Antonino Lupo

Speciale 10 livelli che hanno lasciato il segno – Parte 1

Capita quasi per caso, quando meno ce lo aspettiamo: inseriamo nella console quell’ultimo titolo che abbiamo acquistato da poco, quel gustoso e fecondo frutto dei nostri più sudati risparmi, e ci prepariamo a ricevere una serie di stimoli che – si spera – saranno in grado di colpirci dall’inizio alla fine. Ci ritroviamo quindi a passeggiare per splendide lande sconfinate, esplorare una terra in rovina, inseguire un meraviglioso tesoro o persino tentare di sventare un complotto di orde demoniache ai danni della razza umana; e poi, all’improvviso, accade. Accade che i muscoli della nostra mascella fanno fatica a rimanere serrati, o che i nostri occhi non riescono più a staccarsi dallo schermo. E, prima che possiamo rendercene conto, è già successo: quel videogioco è riuscito a imprimersi nel nostro cuore, scuotendolo dal profondo con una piccola, semplice armonia ben studiata tra azione e level-design.

Un po’ tutti i videogiochi (se ben fatti, ovviamente) hanno qualche caratteristica in grado di lasciare un segno nella nostra memoria, ma non sono molti quelli che riescono a intaccare emotivamente le corde più profonde del nostro animo. E che si tratti di passeggiare per una città degli dèi abbandonata o per una metropoli devastata dalle radiazioni, poco importa: il cuore di un videogiocatore sa come apprezzare un capolavoro di level-design, quando ne vede uno. Oggi, noi di I Love Videogames abbiamo pensato di raccogliere i 10 livelli che (secondo noihanno lasciato il segno, per un motivo o per un altro, scuotendo i nostri sensi con una sapiente realizzazione artistica e/o con una possente forza emotiva. Sotto con i primi 5.

 

Avanti Savoia – Battlefield 1
Battlefield 1 quest’anno ha indubbiamente fatto un ottimo lavoro per quanto riguarda la componente in singolo dell’esperienza, andando a confezionare una serie di sotto-campagne di circa un’ora ciascuno capaci di riversare sul giocatore 60 minuti di pathos e carica emotiva. E, da questo punto di vista, nell’offerta confezionata da DICE, spicca sulle altre esperienze proposte Avanti Savoia, la chiacchierata missione ambientata sul Monte Grappa e ritenuta (inutile dirlo, secondo noi a torto) oltraggiosa da parte dell’Associazione Italiana Alpini.

 

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Avanti Savoia: La lettera d’amore di DICE alla nostra penisola
Da una parte l’armata austro-ungarica, dall’altra le truppe del Regio Esercito. Nel mezzo, un logorante conflitto in trincea tra le due fazioni dove nessuna riesce a prevalere sull’altra. Ed è proprio a questo punto che le forze italiane decidono di ricorrere a tattiche poco ortodosse gettando nella mischia gli Arditi, una delle specialità dell’esercito di quegli anni nota per combattere utilizzando un pugnale e delle bombe a mano. Avanti Savoia racconta la storia dei fratelli Cocchiola, immergendo il giocatore nei panni di Luca (uno degli Arditi, pronto a scendere in campo con la sua corazza e le armi pesanti) ma utilizzando la figura di Matteo, parte delle truppe regolari, come “motore emozionale” dell’esperienza, tanto più che il compito degli Arditi è quello di coprire il resto delle forze. Una fotografia realistica di uno spaccato assolutamente plausibile di quella che può essere una delle tante storie toccate dalla “guerra che doveva far finire le altre guerre”, raccontato utilizzando sapientemente lo stratagemma del flashback, con Luca a raccontare la sorte di Matteo diversi anni dopo a una nipote che non ha mai potuto incontrare, nel giorno di quello che doveva essere il compleanno di entrambi. Impossibile insomma non rimanere coinvolti (soprattutto se, come noi, si vive questa campagna da italiani nei panni di un italiano): il vero oltraggio è il pensiero che un prodotto del genere possa essere offensivo, invece di capire quanto possa dar lustro, per quanto come detto in una versione che non si attiene al 100% alla realtà consegnata alle pagine della storia, a unità poco conosciute che hanno combattuto in questi teatri di sangue.

 

La Tresca del Diavolo / L’Ultimo Ballo – DmC: Devil May Cry
È inutile cercare di argomentare diversamente: DmC Devil May Cry è un titolo ben fatto su più fronti, e uno di questi è proprio il level-design. Tra strutture sospese e dimensioni dall’equilibrio precario, gli sviluppatori di Ninja Theory hanno dato sfogo alla propria creatività come meglio sono stati in grado di fare, confezionando un titolo artisticamente spettacolare in più di qualche momento nello sviluppo della storia. La scalata della Torre dei Demoni, le varie zone del centro cittadino, i sotterranei della fabbrica di Virility e non solo; questo è DmC, un frizzante connubio tra spettacolarizzazione ed estro creativo, che tocca i picchi massimi della sua realizzazione in diverse occasioni. Tra i livelli più “forti” e dall’impatto maggiore su chi sta al di qua dello schermo, tuttavia, non possiamo non ricordare le due missioni ambientate nella discoteca di Lilith, madre dei demoni e amante di Mundus.

Ninja Theory regala perle di level design
Tra luci stroboscopiche e musica “appalla” [termine tecnico, N.d.A.], il livello procede con orde di demoni che attaccano il non-tanto-indifeso Dante di questo nuovo reboot, e la perfida Lilith che osserva la scena dall’alto della sua balconata. Sfruttando i suoi poteri, la Madre dei Demoni modificherà la pista da ballo rendendola dapprima una gigantesca arena di combattimento (“Da Night Club a Fight Club“), e Dante non avrà altra scelta se non trucidare qualunque cosa gli venga scagliata contro; ma sarà solo quando il Nephilim avrà sconfitto le prime ondate che le cose si faranno realmente interessanti. Lo spazio e il tempo si distorceranno, trasportando Dante all’interno di una dimensione dominata interamente dai poteri di Lilith. Tra sfere specchiate giganti, spropositate onde audio e colonne che abbracciano quasi tutto lo spettro dei colori, il livello continuerà a pompare musica e colori nelle orecchie e nelle retine del giocatore, che sarà completamente immerso in un ambiente audiovisivo con pochi eguali nel mondo dei videogiochi. Vedere per credere: basta dare un’occhiata al video poco sopra. Allo stesso modo, una volta terminato il livello, Dante sarà trasportato nell’arena di combattimento contro Lilith e il pargolo di Mundus, che prenderà interamente possesso del suo corpo per rivoltarsi contro il nostro protagonista. Anche in quel caso, l’arena sarà dominata da una gigantesca mole di luci e colori che difficilmente dimenticherete nel corso delle vostre esperienze ludiche future.

 

Luci guida, anche nella morte – Metal Gear Solid V: The Phantom Pain
La saga di Metal Gear è disseminata di momenti che hanno lasciato un marchio invisibile (ma ugualmente indelebile) sulla pelle di chi ha vestito i panni dello Snake di turno. Avremmo potuto vincere facile e dedicare, per l’ennesima volta, spazio a quella che è ancora oggi una delle sezioni più iconiche firmate da Hideo Kojima, lo scontro con Psycho Mantis nel primo Metal Gear Solid, o scrivere qualche riga a proposito di una delle tante riuscitissime sezioni di Snake Eater. Abbiamo invece deciso di puntare su quello che è forse uno dei momenti più carichi di significato di The Phantom Pain, dove il dolore smette all’improvviso di essere un semplice fantasma ma si respira a più riprese per tutto il capitolo.

 

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Una missione in cui il giocatore è allo stesso tempo vittima e carnefice, in totale balia di Hideo Kojima
È scoppiata un’epidemia (per quanto possibile, cercheremo di rimanere vaghi e spoiler free) sulla Mother Base, ed il morbo ha costretto ad isolare l’area dove l’infezione si è manifestata sigillando, con questa, tutto il personale presente nella zona. Venom Snake è quindi costretto ad andare sul posto a verificare la situazione, per evitare di mettere a rischio le vite di altri commilitoni (una prima squadra è già stata inviata sul posto ma non è tornata indietro) e, eventualmente, porre fine all’esistenza di quegli sfortunati soldati che sono ormai infetti. Sacrificare la carne per salvare le ossa insomma, ma tutta l’operazione è coreografata in modo da mettere il giocato al servizio della narrazione; man mano che si procede per i laboratori in quarantena e si eliminano i soldati contagiati, il giocatore si ritrova a fare i conti con le reazioni di questi. C’è chi chiede, banalmente, pietà, chi invece si rassegna alla sua sorte e decide di farla finita da solo, mentre altri puntano la propria arma contro Big Boss, la figura che amavano ed idolatravano e che adesso si vede costretto, suo malgrado, ad eliminarli come se fossero nemici. Il momento più toccante è senza dubbio quello in cui ci si ritrova faccia a faccia con un manipolo di uomini, che non appena il giocatore entra nella stanza si mettono sull’attenti e consegnano (letteralmente) le loro vite nelle mani di Snake. “Viviamo e moriamo ad un tuo comando”, ed il giocatore non può far altro che dare il comando più estremo mentre il senso di colpa avanza: in tutto questo, per tutta la durata della missione, ogni qualvolta che si abbatte un infetto l’iDroid comunica con la sua voce atona che un membro dello staff è deceduto, mentre a schermo il giocatore vede i suoi punti eroismo (quei punti guadagnati giocando per ore al resto della campagna in modo “pulito”, senza violenze inutili) scendere inesorabilmente. Una sezione di narrativa ludica che va a terminare con una altrettanto riuscita sezione di “narrativa tradizionale”, che vede Venom Snake porgere l’ultimo saluto a quelle vite di cui è stato carnefice mentre vengono cremate. Il Boss esita quando è il momento del distacco definitivo, che dovrebbe vedere le ceneri dei caduti essere libere di lasciare infine la Mother Base: Snake decide di non disperdere il dolore dei suoi commilitoni in un “mare insensibile”, ma di farne dei diamanti (Diamond Dogs, fino alla fine) da portare in battaglia. Una luce guida, anche nella morte.

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