ride
Fin qui si sta parlando di un direttore che ha sbagliato molto e appreso altrettanto, senza però far intravedere nel suo lavoro quella personalità che stava per dirompere come un fiume in piena. Correva l’anno 1999 e il maestro Mikami affidò all’allievo Kamiya un preciso compito: dirigere Resident Evil 4 per PlayStation 2 con protagonista una new entry della saga. Hideki capisce che questa è la sua occasione per fare quello che veramente ha in mente, un action game spettacolare, veloce, tecnico, esplosivo, in antitesi con la legnosità dei precedenti Resident Evil, un titolo che farà la storia del genere, carpe diem. Fa molto ridere pensare alla faccia che avrà fatto Mikami quando lo scrittore storico della serie, Noboru Sugimura, presentò lo script del titolo basato sulle idee del “teppista“. Il plot vedeva il giocatore impegnato a scoprire i segreti del protagonista Tony, un super uomo dotato di abilità e intelletto fuori dal comune, ottenute grazie a biotecnologie non meglio specificate. Il director decise inoltre di sostituire gli sfondi pre-renderizzati, non adatti alla velocità d’azione, con un sistema di telecamere dinamiche. Capcom stessa voleva che questo capitolo del brand fosse “cool” e al passo coi tempi, ma si era andati troppo oltre, tanto da spingere Mikami a parlare col team (che prenderà il nome di Team Little Devils), convincendolo a slegare il titolo dalla serie horror; in fondo l’aveva presa bene! In questo preciso momento, gli argini della creatività si rompono, i neuroni di Kamiya si sentono finalmente liberi; Dante sarà il nome del protagonista, figlio del leggendario cavaliere nero Sparda e cacciatore di demoni, assoldato dalla prorompente Trish per sconfiggere il re dei demoni, Mundus, sulla gotica Mallet Island (frutto dei viaggi del team tra Regno Unito e Spagna). Il nome di questa opera sarà sulla bocca di tutti gli appassionati da ora in avanti: Devil May Cry.

 

 

Tamarro, scorretto, appariscente, rock, pacchiano ma ricolmo di stile. Figlio ancora di alcune meccaniche residenteviliane, il titolo era un concentrato di adrenalina e giocabilità, tutto basato sulle combo, da inanellare grazie al mix di armi bianche e armi da fuoco (indimenticabile il fucile a canne mozze usato con una sola mano!). La cura del dettaglio era maniacale, il livello di sfida costantemente minaccioso e la direzione artistica fuori scala, così come il design. La strada era ormai tracciata, quello era il suo futuro e quello il genere giusto per esprimersi, così fertile e rivoluzionabile. Capcom però, nonostante il successo del titolo, non affidò più a Kamiya il futuro della serie, con grande disappunto del suo creatore, che vide il secondo capitolo distruggere quanto di buono aveva lui creato.

 

Uno sfortunato quadrifoglio
Sbollita la delusione, un paio d’anni più tardi, ecco il nostro eroe di nuovo al timone di un progetto (presso Capcom Production Studio 4), che si rivelerà poi un nuovo cult del mondo videoludico: Viewtiful Joe. Il titolo appare fuori di testa già dalla copertina: ambientazione tipicamente Tokusatsu (film in live action giapponesi con protagonisti supereroi, come Kamen Rider per intenderci), cell shading dai contorni talmente accentuati da sembrare gli occhi di una donna con troppo mascara, stile di gioco che mischia elementi platform con i classici beat ‘em up a scorrimento, genere che negli anni 2000 stava lentamente scomparendo. Ebbene, Hideki riesce nell’impresa di rivitalizzare un genere in via di estinzione, innovandolo grazie ad una velocità d’azione pazzesca, merito dei vari poteri del nostro Joe in calzamaglia rossa e maschera d’ordinanza, che può rallentare o velocizzare la “pellicola” del gioco, come se fosse il regista del suo stesso film; Henshin a go-go baby!

 

 

nuova linfa ai beat ‘em up 2d grazie a viewtiful joe
Il gioco, sviluppato inizialmente in esclusiva per Nintendo Gamecube, sprizzava carisma da ogni poro, grazie a personaggi caratterizzati splendidamente, una trama demenziale ed un gameplay a prova di bomba, profondo e tecnico. Questo gioco attinge a piene mani dal retaggio culturale anni ’80 di Kamiya, intriso di pop culture giapponese mescolata con i classici fumetti americani di supereroi, dove Joe è Kamiya e Kamiya è Joe; giocarci conoscendo la storia del suo creatore è come giocare col creatore stesso, percependo i pensieri e le passioni di un creativo dalla mentalità punk, costantemente controcorrente pur di creare ciò che davvero gli passa per la testa; e se i risultati sono questi, non si può che dargli ragione! Un curioso aneddoto riguardo allo sviluppo del gioco, rivelato dallo stesso Kamiya, lo vede impegnato insieme ad alcuni suoi colleghi con alcuni bimbi, ai quali chiesero: “Cosa pensate dei personaggi?“. Allora i bambini risposero “Lui ha la testa troppo grossa!“, “Silvia è troppo fastidiosa, vorrei ucciderla!“; a quel punto al nostro designer presero i fatidici cinque minuti e decise di non cambiare nulla! Questo titolo inoltre spalanca le porta alla fondazione, da parte di Capcom, di uno studio indipendente brulicante di uomini dalla creatività fuori dal comune, come Mikami, Inaba e il nostro Kamiya: Clover Studio.

Questo team, che come vedremo avrà purtroppo vita breve, può considerarsi quasi una squadra all-star del panorama videoludico. Il compito del team era quello di creare nuove proprietà intellettuali di successo, e anche se il loro primo lavoro fu il seguito delle avventure dell’uomo in calzamaglia rossa, un Viewtiful Joe 2 che vide ben pochi cambiamenti rispetto alla pur strepitosa formula originale (seguito a sua volta dallo spin off Red Hot Rumble e da Double Trouble! su Nintendo DS), gli appassionati non dovettero attendere molto per mettere i loro pollici sui tasti dell’innovazione.

l’arte e la spiritualità shintoista di okami
Da molti definita l’opera magna di Kamiya, Okami vede brillare il lato spirituale del game designer, tra leggende giapponesi e dei della religione shintoista, tra cui la protagonista, Amaterasu, dea del Sole. Bando alle stravaganze e largo all’eleganza dei paesaggi dell’antico Giappone, dipinti con delicati acquerelli su carta di riso, effetto grafico pregevolissimo e unico nella storia; e pensare che inizialmente sarebbe dovuto essere un gioco con una formale grafica poligonale. In questo contesto artistico e storico, il nostro compito è quello di far sbocciare una nuova primavera in questo Giappone piegato sotto il giogo del demone Orochi, il quale ha reso la terra del Sol Levante una desolata tela senza colore alcuno. Starà a noi combatterlo a colpi di ciliegi in fiore e di amore, riportando gli sgargianti colori della natura ai paesaggi a cui appartengono e facendo così tornare la voglia di vivere alla triste popolazione. Per fare questo verrà in nostro aiuto il piccolo artista Issun, fastidioso e irriverente, che ci permetterò di tracciare disegni sullo schermo (tramite l’analogico destro), attivando i vari poteri donati alla nostra lupa Amaterasu direttamente dai componenti del pantheon shintoista, con una progressione simile a quanto avviene nella saga The Legend of Zelda di Nintendo. Come una traiettoria circolare, le opere di Kamiya riflettono sempre il suo passato di videogiocatore; in questo caso la già citata passione per A Link to the Past, capolavoro senza tempo per SNES e vera fonte di ispirazione dell’opera, come ammette lui stesso con orgoglio.

 


Per approfondire:
Okami HD
 

La critica acclama il titolo all’unanimità, il quale diventerà Game of the Year 2006, tristemente, il gioco dell’anno meno venduto della storia, come attesta il Guinnes World Record. Il pubblico di massa non viene attratto dal concept di questo capolavoro quindi, come non lo era stato da Viewtiful Joe; Questo e il successivo flop commerciale del team, questa volta diretto da Shinji Mikami, God Hand, spingono Capcom a sciogliere Clover Studio; un quadrifoglio che non ha portato fortuna quindi, più alla casse di Capcom che ai suoi artisti a dire il vero, i quali hanno guadagnato fama e conquistato l’Olimpo dei videogiochi con i loro titoli unici e fuori da ogni canone. Nonostante questa battuta d’arresto, era ovvio che la storia del nostro eroe col pizzetto non sarebbe finita qui.

 

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D’oro, diamanti e Platinum
bayonetta: dissacrante e meravigliosa creatura
Dopo lo scioglimento di Clover, i nostri Mikami, Inaba e Kamiya decisero di rimanere ancora uniti e fondare, questa volta, uno studio davvero indipendente, un vulcano creativo di nome PlatinumGames. Mentre parte parte del team sforna il titolo più violento del 2009, MadWorld, sulla console più family oriented di tutte, Wii, Kamiya e la sua squadra stanno per sganciare una bomba atomica che rivoluzionerà per l’ennesima volta, dopo Devil May Cry, il concetto di action game. “Una strega sensuale e slanciata con lunghissimi capelli neri, che si possono trasformare in demoni infernali. Due pistole alla mano e altre due al posto dei tacchi, le cui armi più pericolose saranno però una personalità travolgente e uno charme magnetico. Distorsioni spazio-temporali, angeli con mire diaboliche a cui strappare le lucenti aureole. Una trama apparentemente senza capo ne coda e si, personaggi secondari all’altezza della protagonista!“. Ce lo immaginiamo un po’ così quello che ha detto Kamiya al proprio team, mentre organizzavano le idee per creare l’ennesimo capolavoro: Bayonetta.

 

 

Fascino sacrilego, disturbanti angeli da uccidere a colpi di coreografie ammiccanti, demoni a cui fare l’occhiolino, un gameplay granitico, velocissimo e preciso come mai prima d’ora in un action game, senza tralasciare un design che ha rischiato di far volare gli occhi fuori dalle orbite a molti appassionati. Un Kamiya più in forma che mai torna in scena 3 anni dopo averci donato le sacre terre shintoiste ed eteree di Okami, ribaltando il suo ultimo lavoro e deliziando i nostri polpastrelli con un altro pezzo d’arte contemporanea. Punto focale dell’intera esperienza è però proprio la protagonista, Bayonetta, creata in collaborazione con l’artista Mari Shimazaki, che ne ha perfezionato il design per oltre un anno, per riuscire a centrare quel mix di “moda“, “mistero” ed “intelligenza” che hanno reso la strega uno dei personaggi più riusciti dell’intera storia dei videogame; un personaggio “vivo” e talmente espressivo da bucare lo schermo. Il carisma del titolo passa quindi senza ombra di dubbio anche dai comprimari, come Jeanne, ambigua villain (una dei tanti) del titolo, definita da Kamiya: “la mia donna ideale… Sotto molti punti di vista!“.

 

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The Wonderful 101: il primo greatest hits di Hideki
Dopo quest’ultima fatica (come spesso nella sua carriera, successo di critica ma pochi soldi incassati), come ogni artista che si rispetti, arriva anche per Kamiya il momento del suo “Greatest Hits”. Il tutto avviene sulla nuova ammiraglia di Nintendo, che di li a qualche mese avrebbe compiuto un anno. Prima di svelare il nome del gioco (che tutti voi saprete già), torniamo all’Iwata Asks di cui sopra, dove il nostro eroe, chiacchierando col presidente, svela un retroscena sulla sua prima console, un NES. Per comprare la prima console casalinga della grande N l’impaziente Hideki dovette combattere con le unghie e con i denti; le macchine erano esaurite in ogni angolo della sua città natale e solo un negozio prometteva di vendere 10 NES ai primi 10 avventori. Sveglia alle 4 del mattino, cuore pieno di eccitazione e soldi in tasca (ricevuti come regalo per il nuovo anno) il Nostro va al negozio solo per scoprire che altre 10 persone erano già in fila: dai, a tutti noi è capitato di vivere una situazione del genere, terribile! Passa qualche giorno e suo cugino si presenta a casa per giocare, rivelandogli che un suo conoscente vendeva un NES con ben 15 giochi per la cifra non indifferente di 300$; Non avrebbe mai potuto rifiutare. Ennesimo cerchio che si chiude nella storia di questo artista, che nel presente torna alle passioni adolescenziali, sviluppando la sua prima raccolta di gameplay” in esclusiva per Wii U, sotto il nome di The Wonderful 101.

 


Per approfondire:
The Wonderful 101
 

Qui c’è tutto ciò che abbiamo imparato ad amare dello stile e della giocabilità Made In Kamiya: lo stile supereroico di Viewtiful Joe, il combat system di Okami (levetta analogica destra per creare linee e cerchi a schermo, coi quali evocare diverse armi) mischiato alla sistema di combo basato su velocità e schivata di Bayonetta e Devil May Cry, boss giganteschi protagonisti di alcune delle migliori battaglie di sempre e una varietà di situazioni da far invidia ad Italia’s Got Talent, il tutto condito da una visuali isometrica “alla Pikmin” che mancava nel curriculum del suo ideatore. Tanta, (forse troppa in qualche situazione) carne al fuoco, per quella che è una delle esclusive più esplosive della ludoteca della console con GamePad (sfruttato anch’esso in modi originali). La love story con Nintendo continua poi con l’esclusiva del secondo atto (è stata proprio la casa di Kyoto a finanziare il progetto) dell’amatissima strega Bayonetta (che comparirà successivamente anche in Super Smash Bros. sotto forma di DLC), in cui Kamiya ha curato la storia oltre che la supervisione del progetto, lasciando la direzione a Yusuke Hashimoto. Ennesimo capolavoro che speriamo segua la regola del “non c’è due senza tre“, su cui Kamiya stuzzica ogni tanto i fan su Twitter, con frasi sibilline e sondaggi tra i serio e il faceto.

 

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Lunga vita al Re e 100 di questi giochi!
Kamiya in questi giorni, mentre leggete, starà lavorando al completamento del suo nuovo, ambizioso progetto: Scalebound. Questo titolo, che sarà pubblicato nel corso del 2017 da Microsoft in uscita per Xbox One e PC, sarà un’esperienza tutta nuova, un “sogno che diventa realtà” per Hideki. Ambientazione fantasy, genere action RPG mai sperimentato prima dal team, draghi (sempre apprezzati!) e una collaborazione con la casa di Redmond che incuriosisce, per vedere cosa verrà fuori dall’incontro di questi modi di intendere il gaming diametralmente opposti, tanto da far nascere vari attriti tra in sanguigno Kamiya e Microsoft, soprattutto per quanto concerne il marketing del titolo.

 

 

Un Kamiya sempre pronto a mettersi in gioco quindi, con la testa straripante di idee e di entusiasmo. Una vera leggenda, un uomo di spessore a cui tutti noi auguriamo di continuare su questa strada, senza guardare in faccia nessuno pur di creare capolavori che rimarranno oggetti di culto negli anni a venire.

 

100 di queste emozioni, 100 di queste follie, 100 di questi videogiochi!

 

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