Antonino Lupo

Speciale Crash Bandicoot: Genesi e Caduta di un Mito

Quando si pensa al mondo del Cinema o della Letteratura, è inevitabile lasciare che la mente venga riempita da un gran numero di icone che, nel bene e nel male, siamo soliti affiancare all’una o all’altra Arte per nostra scelta naturale. Che si parli di un Titanic o di una Divina Commedia, tutti i maggiori “miti” del passato (o del presente) sono però caratterizzati da un solo, unico elemento in comune: l’aver lasciato qualcosa di forte nel cuore dell’utente finale, qualcosa di indimenticabile che potrebbe – potenzialmente – accompagnarlo per il resto della sua vita. Sì: anche se in uno dei due casi ce l’hanno fatta studiare a scuola.

 

Il mondo dei Videogiochi (con la V maiuscola, non a caso) non è certo estraneo a questo tipo di “procedimento” quasi automatico nella mente di chi gioca da diversi anni, che porta all’istante una serie di ricordi su titoli più o meno famosi che hanno segnato la nostra infanzia. Se l’aver scoperto Rescue Shot dietro una copertina dedicata ai Pokémon si inscrive a gran voce tra le più grandi delusioni della nostra età giovanile, non c’è dubbio che quegli anni siano stati segnati anche da un gran numero di figure che restano nella memoria ancora oggi, causando ondate di nostalgia che difficilmente riusciremo a scrollarci di dosso col passare degli anni. In mezzo agli eroi moderni come Joel & Ellie, Max CaulfieldNathan Drake e l’indomabile pompiere di Flame Over, figura infatti un marsupiale arancione che si fa strada timidamente nella memoria dei giocatori ogni volta che viene nominato il marchio PlayStation, quasi a voler reclamare di prepotenza un posto d’onore tra le icone d’esordio della console stessa: Crash Bandicoot.

 

 

E su Crash Bandicoot ci sarebbero da versare fiumi e fiumi di sangue lacrime inchiostro, dalla gloriosa nascita dello strampalato animale alla sua più rovinosa – e inesorabile – “caduta dal Paradiso” avvenuta circa una decina di anni dopo. Nato dalla creatività di quei due “cani cattivi” di Andy GavinJason Rubin, il fu “Willy the Wombat” ha visto più di una dozzina di titoli dedicati attraverso un gran numero di console diverse, allontanandosi sempre di più da quel concept originale che aveva spinto il curioso bandicoot sulle vette del successo. Ma si dice che esista un tipo di speranza che non muore mai, ed è probabilmente la stessa che sta alimentando le voci di un’eventuale resurrezione del personaggio da diversi anni a questa parte, sempre sotto la sapiente guida di Naughty Dog; in fondo, non sarebbe la prima volta che il marsupiale arancione rimbalza tra una software house e l’altra.

 

Il Mito di Crash: The Naughty Age
La nascita di un mito
Si sa, le grandi storie nascono spesso per puro caso; Crash Bandicoot, non certo ambizioso abbastanza da voler cambiare il mondo, non ha vissuto un destino troppo diverso. Concepita a tutti gli effetti nel corso di un viaggio di Gavin e Rubin, l’idea di base del gioco ha visto la luce nell’Agosto del 1994, quando i due sviluppatori hanno deciso di creare un titolo che riprendesse costantemente la schiena del personaggio principale all’interno di uno spazio 3D. Denominato scherzosamente “Sonic’s Ass Game” (“il gioco del cu*o di Sonic“) dagli stessi sviluppatori, il primo Crash Bandicoot vide la luce nel lontano 1996 per intercessione di Universal Interactive Studios (incaricata della distribuzione) presso Sony Computer Entertainment, e introdusse al grande pubblico un universo fatto di scienziati pazzi con manie di grandezza (e chi non le ha?) e di un esperimento fallito che tenta di salvare Tawna, la sua ragazza bandicoot ancora nelle mani del Dr. Neo Cortex.

 

 

Crash_Bandicoot_CoverPur rivelandosi un grande successo commerciale, Crash Bandicoot (1996) fu spesso accusato di non aver introdotto elementi particolarmente innovativi nel genere platform, e, per quanto abbia fatto indubbiamente la storia del Videogioco, il titolo d’esordio di Naughty Dog era minato già nel ’96 da una serie di difetti che lo allontanavano di gran lunga dalla perfezione: guadagnatosi (a ragione) il titolo di “gioco più difficile della serie”, il primo episodio della storia di Crash vantava controlli imprecisi, un sistema di salvataggi non eccellente e la discutibile scelta di far perdere al giocatore tutte le casse distrutte in un livello alla prima morte del personaggio (cosa che avveniva molto spesso e molto facilmente). Ciò non di meno, Crash Bandicoot vantava un comparto artistico di tutto rispetto già all’epoca, che fu probabilmente ciò che contribuì in misura maggiore alla costruzione del “Mito di Crash“.

 

Crash_Bandicoot_2_Cortex_Strikes_Back_Game_CoverSaranno poi il secondo e il terzo capitolo (rispettivamente Crash Bandicoot 2: Cortex Strikes Back [1997] e Crash Bandicoot 3: Warped [1998]) a incidere in maniera indelebile il nome di Crash negli annali della storia videoludica, perfezionando la formula e il comparto artistico già presenti nel predecessore e introducendo una serie di elementi di gameplay che rendevano decisamente più godibile l’esperienza di gioco. Terminato il lavoro sul terzo capitolo della serie, Naughty Dog si ritrovò con un altro gioco sviluppato in parallelo e ormai praticamente terminato, e rilasciò Crash Team Racing nel ’99, circa un anno dopo l’uscita del terzo capitolo “canonico”. Fu a questo punto che, dopo quattro giochi caratterizzati da un indicibile successo commerciale, Naughty Dog abbandonò la serie per contratto, lasciandola nelle mani di Eurocom prima (che rilascerà Crash Bash) e di Mark Cerny Vicarious Games dopo. Con i “cagnacci” al lavoro sulla serie di Jak & Daxter, la cosiddetta “Era Naughty Dog” nello sviluppo di Crash Bandicoot poteva dirsi ufficialmente terminata.

 

La Transizione: Wrath Of Cortex & Twinsanity
Da Bash a Twinsanity, l’evoluzione di un personaggio
Il caso dello sviluppo di Crash Bash (sostanzialmente un party-game da giocare fino a quattro giocatori, rilasciato nel 2000) poteva già far intuire una curiosa tendenza a voler reinventare il concept stesso del personaggio, ma l’episodio di Eurocom Entertainment Software resterà sostanzialmente isolato per un buon numero di anni nella storia del marsupiale arancione.

 

Non certo per scelta degli sviluppatori, comunque: quando Mark Cerny entrò in possesso dei diritti per lo sviluppo di un nuovo titolo della serie, la sua intenzione era di realizzare un open-world che avrebbe stravolto del tutto il concept iniziale della serie Crash BandicootUniversal, tuttavia, si oppose dichiaratamente, e Cerny abbandonò il progetto lasciandolo nelle mani di Traveller’s Tales, che si ritrovò a dover sviluppare un nuovo titolo interamente da zero in soli dodici mesi.

 

Wrathofcortex_boxartNacque Crash Bandicoot: Wrath Of Cortex (2001), che vestì i panni (per cause di forza maggiore) di un vero e proprio capitolo di transizione tra la prima e la seconda parte della storia di Crash (il quale, ai tempi, era ormai passato a tutti gli effetti nelle mani di Vivendi Universal). Sviluppato da Traveller’s Tales in un tempo da record, Wrath Of Cortex tentò di raccogliere tutti gli elementi di maggior successo dell’Era Naughty Dog per riproporli con una grafica migliorata su PlayStation 2XboxNintendo GameCube, ai tempi console di nuova generazione. Il risultato portò a una serie di recensioni miste da parte del pubblico e della critica, ma (nonostante l’assenza del tocco Naughty Dog fosse evidente già allora) è innegabile come lo spirito di Crash Bandicoot fosse ancora presente ne L’Ira di Cortex, sebbene nell’aria fosse già palpabile il bisogno di portare qualche cambiamento sostanziale nella struttura complessiva della serie.

 

Crash_Twinsanity_CoverartSarà con Crash: Twinsanity (2004), dopo una serie di primi titoli su Game Boy Advance (di cui parleremo in seguito), che il cambiamento inizierà a concretizzarsi in maniera più evidente su Crash e sull’universo che lo circonda. Costretto a collaborare con il suo acerrimo nemico per salvare le Isole Wumpa, Crash dovrà unire le forze con il Dr. Neo Cortex in un titolo decisamente più free-roaming dei precedenti, sebbene la formula tipica della serie appaia ancora in via del tutto occasionale nel corso di alcuni livelli. Introducendo nella serie le dinamiche di coppia caratteristiche di un titolo come Jak & Daxter (nonostante, in questo caso, Cortex sia molto più che una semplice spalla comica ai fini del gameplay), Twinsanity porta una serie di cambiamenti nella formula che aveva caratterizzato Crash Bandicoot anche soltanto fino a Wrath Of Cortex, dando il La a una serie di procedimenti che, dopo alcuni tentativi su console portatili, porteranno al rilancio della serie da parte di Activision.

 

L’Era Mobile: Tra Kart e Crossover
 

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L’abbandono del 3D…
Prima e dopo il rilascio di Crash: Twinsanity (e anche nello stesso anno di quest’ultimo, a dire la verità), Universal Interactive StudiosKonami si misero al lavoro su una serie di spin-off  per console portatili che abbandonavano quasi totalmente la formula 3D tipica di Crash Bandicoot in favore di uno scenario da platform 2D molto più “tradizionale”, che ben si sarebbe adattato alle capacità di calcolo di Game Boy Advance (alle esigenze della serie un po’ meno, ma in fondo chi siamo noi per giudicare?). Togliere il 3D a una serie che su di esso ha fondato il proprio potenziale innovativo potrebbe sembrare insensato (anche se si è trattato di un processo temporaneo), e, in effetti, si è trattata di un’idea del i vari spin-off sviluppati da Universal su GBA non hanno goduto dello stesso successo delle loro controparti sulle console maggiori, sebbene ciò non abbia fermato Vivendi e Konami e il loro lungo flusso di giochi portatili giunti su GBA, DS o mobile.

 

… E il rilancio dei Kart
Tra discutibili crossover con Spyro: The Dragon (Crash Bandicoot: Fusion, 2004) e tentativi di portare alla ribalta le corse sui kart con Crash Tag Team Racing (che, va detto, ha portato la guerra e le armi da fuoco sulle piste di Crash Bandicoot), Crash Nitro Kart e compagnia, la parentesi mobile può dirsi temporaneamente conclusa con l’arrivo di (è lei o non è lei? Ma certo che è leiActivision, che prende le redini della serie per studiare un rinnovamento radicale del personaggio e dell’intera formula di gioco.

 

 

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